Ho appena finito di leggere “Purity”, di Jonathan Franzen, autore americano che nel 2001 diventò famoso anche in Italia con il suo “Le correzioni”.
Franzen è a mio parere uno degli scrittori americani contemporanei più prestigiosi, e ogni suo lavoro (Libertà e Forte movimento, ad esempio) ci consente di volgere lo sguardo sulla società americana e in particolare, sulle dinamiche che regolano la vita di famiglie apparentemente esemplari, ma che nascondono nelle pieghe dei rapporti interpersonali contraddizioni e lacerazioni insospettabili.
Come già ne Le correzioni, anche in questo suo ultimo lavoro, pubblicato nel 2015, al centro del racconto Franzen colloca la famiglia di Purity Tyler, giovane americana nevrotica e single, alle prese con la difficoltà di restituire un debito universitario di centotrentamila dollari, e tormentata dal fatto di non aver mai conosciuto l’identità del padre, sulla quale la madre, una specie di hippy ipocondriaca, ha da sempre posto un velo impenetrabile.
Quindi, una famiglia incompleta, nella quale Purity non si trova a suo agio, e dalla quale cerca di emanciparsi in ogni modo, fino ad accettare uno stage presso una sorta di comunità che lotta per la trasparenza delle informazioni senza il filtro dei media, fondata da una specie di giornalista santone di origini tedesche, Andreas Wolf, che richiama un pò la figura di Julian Assange, con il quale stabilisce rapidamente uno strano rapporto alla base del quale c’è il suo anelito di cambiare il mondo che non le piace, sentimento che accomuna quasi tutti i protagonisti del romanzo.
La storia si sviluppa tra la Colombia, ove ha sede il Sunlight Project presso il quale si svolge lo stage di Purity, la Germania nel racconto della vita di Andreas, e naturalmente l’America che la giovane protagonista percorre alla ricerca di indizi rivelatori dell’identità del padre.
Fino alla conclusione, che si pone alla fine di un racconto che assomiglia ad una spirale che si avvolge su sè stessa richiudendosi al termine del suo cammino, svelando una verità inaspettata, tale da farci capire quanto le apparenze ammantate di perbenismo e convenzioni stantie, possano celare circostanze e fatti ben più asciutti e poco convenzionali, ma non per questo meno accettabili e moralmente corretti.
Il talento di Franzen è impressionante, la sua padronanza della scrittura assoluta, non scade mai nella banalità ed è capace di mostrarci aspetti di quella che consideriamo quotidianità dei quali sembriamo non avvederci, ma che poi in realtà abbiamo sotto gli occhi e che non vediamo, perchè preferiamo spesso illuderci e fare a noi stessi un quadro della realtà che ci conforta ma che risulta sbiadito alla prova dei fatti.
Una lettura che arricchisce e che vale la pena di affrontare, senza lasciarci spaventare dalla mole del romanzo (più di seicento pagine), che nonostante il tema e i continui salti nel tempo e nello spazio, scorre fluido e interessante, dal quale è difficile staccarsi e che poi spiace dover abbandonare, come accade quando ci capita tra le mani un’opera degna di rilievo.
Leggetelo se vi va, ne vale davvero la pena.