La crisi della sinistra

Le elezioni siciliane si sono celebrate domenica scorsa e, come ormai è conclamato, sono state vinte dalla coalizione di centro-destra, rispettando le previsioni della vigilia.

I Cinque Stelle sono il primo partito ma non hanno conquistato la Presidenza della Regione, il che costituisce per loro un problema in vista delle politiche.

Il PD ha subito una cocente e pesante sconfitta, piazzandosi al terzo posto in questa competizione, e la sinistra extra PD non ha raggiunto quote sulle quali aveva fatto affidamento.

La crisi generale della sinistra italiana sembra aver imboccato una strada senza via d’uscita e io, che non ho mai votato nè il PCI nè le liste che da quel partito sono nate nel corso del tempo, credo che questo costituisca un vulnus per il sistema politico italiano.

Il nostro non è un Paese normale dal punto di vista del sistema politico: dopo Mani Pulite, negli anni ’90, i partiti tradizionali, che si fondavano sulle grandi famiglie europee della social democrazia, del comunismo, del cattolicesimo, del liberalismo ecc, ecc., furono spazzati via dalle inchieste e da allora abbiamo visto il proliferare di nuove liste basate per lo più sul personalismo dei rispettivi leaders, ma senza quel respiro tale da farne sicuro punto di riferimento per un elettorato frastornato e disorientato.

Fenomeno che si è verificato anche in altri Paesi ma che in Italia è diventato dominante e che sembra non cessare: a ciò si aggiunga la tremenda difficoltà a concretizzare un rinnovamento della classe politica dal punto di vista soprattutto qualitativo.

Intendo dire cioè che il rinnovamento al quale assistiamo è solo anagrafico, ma sulla qualità e sulla preparazione dei nuovi politici italiani è facile fare ironia, alla quale mi sottraggo ma oggettivamente costoro non brillano per capacità e competenza, tanto da indurre ad avere quasi nostalgia dei politici della vituperata prima Repubblica.

In questo desolante panorama la sinistra italiana, che tanto ha contribuito alla costruzione della democrazia del nostro Paese e all’affermazione di diritti irrinunciabili nel mondo del lavoro e del vivere sociale, sembra aver abdicato al proprio ruolo per dedicarsi ad attività sterili, autoreferenziali tali da far segnare una marcata distanza tra sè stessa e l’elettorato di riferimento.

E il risultato è la lunga serie di sconfitte accumulate negli ultimi tre anni, dopo l’ubriacatura del 40,8 % conseguito nelle Europee del 2014, sulle ali dell’entusiasmo per l’avvento sulla scena di Renzi ma ormai svanito come neve al sole, alla luce dei non mirabolanti risultati ottenuti dai Governi dei quali il PD costituisce da tempo il perno.

Martedì sera Renzi è stato intervistato nella trasmissione de LA7, e neanche tanto incalzato dai giornalisti che, pur ponendogli domande pertinenti, al suo cospetto sembrano agire sempre di fioretto e mai di spada, come sarebbe opportuno, ha fornito una visione della realtà distorta e ancora una volta auto acclamatoria, quasi che quanto ormai sistematicamente accade nelle urne ad ogni tornata elettorale non lo riguardasse e senza fare alcuna autocritica, non sia mai!

E’ talmente paradossale questo atteggiamento che ieri, sulla Repubblica, Massimo Cacciari è arrivato a dubitare della salute mentale del personaggio, riferendosi alla sua convinzione che il 40% delle Europee e quello conseguito al Referendum di un anno fa, rovinosamente perduto, siano tutta roba sua e facilmente raggiungibile in occasione delle prossime politiche.

La verità è che la gente, dopo aver pensato che Renzi e e le sue truppe potessero finalmente rappresentare una ventata d’aria nuova e pura nell’asfittico panorama politico italiano, una volta vistolo all’opera, con iniziative che con  le tradizioni e i valori della sinistra poco o nulla hanno a che fare, non sembrano avere più voglia di concedergli una fiducia che probabilmente egli ha tradito.

La legge del Job Acts sul lavoro (perchè poi questo malvezzo di adoperare termini inglesi per leggi italiane…) e la conseguente abolizione dell’art. 18,  la cosiddetta buona scuola, l’eccessiva vicinanza ai poteri forti, l’opaca questione delle banche e i vantaggi ad esse concessi, l’inchiesta CONSIP, e chi più ne ha più ne metta, e infine la lunghissima sequela di promesse fatte e non mantenute e l’altrettanto infinita serie di giravolte in campo nazionale ed europeo, hanno svelato l’equivoco: ma il problema non è la sorte politica di Renzi, della quale personalmente non mi interessa, ma il fatto che la sinistra che smarrisce il proprio ruolo fa sì che al sistema politico italiano viene negata la possibilità di uno sviluppo organico e convincente che si basi sulla contrapposizione di proposte programmatiche alternative, nelle quali sia  possibile distinguere chiaramente tra le forze in campo.

E così ci ritroviamo a dove scegliere tra un centro destra il cui deus ex machina è ancora l’immarcescibile Berlusconi, nonostante le condanne e tutto ciò che sappiamo su di lui, un Movimento Cinque Stelle sulla cui consistenza è opportuno nutrire dubbi, visti i risultati fin qui ottenuti laddove governa, un PD tutto incentrato sulla figura del proprio leader il cui unico interesse è quello di tornare a Palazzo Chigi alla spasmodica ricerca di un potere perduto, costi quel che costi, e che definire di sinistra è un ossimoro, e la galassia dei partiti a sinistra del PD che stentano a trovare una visione unitaria e che rischiano di rappresentare una posizione di testimonianza senza alcuna vera prospettiva di governo.

E’ una visione qualunquista la mia? Può darsi, ma oggettivamente il quadro è questo, e a pochi mesi dalle elezioni politiche non si vede all’orizzonte una reale prospettiva di cambiamento, alla quale affidare le sorti del Paese in una fase storica nella quale occorre una politica seria e rigorosa per evitare che le tempeste che già si presentarono nel 2011 possano tornare, con effetti che rischiano di essere devastanti con conseguenze sulla vita di tutti noi.

 

 

 

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