Evviva la coerenza

La legislatura volge al termine e, al di là dei giudizi su quanto prodotto, va riconosciuto che sul piano dei diritti civili sono stati approvati provvedimenti significativi,  tra i quali per esempio la legge sulle unione civili e quella sul cosiddetto dopo di noi, e allora onore al merito.

Non altrettanto è accaduto per lo Ius soli, approvato piu di due anni fa alla Camera dei Deputati, ma lasciato poi su di un binario morto al Senato.

Non intendo esprimermi sul merito del provvedimento, è uno di quegli argomenti che toccano la coscienza e le convinzioni di ciascuno di noi,  ma voglio dire come la penso sull’atteggiamento tenuto dai partiti al Senato.

Dopo aver affermato in tutte le lingue del mondo che questa legge costituisce un baluardo di civiltà e che non vi era alcun motivo per non approvarla,  in realtà poi l’ipocrisia dei politici ha fatto sì che fosse definitivamente affossata.

Al Senato sono mancati praticamente tutti i Senatori del Movimento 5 Stelle, ma quel che è ancor più grave è che si sono inopinatamente eclissati ben 29 colleghi del PD, facendo mancare il numero legale.

Tra costoro vorrei segnalare il Senatore Stefano Esposito, da tempo assiduo frequentatore dei talk show televisivi, nel corso dei quali non manca mai di asserire le proprie idee (sic…) con atteggiamento spesso saccente e supponente, del quale le dichiarazioni su quanto accaduto al Senato mi hanno davvero fatto trasalire.

Costui ha affermato che la responsabilità per aver fatto mancare il numero legale è da attribuire al M5S, e sarà il caso che qualcuno gli ricordi che il Governo del quale il suo partito è socio di maggioranza ha posto durante il suo cammino innumerevoli fiducie, quando ha ritenuto che ciò fosse necessario, vedasi per esempio le otto poste sulla legge elettorale, il tragico Rosatellum, a fare il paio con quanto fece il precedente Governo Renzi sull’orrido Italicum, impedendo al Parlamento di dibattere su due leggi tra le quali scegliere la peggiore è impresa ardua.

Perchè non è stata posta la fiducia anche sullo Ius soli, visto che il PD ci teneva tanto? Semplice, non è stato fatto perchè è stato fiutato il vento che suggerisce di soprassedere, tanto più in piena campagna elettorale… un pò di sincerità non guasterebbe, tutto sommato.

L’ineffabile Esposito ignora forse che la politica è fatta anche di gesti, di simboli, di atti apparentemente privi di efficacia, ma che possono diventare rivoluzionari perchè mostrano con forza dirompente un’idea, una visione: se il PD si fosse presentato compatto in aula, allora sì che avrebbe mostrato plasticamente la propria reale disponibilità ad approvare la legge, e la responsabilità in quel caso sarebbe stata davvero di chi nell’aula invece non c’era.

In questo modo invece tutti noi abbiamo il diritto di credere che il PD, al pari degli altri partiti, ha semplicemente evitato rogne, andando dietro ai sondaggi e tradendo la propria idea, sempre ammesso che ne abbia una: quindi la smetta Esposito di arrampicarsi sugli specchi e riconosca la brutta figura, un politico deve mostrare coerenza e assumersi le proprie responsabiltà in ogni occasione.

P.S.: lo stesso Esposito, e la collega di partito Barracciu, evitino di fare strage della lingua italiana. Se volete farvi quattro risate, leggete i messaggini che i due si sono scambiati su Twitter rinfacciandosi le rispettive opinioni sull’episodio del quale ho appena parlato, e vedrete cosa sono stati capaci di combinare con la coniugazione dei verbi, neanche in un film di quel genio che era Totò. Ripassino in fretta un libro di grammatica italiana, ne trarranno sicuramente beneficio…

 

Banche, ultimo atto

Credo che con l’audizione di ieri di Federico Ghizzoni, ex A.D. di Unicredit, davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, si sia segnato il punto di fine della stucchevole vicenda Boschi-Banca Etruria.

Ghizzoni ha sostanzialmente confermato le affermazioni che Ferruccio de Bortoli ha inserito nel suo libro “Poteri forti”, in merito a una richiesta della Boschi di valutare la possibilità, da parte di Unicredit, di acquisire Banca Etruria, all’epoca in situazione di grave crisi che pochi mesi dopo sfociò nel fallimento della stessa.

La dichiarazione di Ghizzoni fa seguito a quelle di Vegas, Zonin, Visco, e non si sa più chi altri, e dimostra in maniera incontrovertibile che la Boschi si è agitata e spasmodicamente interessata ai destini della Banca della quale il padre è stato Vice Presidente, e quindi il conflitto d’interessi c’è tutto, è lampante, solare, incontestabile, con buona pace di quanti, politici e giornalisti penosamente asserviti, continuano pervicacemente e, se mi consentite, stoltamente continuano ad affermare il contrario.

