Guardate questo filmato, girato due giorni fa da Fabio Matacchiera, un attivista tarantino
che, nonostante l’indifferenza e il pressapochismo di tanti, da sempre lotta perchè a Taranto possa essere assicurato un futuro almeno pari a quello delle altre città italiane, e non un avvenire segnato dalla sventura a dalla morte, come già è accaduto almeno negli ultimi quarant’anni.
La faccenda dell’ILVA di Taranto sembra non avere alcuna soluzione plausibile: da un lato la necessità di garantire occupazione in un territorio povero e martoriato di suo, che ha tradito la propria vocazione di borgo marinaro e agricolo, per abbracciare un insediamento industriale devastante che con il tempo ha drammaticamente svelato la sua vera e mostruosa natura.
Migliaia di occupati, e le loro famiglie, non possono certo permettersi il lusso di perdere il lavoro, con la desolante certezza di non poterne trovare un altro, e continuano così a prestare la propria opera in un posto che solo chi lo ha visto da vicino può intuirne la pericolosità, mettendo a repentaglio la vita ogni santo giorno.
Dall’altro, il diritto alla salute, garantito dalla Costituzione ma ignorato nei fatti, dei lavoratori e dei tarantini tutti, costretti a rintanarsi in casa quando spira il vento di maestrale, che li costringe a raccogliere da finestre e davanzali quella polvere di ferro che comunque respirano, con le conseguenze per la salute che chiunque è in grado di immaginare.
Ho rubato il titolo di questo post a quello di un libro di Alessandro Leogrande: è stato un valido scrittore tarantino, che come me ha lasciato la sua città per venire a vivere a Roma.
In “Fumo sulla città” racconta Taranto negli ultimi venti anni, fino al 2012, quando esplose prepotentemente la questione ILVA, dopo il noto intervento della locale Magistratura che ne dispose il sequestro, per il perpetuarsi dei reati di natura ambientale.
Poche settimane fa è morto improvvisamente, giovane, aveva solo 40 anni, ma nella sua breve vita ha raccontato Taranto con sincerità e amarezza, con l’affetto che si deve alla città natìa ma senza sconti, riconoscendone le straordinarie bellezze, la storia antica e gloriosa, ma anche un atteggiamento rassegnato che, credo anch’io, visto come vanno le cose, non è più ammissibile.
L’ILVA ha seminato morte, i dati forniti dalle organizzazioni che monitorizzano i legami indissolubili tra ambiente e salute lo attestano senza che alcuno possa negarne l’oggettività, e pur riconoscendo che quello sciagurato stabilimento ha un’importanza capitale nel panorama industriale nazionale (stiamo parlando del più grande siderurgico d’Europa), è necessario che il sistema politico, italiano e non, prenda atto che Taranto non è il ricettacolo ove scaricare ogni possibile spazzatura.
I tarantini hanno pagato un prezzo troppo alto, e non vedo perchè debbano ancora farsi carico di salvare la fabbrica che se è vero che ha dato loro lavoro, lo ha fatto chiedendo in cambio le loro vite.
Calenda, Poletti, Lorenzin (per citare alcuni dei Ministri a vario titolo competenti in materia) e coloro i quali consentono ai potenziali acquirenti di rimandare la messa in esecuzione dei piani di bonifica del territorio, vadano a trascorrere le imminenti vacanze natalizie a Taranto, insieme con i loro cari, e tocchino così con mano la situazione reale, respirandone anche loro, per qualche giorno, l’aria salubre e ricca di minerali (spero si colga l’ironia delle mie parole…), invece che concionare di strategie industriali e di soluzioni di mercato, come se alla salute dei tarantini possa essere attribuito un prezzo, la vita e la salute sono inestimabili.
E se non si deve cedere al meschino ricatto occupazionale messo in atto da decenni, si chiuda la fabbrica e si impieghino le maestranze per l’opera di risanamento del territorio, talmente devastato e ferito che per restituirgli decenza e salubrità ci vorranno decenni: che alla filiera industriale dell’acciaio ci pensi qualcun altro, Taranto ha già dato!
A Fabio Matacchiera, e a quanti come lui non si arrendono all’ignavia e alla rassegnazione, vada un plauso e un ringraziamento per l’impegno instancabile, nonostante l’indifferenza e spesso addirittura l’ostilità della quale vengono fatti bersaglio.