Le elezioni politiche si sono celebrate, e il risultato è quello che ci si poteva attendere: allo stato, non appare possibile la formazione di un Governo stabile e che possa operare con la necessaria autorevolezza.
Non vi è alcun dubbio su chi possa considerarsi vincitore: il M5S e la Lega sono le due compagini che hanno conseguito i risultati migliori, i primi risultando di gran lunga il partito più votato (quasi un elettore su tre), i secondi ottenendo la migliore percentuale della propria storia e conseguendo il primato all’interno della coalizione di centro destra.
Ciò nonostante, nè il M5S nè la coalizione di centro destra hanno i numeri necessari per formare un Governo, e quale che sia la scelta del Presidente della Repubblica nell’affidare l’incarico a un rappresentante del partito più votato (M5S) o a uno della maggiore coalizione (centrodestra), entrambi saranno costretti a cercare alleanze per colmare il gap che li separa dai numeri necessari per la maggioranza.
Se ciò non accadrà, perchè nessuna della altre forze vorrà partecipare alla formazione di un Governo, non ci sarà altra soluzione se non quella di andare nuovamente a votare, con il risultato, a mio avviso, di una crescita ulteriore del M5S, che potrà accusare gli altri di non aver voluto partecipare a un’esperienza comune per dare governabilità al Paese (è quello che Di Maio va già dicendo in giro, quasi a mettere le mani avanti).
A parte Liberi e Uguali, il cui progetto di attrarre i voti di coloro che nel tempo si sono allontanati dal PD, perchè non ne riconoscevano più l’identità, è fallito e me ne dispiace, convinto come sono che una sinistra vera sia assolutamente necessaria nel panorama politico italiano, pur non essendo un’elettore di quell’area, chi ha perso è senza ombra di dubbio il Partito Democratico, riuscito nella clamorosa impresa di raggiungere il suo minimo storico, al di sotto della soglia del 20%, sia alla Camera sia al Senato.
D’altronde le avvisaglie c’erano, il racconto di un’Italia in ripresa, con i magnifici risultati del jobs act, con la pioggia di nuovi posti di lavoro, con la crescita economica, con la ripresa dei consumi, etc., etc., non ha attecchito perchè la percezione della gente, e quindi degli elettori, è ben diversa, alle prese con i problemi quotidiani ai quali non riesce a trovare soluzione, alla faccia delle dichiarazioni tronituanti dei tifosi degli ultimi Governi, dei quali il PD è stato azionista di maggioranza con continuità.
E qui va in scena la pagliacciata cui abbiamo assistito ieri pomeriggio, quando l’ineffabile Segretario del PD, il mitico Matteo Renzi, dopo aver taciuto per quasi ventiquattr’ore, ha rilasciato una dichiarazione per commentare l’esito delle elezioni.
L’ho seguito in diretta in TV, vinto dal masochismo che mi impedisce di evitare di autoinfliggermi questi supplizi, e nell’ascoltarne le parole e osservandone il linguaggio del corpo, mi è tornato alla mente il titolo di uno splendido film del 1981 di Bernardo Bertolucci, interpretato da uno straordinario Ugo Tognazzi, “La tragedia di un uomo ridicolo”… non voglio essere irriverente nè offensivo, ma è francamente incomprensibile come questo personaggio non si renda conto della realtà, e dia invece segno di vivere in un sistema virtuale nel quale le cose vanno e girano come pare a lui.
Piuttosto che esaminare con onestà e lucidità le ragioni storiche che ne fanno il leader più perdente nella storia della sinistra, giacchè dopo le europee del 2014, stravinte probabilmente perchè gli elettori non lo conoscevano ancora e quindi erano disposti a dargli fiducia, poi le ha perse assolutamente tutte, amministrative, comunali, regionali, riuscendo a perdere città e regioni che nella storia erano sempre state governate dal PCi/PDS/DS, PD e così via, ha ancora una volta evitato di assumersi la responsabilità dell’accaduto, esordiendo con la prima mistificazione della realtà, tanto per non smentirsi.
Ha detto cioè che la sconfitta è figlia del no al referedum del dicembre del 2016, che ha privato l’Italia di una magnifica legge elettorale, quell’Italicum che tutta l’Europa ci avrebbe copiato! Peccato che la realtà sia totalmente diversa, visto che quella orrenda legge fu demolita a colpi di piccone dalla Corte Costituzionale, che anzi ne rimandò il giudizio a dopo la celebrazione del referendum per non influenzarne l’esito, con una dimostrazione di garbo istituzionale, virtù del tutto sconosciuta al nostro eroe.
Poi ha affermato che aveva ragione lui a voler votare nella primavera del 2017, attaccando quindi subdolamente il Presidente Mattarella, che preferì consentire la nascita del Governo Gentiloni: qualcuno ricordi a Renzi che le elezioni lui le ha perse sempre da che è assurto al potere, nei modi poco ortodossi che ricordiamo, e che le avrebbe perse in ogni caso, tanto fresco era il ricordo della sua promessa tradita di abbandonare la scena politica in caso di sconfitta nel referendum.
Ma continuando in un delirio senza limiti, il massimo lo ha raggiunto annunciando le “dimissioni a lunga conservazione”, quasi fosse una bottiglia di latte, ovvero dicendo che lascerà la Segreteria del Partito, ma solo dopo la formazione del nuovo Governo, probabilmente perchè nella sua bulimia di potere immagina di poter avere ancora voce in capitolo.
Ma allo stesso tempo annunciando che il PD non parteciperà a nessuna esperienza di Governo e che sarà comunque all’opposizione: un pò quello che fanno i ragazzini che giocano a calcio e che, se il risultato gli è avverso, se ne vanno portando via il pallone!
Insomma, uno spettacolo indecoroso: un leader politico responsabile e autorevole, si assume pienamente le proprie responsabilità, se continua a collezionare sconfitte annuncia le dimissioni e lascia immediatamente la poltrona, nell’interesse della comunità che rappresenta, consentendo a un nuovo gruppo dirigente di tentare la rinascita di un partito che ha costituito un pezzo di storia di questo Paese.
E infatti è subito iniziato il fuoco di fila delle reazioni all’interno del PD: evidentemente tutti quelli che nel 2013, quando Bersani lasciò la segreteria del partito dopo le elezioni politiche e Renzi la assunse, attraverso le primarie, si affrettarono a seguire il nuovo leader, in ossequio alla tradizione tipicamente italiana del correre in aiuto del vincitore (come disse Flaiano), ora fiutano l’aria nuova, e si rifugiano nel patetico tentativo di smarcarsi dalla figura del capo in difficoltà, pronti a schierarsi tra le truppe di quello che ne prenderà il posto, a meno che Renzi, abituato a queste manovre poco cristalline, non tenti di piazzare in quel posto qualche suo fidato ascaro, candidandolo alle eventuali primarie.
Povera sinistra italiana, che scempio per una parte politica alla quale sono appartenuti personaggi come Gramsci, Berlinguer, Ingrao, Amendola, Longo e tantissimi altri altrettanto importanti, uomini di straordinario rigore morale ed etico, dei quali non ho mai condiviso le idee ma per i quali ho sempre provato ammirazione per la loro storia e per il contributo determinante che hano fornito, per la nascita e lo sviluppo di un’Italia libera e democratica: ora invece siamo costretti ad assistere a scene imbarazzanti che vedono protagonista una classe politica imbelle e del tutto priva di senso dello Stato, che ha a cuore solo il proprio tornaconto personale, senza alcun riguardo per il bene comune.
Vedremo cosa accadrà, ma certo i segnali sono tutt’altro che incoraggianti.