Più volte ho scritto di questa squallida vicenda, e sono sempre più fermamente convinto dell’opportunità che la Boschi tolga il disturbo: non è questione di rilevanza penale rilevabile nei suoi comportamenti, ma di semplice opportunità politica, e le sue dimissioni, pur tardive, dovrebbero essere seguite dalla non candidatura alle prossime elezioni politiche, la persona ha dato ampia prova di non essere in possesso di quelle qualità che dovrebbero connotare chi sceglie di fare politica, in primo luogo il senso delle istituzioni e la coerenza.

Per buon peso, ieri Ghizzoni ha parlato anche di una mail ricevuta da tale Marco Carrai, con la quale il tizio gli chiedeva, “per conto terzi”, lumi sulla questione Unicredit-Banca Etruria: chi è questo Carrai? Il migliore amico di Renzi, che gli ha fatto da testimone di nozze, e al quale pagava la pigione di un appartamento che l’ex Sindaco di Firenze occupava. E quando Renzi era a Palazzo Chigi, voleva affidare a Carrai un delicatissimo incarico legato alla cyber security pubblica, cosa poi  fortunatamente naufragata.

Per conto di chi questo Carrai avrà inviato questa mail a Ghizzoni? Chissà…

E a poco valgono le distinzioni semantiche che ieri ho sentito fare da rappresentanti del PD, alle prese con temerarie interpretazioni delle parole di tutti coloro i quali sono stati auditi dalla Commissione, se non a rendere penosa la loro posizione agli occhi di quanti hanno sufficiente equilibrio e intelligenza per capire come stanno davvero le cose.

Quello che voglio invece dire è che sono sinceramente dispiaciuto per le conseguenze che il PD pagherà per questa situazione nella quale si è cacciato: non ho mai votato per quel partito, nelle sue numerose configurazioni assunte nel tempo, e tanto meno lo farei adesso, ma credo fermamente che il gioco democratico in questo Paese si possa svolgere con una qualche efficacia solo se vi saranno forze politiche contrapposte, di destra e di sinistra, in grado di individuare istanze e soluzioni che servano a migliorare la situazione generale.

Destra e sinistra hanno un senso, sono due modi diversi di intendere la società, e meritano eguale dignità, rispetto e considerazione, senza che nessuno si arroghi il diritto di ritenersi moralmente e intellettualmente superiore all’altro.

E se è vero che la destra italiana non riesce a venire fuori dal tunnel nel quale si è infilata, affidando le proprie sorti a Berlusconi, peraltro risorto dalle ceneri come novella araba fenice, lo stesso destino sembra attanagliare la sinistra, ammesso che il PD la rappresenti, con l’avvento di Matteo Renzi.

Quello che doveva essere il rottamatore, ha portato dalla provincia toscana a Roma una combriccola di amici che hanno perpetuato un comportamento di basso profilo, tra amicizie e parentele, tra legami tra vecchi sodali e interessi privati,  mettendo il naso e le mani dove decenza avrebbe suggerito di non fare (RAI, Banche, Industria di Stato, giornali, Consip, ecc.), occupando tutte le stanze del potere come neanche nei peggiori giorni della vituperata Prima Repubblica avevamo visto fare.

Ora il PD precipita nei sondaggi, perchè evidentemente il corpo elettorale ha più memoria di quanto i politici suppongono, e non dimenticano le promesse non mantenute, e valutano i comportamenti della Boschi, di Renzi e del resto della compagnia: allora, se ancora il PD vuole ergersi a partito leader del campo della sinistra, per rappresentare le istanze di chi si colloca ideologicamente in quell’area, dovrà prendere atto del fallimento della classe dirigente portata in auge da Renzi, e individuare una nuova leadership capace di ridare fiato alle voci ormai assopite dei pochi che hanno l’ardire di contrastare il ras di turno.

Altrimenti consegnerà le prossime elezioni alla destra o, ancor peggio, al M5S se non all’ingovernabilità: uno scenario francamente desolante, che rischia di far sprofondare il Paese in una situazione estremamente complicata che non può permettersi.

Dimostri la classe dirigente del PD lungimiranza e senso dello Stato, se ne è capace, invece di arroccarsi in difesa di situazioni indifendibili e a dir poco imbarazzanti: in quel partito hanno militato figure che hanno dato un contributo inestimabile alla costruzione di questo Paese e alla sua storia, altro che queste pallide e imbarazzanti figure che oggi ne detengono la proprietà quasi fosse cosa loro, e non patrimonio di milioni di persone che a quelle figure storiche guardano con malcelata nostalgia.

L’eterogenesi dei fini

A volte nella vita si prendono iniziative, si pongono in essere progetti con l’auspicio che ci portino a conseguire risultati positivi o comunque utili alla nostra causa.

Poi succede che quanto da noi realizzato ci si ritorca contro, e ci troviamo a dover gestire una situazione inattesa con la frustrazione di dover ammettere che sarebbe stato molto meglio se quell’idea non ci fosse mai venuta.

Ed è esattamente quello che sta accadendo con la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle Banche: il Pd di Renzi afferma di averla fortemente voluta, al fine di stabilire finalmente la verità su le situazioni nebulose e opache che negli ultimi anni hanno riguardati numerosi istituti italiani.

E dopo averla promessa più di un anno e mezzo fa, si è risolto a vararla soltanto poche settimane or sono, con ogni probabilità confidando che quanto sarebbe emerso durante i lavori avrebbe costituito un utilissimo carburante per alimentare una campagna elettorale, ormai in pieno svolgimento, che si presenta molto complicata.

Ma ciò che sta emergendo giorno dopo giorno sta determinando un vero e proprio terremoto politico, e lo sciame sismico probabilmente continuerà nei prossimi giorni, con le audizioni soprattutto del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, martedì 19 dicembre, e quella di Federico Ghizzoni, ex A.D. di Unicredit, il giorno successivo, particolarmente attesa, quest’ultima, perchè non vi è dubbio che la prima delle domande che gli verranno poste riguarderà quanto affermato da Ferruccio de Bortoli a proposito dell’intervento di Maria Elena Boschi in favore di Banca Etruria.

Sul comportamento di quest’ultima in questa vicenda, sul fatto che i suoi interessamenti sulla sorte della Banca della quale il padre è stato prima nel Consiglio d’Amministrazione e poi Vice Presidente, con la figlia Ministro, e sull’opportunità di rassegnare le dimissioni per il palese conflitto d’interessi nella quale è coinvolta, ho già scritto più volte.

E ne sono sempre più convinto, che è chiamato a incarichi di tale rilievo deve non solo tenere un comportamento irreprensibile e specchiato, ma anche apparire al di sopra di ogni sospetto, così da non ledere il rapporto di fiducia con tutti noi che poi andiamo a votare e che, nel gioco democratico, affidiamo a loro la gestione della cosa pubblica.

E a nulla valgono le difese d’ufficio del PD e non solo, perchè quanto è stato rivelato da Vegas prima e da Consoli poi dimostra in maniera incontrovertibile che la Boschi alla faccenda Banca Etruria sì è interessata eccome, e se poi Ghizzoni mercoledì prossimo dovesse avvalorare quello che ha scritto de Bortoli, l’incendio divamperà con ancora maggiore virulenza.

E così sarebbe stato meglio se la Boschi avesse mantenuto la sua promessa  solenne di abbandonare la scena politica se al referendum del 4 dicembre dell’anno scorso avesse vinto il NO, come è accaduto in effetti: non tenendo fede all’impegno, diede già allora segno di inaffidabilità, ma la sua tenacia con la quale tenta un’improbabile autodifesa in questi giorni ormai si ammanta di masochismo.

Le forze politiche che si oppongono al PD hanno gioco facile ad attaccarlo, è fin troppo facile in questa situazione, le prese di posizione di certi personaggi che si ostinano a non vedere un conflitto d’interessi grande quanto una montagna sono semplicemente ridicole, la gente non ha l’anello al naso, e a volte, anzi spesso, riconoscere la verità serve a recuperare una credibilità che il PD in questi tempi sta ampiamente mostrando di aver smarrito.

E se fossi al posto dei partiti d’opposizione non insisterei neanche tanto a chiedere le dimissioni della Boschi, visto che ormai la legislatura sta per terminare: più passa il tempo con il Sottosegretario avvinto strenuamente alla sua poltrona, più il PD scende nei sondaggi, più i suoi rappresentanti cercano di giustificarne i comportamenti, più fanno danno a loro stessi e al loro partito.

Valuti piuttosto la Boschi, e con lei Renzi, se sarà proprio il caso di ricandidarsi al Parlamento: ricordi la promessa fatta e non mantenuta, e se proprio vorrà ripresentarsi al giudizio degli elettori, lo faccia in Toscana, nel suo collegio uninominale e senza il paracadute del listino proporzionale, si sottoponga al giudizio degli elettori del suo territorio, dando finalmente un segnale di trasparenza e coerenza, doti delle quali non sembra essere particolarmente dotata, a osservarne i comportamenti finora tenuti.

Non tutte le ciambelle riescono con il buco, è l’eterogenesi del fini…

 

Il Re è nudo

Oggi il Presidente della CONSOB, Giuseppe Vegas, ha deposto innanzi alla Commissione Parlamentare d’inchesta sulle Banche, e ha dichiarato di aver avuto ripetuti colloqui nel 2014 con l’allora Ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, aventi per argomento Banca Etruria.

Nel corso di tali incontri, il Ministro avrebbe espresso preoccupazioni circa l’ipotesi di incorporamento della Banca aretina nella Banca Popolare di Vicenza e, in un’altra occasione, la Boschi avrebbe affermato che il padre sarebbe a breve diventato Vice Presidente di Banca Etruria, come poi in effetti accadde di lì a poco.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/12/14/banche-vegas-ho-parlato-col-ministro-boschi-della-questione-etruria-era-preoccupata-per-le-nozze-con-vicenza/4038918/

E allora? Ebbene, la Boschi ha mentito al Parlamento: se finora era lecito dubitarne, le dichiarazioni di Vegas, e quanto pubblicato da Ferruccio de Bortoli nel suo libro sul colloquio con l’ex A.D. Unicredit Ghizzoni, fanno svanire la nebbia che ammantava la vicenda.

Troppe sono ormai le dichiarazioni che convergono tra di loro, perchè si possa ancora ragionevolmente argomentare su quanto accaduto, tentando improbabili difese d’ufficio: il 18 dicembre 2015 la Boschi affermò, davanti alla Camera dei Deputati, di non essersi mai interessata alle vicende di Banca Etruria (ne ho già parlato in un post qualche giorno fa https://onofriodicillo.com/2017/12/05/il-caso-boschi/), e lo ha ripetuto numerose volte.

Non era vero, ha mentito, e il fatto è gravissimo, chi è chiamato a gestire il Governo di un Paese ha il dovere della lealtà, della sincerità, non si può pensare di affidare le istituzioni democratiche a chi non si fa scrupolo di raccontare false verità e farla franca impunemente (vero, Sig. Renzi, a proposito della campagna sulle fake news?) .

Quindi, al di là delle speculazioni politiche alle quali certamente assisteremo nei prossimi giorni, visto che siamo ormai in piena campagna elettorale, e questo è un ghiotto argomento per i partiti avversi al PD,  dia immediatamente le dimissioni dal proprio incarico, perchè non si può fare finta di niente, faccia un gesto, pur colpevolmente tardivo, con il quale si restituisca dignità al Parlamento e a sè stessa.

Altrimenti, citi in giudizio anche Vegas, come ha fatto con de Bortoli, magari senza aspettare mesi e mesi, ma subito, tanto ormai la dichiarazione è resa: sempre in attesa del 20 dicembre, quando a deporre sarà chiamato Ghizzoni, e si chiarirà se a mentire, questa volta, sarà stata lei o de Bortoli nel suo libro.

E valuti anche, insieme con il partito nel quale milita, se è proprio il caso di ricandidarsi alle prossime elezioni politiche, invece di farlo in Campania, come sembra certo: se vale la tesi che il suo interessamento fu lecito, perchè un parlamentare deve interessarsi di quanto accade nel territorio di riferimento, allora perchè non candidarsi in Toscana, nel collegio di Arezzo, come sarebbe logico fare?

O la prossima volta si occuperà del Banco di Napoli?

 

 

 

Wind days

Wind days, giorni del vento.

Potrebbe sembrare qualcosa di bello, un giorno nel quale il vento prende a soffiare e gonfia le vele di belle barche che solcano le onde di un mare cristallino, nel quale quello stesso vento porta nell’aria il profumo di fiori appena sbocciati in un giorno di primavera, e altre immagini che raccontano di un ambiente bucolico e accogliente.

Ebbene, a Taranto non è così: wind days, in omaggio alla mania tutta italiana di usare espressioni di una lingua straniera per esprimere concetti facilmente esplicabili anche in italiano, in quella città significa ben altro, e assume connotazioni drammatiche.

Sta a indicare quei giorni nei quali il vento soffia forte da nord-ovest e porta con sè le polveri pericolose emesse dall’ILVA: e allora l’ARPA Puglia (Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione dell’Ambiente), con propria delibera,

http://www.arpa.puglia.it/web/guest/previsioni_wind_days

ne decreta la sussistenza e, in considerazione di ciò, il Comune di Taranto, al fine di proteggere la salute dei cittadini, chiude le scuole e raccomanda ai tarantini di tenere in casa i loro figli, ai quali viene così negato il diritto all’istruzione, garantito dalla nostra Costituzione, fino a prova contraria.

Guardate questo filmato mandato in onda da “Striscia la notizia”

http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/taranto-il-vento-che-soffia-sull-ilva-porta-inquinanti-tutti-a-casa-per-il-wind-day_3103158-201702a.shtml

definisce con oggettività la situazione, rispetto alla quale non reggono discorsi sulla strategicità dello stabilimento tarantino, sulla necessità di garantirne l’operatività e altre dichiarazioni di questo tenore.

Tutto ciò è inaccettabile: si proceda alla bonifica del territorio senza frapporre ulteriori indugi, senza sconti a chi si propone di rilevare la fabbrica, e si smetta di giocare con la salute della gente, non è più una questione di politica industriale, ma di rispetto della dignità umana e della salute pubblica.

Calenda, Poletti e Lorenzin: sveglia e date un senso compiuto al vostro essere Ministri della Repubblica.

Fumo sulla città

Guardate questo filmato, girato due giorni fa da Fabio Matacchiera, un attivista tarantino

che, nonostante l’indifferenza e il pressapochismo di tanti, da sempre lotta perchè a Taranto possa essere assicurato un futuro almeno pari a quello delle altre città italiane, e non un avvenire segnato dalla sventura a dalla morte, come già è accaduto almeno negli ultimi quarant’anni.

La faccenda dell’ILVA di Taranto sembra non avere alcuna soluzione plausibile: da un lato la necessità di garantire occupazione in un territorio povero e martoriato di suo, che ha tradito la propria vocazione di borgo marinaro e agricolo, per abbracciare un insediamento industriale devastante che con il tempo ha drammaticamente svelato la sua vera e mostruosa natura.

Migliaia di occupati, e le loro famiglie, non possono certo permettersi il lusso di perdere il lavoro, con la desolante certezza di non poterne trovare un altro, e continuano così a prestare la propria opera in un posto che solo chi lo ha visto da vicino può intuirne la pericolosità, mettendo a repentaglio la vita ogni santo giorno.

Dall’altro, il diritto alla salute, garantito dalla Costituzione ma ignorato nei fatti, dei lavoratori e dei tarantini tutti, costretti a rintanarsi in casa quando spira il vento di maestrale, che li costringe a raccogliere da finestre e davanzali quella polvere di ferro che comunque respirano, con le conseguenze per la salute che chiunque è in grado di immaginare.

Ho rubato il titolo di questo post a quello di un libro di Alessandro Leogrande: è stato un valido scrittore tarantino, che come me ha lasciato la sua città per venire a vivere a Roma.

In “Fumo sulla città” racconta Taranto negli ultimi venti anni, fino al 2012, quando esplose prepotentemente la questione ILVA, dopo il noto intervento della locale Magistratura che ne dispose il sequestro, per il perpetuarsi dei reati di natura ambientale.

Poche settimane fa è morto improvvisamente, giovane, aveva solo 40 anni, ma nella sua breve vita ha raccontato Taranto con sincerità e amarezza, con l’affetto che si deve alla città natìa ma senza sconti, riconoscendone le straordinarie bellezze, la storia antica e gloriosa, ma anche un atteggiamento rassegnato che, credo anch’io, visto come vanno le cose, non è più ammissibile.

L’ILVA ha seminato morte, i dati forniti dalle organizzazioni che monitorizzano i legami indissolubili tra ambiente e salute lo attestano senza che alcuno possa negarne l’oggettività, e pur riconoscendo che quello sciagurato stabilimento ha un’importanza capitale nel panorama industriale nazionale (stiamo parlando del più grande siderurgico d’Europa), è necessario che il sistema politico, italiano e non, prenda atto che Taranto non è il ricettacolo ove scaricare ogni possibile spazzatura.

I tarantini hanno pagato un prezzo troppo alto, e non vedo perchè debbano ancora farsi carico di salvare la fabbrica che se è vero che ha dato loro lavoro, lo ha fatto chiedendo in cambio le loro vite.

Calenda, Poletti, Lorenzin (per citare alcuni dei Ministri a vario titolo competenti in materia) e coloro i quali consentono ai potenziali acquirenti di rimandare la messa in esecuzione dei piani di bonifica del territorio, vadano a trascorrere le imminenti vacanze natalizie a Taranto, insieme con i loro cari, e tocchino così con mano la situazione reale, respirandone anche loro, per qualche giorno, l’aria salubre e ricca di minerali (spero si colga l’ironia delle mie parole…), invece che concionare di strategie industriali e di soluzioni di mercato, come se alla salute dei tarantini possa essere attribuito un prezzo, la vita e la salute sono inestimabili.

E se non si deve cedere al meschino ricatto occupazionale messo in atto da decenni, si chiuda la fabbrica e si impieghino le maestranze per l’opera di risanamento del territorio, talmente devastato e ferito che per restituirgli decenza e salubrità ci vorranno decenni: che alla filiera industriale dell’acciaio ci pensi qualcun altro, Taranto ha già dato!

A Fabio Matacchiera, e a quanti come lui  non si arrendono all’ignavia e alla rassegnazione, vada un plauso e un ringraziamento per l’impegno instancabile, nonostante l’indifferenza e spesso addirittura l’ostilità della quale vengono fatti bersaglio.

 

Referendum e fake news

La Stampa, prestigioso quotidiano di Torino, ha lanciato ieri con grande enfasi una  notizia, secondo la quale il risultato a favore del no in occasione del referendum costituzionale del 4 dicembre dello scorso anno, sarebbe stato pesantemente condizionato da un intervento della Russia, attraverso non meglio precisati canali d’informazione, a sostegno delle posizioni assunte da Lega e M5S.

La fonte sarebbe l’allora ex Vice Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che lo avrebbe affermato in un articolo apparso su organi di stampa americani.

Niente male, un’autentica bomba, tanto che la notizia è stata prontamente rilanciata in Italia, sia dalla stampa che dai notiziari televisivi e radiofonici: finalmente è chiaro il perchè della clamorosa sconfitta subita dal fronte del sì, è tutta colpa dei russi, i quali all’epoca non avevano evidentemente nulla di meglio a cui pensare, tanto da interessarsi così invasivamente a una faccenda interna dell’Italia.

Beh, a proposito di fake news, siamo al ridicolo: affidandomi alla mia memoria, non ricordo di alcun pronunciamento di Putin, nè di qualcuno del suo entourage, a favore del no, in quell’epoca segnata da una feroca campagna elettorale.

Ricordo però la convinta adesione di Barack Obama, Presidente USA, in favore del sì, così come ricordo un garrulo Renzi alla corte del sovrano, seguito da uno stuolo di presunti VIP tra i quali spiccava Roberto Benigni (quello che definiva la Costituzione Italiana “la più bella del mondo”, salvo poi sposare la causa della sua pesante modifica…).

Renzi e Obama

“Gli Stati Uniti sostengono con forza le riforme di Matteo Renzi e sperano che questo processo non si interrompa con il referendum costituzionale”, queste la testuali parole di Obama, pronunciate in quella circostanza.

Quindi, per analogia: se la presunta interferenza della Russia ha portato alla vittoria del no, si può affermare che il 40% dei voti a favore del sì porta la firma degli USA.

Per favore, siamo seri: e soprattutto, un pò di rispetto per quei milioni di italiani che in quella occasione così importante hanno avvertito la necessità di recarsi alle urne, per esprimere liberamente la loro opinione, esercitando un loro preciso diritto costituzionale, senza essere subliminalmente condizionati da Russi, Americani e altre lontane etnie!

Renzi, il re delle fake news,  ha detto che lui non ama le teorie sui complotti: bravo, finalmente un’affermazione sensata! Allora richiami all’ordine quei suoi ascari scalmanati (tra i quali spicca il tragico Michele Anzaldi, che ha già dato pessima prova di sè attaccando i giornalisti poco propensi a fare da grancassa alle gesta del suo eroe…), che ieri hanno invitato il nostro Ministro degli Esteri a convocare l’Ambasciatore della Russia e quello degli USA per chiarimenti.

Magari la prossima mossa sarà quella di dichiarare guerra alla Russia e tentarne l’invasione dopo aver attraversato tutta l’Europa centrale, con le nostre Armate guidate da qualche renziano di ferro, promosso sul campo Generale…

Piuttosto, pensino a fare un attento esame delle vere ragioni di quella sonora sconfitta, dovuta probabilmente in parte ad un sentimento di rifiuto del fenomeno del renzismo, ma in gran parte scaturita dalla valutazione di una riforma scritta con i piedi, contraddittoria e pericolosa, secondo il giudizio di decine di insigni costituzionalisti: per quanto mi riguarda, votai per il no, e per quanto non apprezzi Renzi non ho certo votato per fargli un dispetto, ma solo dopo essermi peritato di leggere attentamente la nuova Costituzione, così come proposta dai suoi estensori, convincendomi fermamente che votare no era doveroso per  i suoi contenuti e per il suo impianto, soprattutto se correlato all’immondo Italicum , e non certo dopo aver sognato Putin!!!

“La situazione è tragica ma non seria”, diceva Ennio Flaiano, e questo aforisma rispecchia i nostri giorni, nei quali siamo costretti ad assistere a questi penosi siparietti d’avanspettacolo offertici da zelanti politici, ansiosi di compiacere il potente di turno, senza alcun senso della misura e della realtà.

Il caso Boschi

Intendiamoci, non sono per nulla interessato ai problemi giudiziari di Pierluigi Boschi, padre del Sotto Segretario di Stato Maria Elena: è indagato su diversi fronti, e se sarà in grado di provare la propria estraneità ai fatti addebitatigli, sarò il primo a rallegrarmene.

Nè sono dell’idea che le colpe dei genitori debbano ricadere sui figli, sarebbe una barbarie morale e giudiziaria: la responsabilità penale è personale, ognuno ne risponde sulla propria pelle.

Ma nel caso in questione, del quale ho già parlato in un precedente post, la faccenda è di una semplicità disarmante, anche se gli ascari di Renzi , del tutto incapaci di ragionare con la propria testa e di assumere posizioni accettabili se prima non corroborate dall’autorizzazione del leader, sembrano non volersi dare per intesi: Maria Elena Boschi, il 18 dicembre 2015 (due anni fa, ormai…), allora Ministro per le Riforme Costituzionali e i rapporti con il Parlamento,  dichiarò davanti alla Camera dei Deputati, di non aver mai avuto alcun ruolo nella vicenda legata alla Banca Etruria e al suo salvataggio, grazie a una azione legislativa del Governo Renzi, e di non aver mai esercitato alcuna pressione presso chicchessia, al fine di favorire la buona sorte dell’istituto, del quale il padre era stato Vice Presidente, prima del commissariamento della Banca, avvenuto dopo la segnalazione di Banca Italia al Governo (e non motu proprio, come va raccontando Renzi, a proposito di fake news…), ritenendo in questo modo di avere chiuso la faccenda.

Sette mesi fa però, Ferruccio de Bortoli, nel suo libro Poteri forti, scrive che la Boschi avrebbe contattato, quando era Ministro,  l’ex AD di UNICREDIT, Federico Ghizzoni, per sollecitarlo a intervenire per salvare Banca Etruria, il che contrasterebbe con le dichiarazioni sollennemente rese al Parlamento.

Questi i fatti, e la questione è semplicissima: o mente la Boschi, o mente de Bortoli.

Se mente de Bortoli, ne pagherà le conseguenze nella causa civile per la quale la Boschi ha dato mandato ai propri legali per richiedergli i danni: certo, ha atteso che scadessero i tempi per un’azione penale (sei mesi), e lo ha fatto nel giorno stesso in cui il caso è virulentemente riesploso, chissà perchè, ma tra qualche riga dirò cosa penso in proposito.

Se invece a mentire è la Boschi, deve dare le dimissioni immediatamente, perchè avrebbe allora mentito al Parlamento, venendo meno al dovere di servire lo Stato con fedeltà e onore dettato dalla Costituzione, sulla quale anche lei ha giurato, come ho fatto io e tanti altri milioni di italiani che hanno legato la propria vita alle istituzioni.

E questo non sarebbe tollerabile, anzi troppo tempo è passato da quel 15 dicembre di due anni fa, avrebbe dovuto togliere il disturbo prima (magari dopo aver perso il referendum di un anno fa, come peraltro ella stessa aveva promesso di fare, ma in questo è degna sodale di Renzi, avvezzi entrambi a non mantenere la parola data).

E allora c’è un solo modo per risolvere la questione: la Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle Banche convochi Federico Ghizzoni e gli ponga una semplice domanda, ovvero se rispondono al vero le notizie riportate da de Bortoli nel suo libro, e così il mistero sarà svelato incontrovertibilmente.

Alle 1900 di questa sera l’Ufficio di Presidenza della Commissione si riunisce proprio per decidere delle prossime audizioni: i giornali riportano che i rappresentanti del PD sarebbero contrari ad ammettere l’audizione di Ghizzoni, ritenendo chiusa la questione di Banca Etruria.

Non lo facciano, e dimostrino con i fatti, e non solo a parole, di non temere la verità, altrimenti sarà la dimostrazione plastica della loro ambiguità, della pochezza di quella classe dirigente che si propone di governare il nostro Paese, e la definitiva dimostrazione del triste tramonto di una forza che tra le sue fila ha vantato figure nobili che hanno contribuito, talvolta con il sangue, a costruire questa nostra Italia.

Quanto alla denuncia in sede civile della Boschi verso de Bortoli, decisa solo ora con inspiegabile ritardo, non vorrei pensare che si tratti di un tentativo, goffo e maldestro, di intimidire Ghizzoni, nel caso venga convocato per essere audito presso la Commissione: si tratterebbe di un’azione meschina e comunque poco avveduta.

 

 

Un grande romanzo

Ho appena finito di leggere “Purity”, di Jonathan Franzen, autore americano che nel 2001 diventò famoso anche in Italia con il suo Le correzioni”.

Franzen è a mio parere uno degli scrittori americani contemporanei più prestigiosi, e ogni suo lavoro (Libertà e Forte movimento, ad esempio) ci consente di volgere lo sguardo sulla società americana e in particolare, sulle dinamiche che regolano la vita di famiglie apparentemente esemplari, ma che nascondono nelle pieghe dei rapporti interpersonali contraddizioni e lacerazioni insospettabili.

Come già ne Le correzioni, anche in questo suo ultimo lavoro, pubblicato nel 2015, al centro del racconto Franzen colloca la famiglia di Purity Tyler, giovane americana nevrotica e single, alle prese con la difficoltà di restituire un debito universitario di centotrentamila dollari, e tormentata dal fatto di non aver mai conosciuto l’identità del padre, sulla quale la madre, una specie di hippy ipocondriaca,  ha da sempre posto un velo impenetrabile.

Quindi, una famiglia incompleta, nella quale Purity non si trova a suo agio, e dalla quale cerca di emanciparsi in ogni modo, fino ad accettare uno stage presso una sorta di comunità che lotta per la trasparenza delle informazioni senza il filtro dei media,   fondata da una specie di giornalista santone di origini tedesche, Andreas Wolf, che richiama un pò la figura di Julian Assange, con il quale stabilisce rapidamente uno strano rapporto alla base del quale c’è il suo anelito di cambiare il mondo che non le piace, sentimento che accomuna quasi tutti i protagonisti del romanzo.

La storia si sviluppa tra la Colombia, ove ha sede il Sunlight Project presso il quale si svolge lo stage di Purity, la Germania nel racconto della vita di Andreas, e naturalmente l’America che la giovane protagonista percorre alla ricerca di indizi rivelatori dell’identità del padre.

Fino alla conclusione, che si pone alla fine di un racconto che assomiglia ad una spirale che si avvolge su sè stessa richiudendosi al termine del suo cammino, svelando una verità inaspettata, tale da farci capire quanto le apparenze ammantate di perbenismo e convenzioni stantie, possano celare circostanze e fatti ben più asciutti e poco convenzionali, ma non per questo meno accettabili e moralmente corretti.

Il talento di Franzen è impressionante, la sua padronanza della scrittura assoluta, non scade mai nella banalità ed è capace di mostrarci aspetti di quella che consideriamo quotidianità dei quali sembriamo non avvederci, ma che poi in realtà abbiamo sotto gli occhi e che non vediamo, perchè preferiamo spesso illuderci e fare a noi stessi un quadro della realtà che ci conforta ma che risulta sbiadito alla prova dei fatti.

Una lettura che arricchisce e che vale la pena di affrontare, senza lasciarci spaventare dalla mole del romanzo (più di seicento pagine), che nonostante il tema e i continui salti nel tempo e nello spazio, scorre fluido e interessante, dal quale è difficile staccarsi e che poi spiace dover abbandonare, come accade quando ci capita tra le mani un’opera degna di rilievo.

Leggetelo se vi va, ne vale davvero la pena.

 

 

Il caso Taranto

Sulla Repubblica di oggi ho letto un interessantissimo articolo di Gianluigi Pellegrino, noto costituzionalista, sullo scontro in atto tra il Governo e le Autorità locali della Puglia sul caso ILVA di Taranto.

Il Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, e il Sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, hanno presentato ricorso dinnanzi al TAR contro la rimodulazione del piano di adeguamento ambientale presentato da Arcelor Mittal, il colosso siderurgico che ha vinto la gara per l’acquisizione dello stabilimento, e per reazione, il Ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda ha  minacciato lo stop delle procedure se il ricorso non sarà ritirato.

Io non intendo entrare nel merito della disputa, sulla quale da troppo tempo si assiste ad un ignobile ricatto tra il lavoro e la salute, giocato sulla pelle dei tarantini, per biechi interessi economici e purtroppo anche elettorali: dopo le iniziative doverose della Magistratura che hanno fatto esplodere il caso in tutta la sua virulenza, i Governi che si sono succeduti, Monti, Letta e Renzi, hanno cercato di impedirne l’azione emanando decreti che, ponendosi a parole l’obiettivo del risanamento ambientale, non hanno prodotto assolutamente nulla, e i tarantini intanto continuano ad ammalarsi.

E neanche ho voglia di ricordare la nefandezza della quale il Governo Renzi si è macchiato, negando un finanziamento di 50 milioni di Euro, prima solennemente promesso, da investire per il potenziamento della struttura sanitaria tarantina, non credo servano tante parole.

Voglio soltanto dire che questa storia va avanti da decenni, tra l’indifferenza di tanti, politici, amministratori e cittadini; che sulla pelle dei tarantini si gioca una partita nella quale pare che della salute degli stessi non freghi niente a nessuno; che è vero che la Consulta, in una sua sentenza, ha definito l’ILVA “stabilimento di interesse strategico nazionale”, e che in quanto tale potesse continuare la produzione “pur se essa comporti oggettivamente pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute”, ma ciò non solleva le Autorità competenti dall’obbligo di porre in essere tutti i provvedimenti necessari per mitigare sensibilmente tali pericoli a danno della popolazione.

E, infine, come segnala Pellegrino nel suo articolo, non si capisce perchè il Governo abbia accolto la richiesta di Arcelor Mittal di allungare i tempi di risanamento, senza chiarire se tale concessione sia o no coerente con le altre offerte presentate in gara: qui il Ministro Calenda deve delle risposte convincenti, che per ora tardano ad arrivare.

Taranto, mia città natale nella quale non vivo più da anni ma che amo anche più di prima, ha pagato un prezzo troppo alto ad una politica vigliacca e insensibile ai veri valori della solidarietà e del bene comune, e mi domando per quanto tempo ancora i suoi cittadini dovranno chiudere le finestre delle proprie case se spira il vento di tramontana, che insieme all’aria fresca trasporta polveri sottili che respirate ammalano i polmoni, e per quale tragico motivo i bambini tarantini non possono giocare nei parchi liberamente, perchè rischiano di toccare i detriti che provengono da quella cattedrale di morte che ormai l’ILVA rappresenta.

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Le cosiddette Autorità, centrali e locali, si siedano attorno allo stesso tavolo e cerchino di trovare una soluzione plausibile, evitando spot da campagna elettorale e posizioni falsamente autorevoli: se così non sarà, spero che i miei concittadini non vadano a votare alle prossime politiche, per dare a questa classe di irresponsabili un chiaro segnale di indignazione e di sdegno, Taranto ha sofferto troppo e merita un futuro migliore.

P.S. del 3 dicembre: ho sentito stamattina, 3 dicembre,  al Tg di LA7 che il Ministro Calenda spera che venga presto varata una legge che impedisca alle Autorità locali di porre veti o proporre ricorsi su argomenti di natura industriale, quando definiti di importanza strategica dal Governo nazionale.

Ebbene, spero di aver inteso male: i Governi di questi ultimi anni hanno già infierito pesantemente su Taranto, e quindi Calenda piuttosto si preoccupi di garantire la salute ambientale del territorio e la sua collega Lorenzin, Ministro per la Salute, della quale non posso certo apprezzare l’assordante silenzio sull’argomento, gli porti qualche tabulato, dal quale possa evincersi l’incidenza delle malattie indotte in quel territorio martoriato dalla presenza dell’ILVA, senza tema di smentita.  Facciano il proprio dovere, invece di atteggiarsi a decisionisti senza arte nè parte.