Da qualche settimana su tutte le TV, di Stato e non, imperversa l’ex Ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda, il quale, anche ora che un nuovo Governo si è insediato, a seguito delle elezioni dello scorso 4 marzo, continua a dispensare considerazioni e pareri su svariati argomenti, sia di natura squisitamente politica, sia su temi di natura economico industriale, in continuità con l’attività da egli stesso svolta in qualità di Ministro.
Carlo Calenda è un personaggio che in poco tempo ha saputo costruirsi una solida reputazione, grazie a un’abile azione mediatica condotta con sagacia che non ha mancato di affascinare parte dell’opinione pubblica, ma soprattutto dei media, per l’appunto, che hanno intravisto in lui il nuovo Messia della sinistra, alla ricerca di un leader in grado di prenderne in mano le sorti, visto il tramonto di Renzi e della sua stagione d’oro.
In effetti, va riconosciuto che, almeno in apparenza, Calenda sembra essere in possesso delle doti necessarie a un leader: decisionista, fermamente convinto delle proprie opinioni, disponibile al confronto e prodigo di idee su come risollevare la parte politica alla quale fa riferimento.
Anche la sua azione di Governo è stata connotata dai principi appena elencati: il tutto accompagnato da una costante presenza in quasi tutti i talk show, nei quali non ha mancato di magnificare le sue iniziative e i risultati ottenuti nelle tante vertenze industriali in corso, e tante delle quali attendono ancora una definitiva soluzione.
Ora che non è più Ministro, molti lo accreditano del ruolo di rifondatore del campo del centrosinistra, ma io non sono del tutto convinto che tratti di una buona soluzione.
Non sono un elettore di quella parte, ma sono fermamente convinto che una sinistra moderna, coerente con i suoi principi e che prenda a cuore i problemi di quella parte degli italiani che l’hanno abbandonata perchè delusi da una politica che di sinistra non aveva nulla, sia assolutamente indispensabile per fare dell’Italia una democrazia compiuta, basata su una reale alternanza tra progressisti e conservatori, così come accade nelle Nazioni in questo senso più evolute: e che per queste ragioni Calenda non può esserne la figura di riferimento, per la sua estrazione sociale, più che borghese, per la sua predisposizione quasi naturale al privilegio delle ragioni dell’economia e della finanza rispetto alle più spicciole questioni del bene della gente comune, e soprattutto per una ragione che mi sta particolarmente a cuore, e che mi ha indotto a scrivere queste righe.
Mi riferisco alla questione dell’ILVA di Taranto, della quale ho già trattato in questo blog, e che in questi giorni sta nuovamente assumendo un ruolo di primo piano tra gli argomenti di stretta attualità.
Ieri, sul Corriere della Sera, Calenda ha pubblicato una lettera al Direttore del giornale, nella quale ha esortato il suo successore al Ministero per lo Sviluppo Economico e Vice Presidente del Consiglio Luigi Di Maio, del M5S, a spingere sull’intesa con l’aquirente dello stabilimento, il colosso indiano della siderurgia Arcelor Mittal, entro il prossimo 30 giugno, data termine per la cessione.
Calenda è stato protagonista di questo accordo, che però le rappresentanze sindacali del territorio tarantino non hanno sottoscritto, perchè non garantisce la piena occupazione dei quasi 14000 dipendenti (dei quali solo 10000 sarebbero assunti dalla nuova proprietà allo stesso livello salariale, inquadramento e diritti attuali, mentre i restanti 4000 subirebbero un diverso destino, tra assunzione in una fantomatica Società mista non ancora costituita, esodo anticipato, etc., etc.).
Nella sua lettera di ieri, Calenda sostiene che l’accordo con il colosso indiano è la sola e unica soluzione possibile, e che in caso di dissenso rischia di mandare a monte un progetto che, a suo dire, è risolutivo della questione che, giova ricordarlo, si trascina ormai da decenni.
Tutte le alternative tra quelle proposte dalle varie altre parti in commedia (nazionalizzazione, chiusura parziale, de-carbonizzazione), sono state definite da Calenda impraticabili, senza però fornire elementi oggettivi a sostegno delle proprie tesi, quasi che debbano essere assunte con atteggiamento fideistico, perchè provenienti dall’unica fonte della verità, ovvero Calenda stesso.
Io non posso e non voglio entrare nel merito, non ne ho le competenze tecniche ed economiche, ma a parte che amo essere informato con argomenti oggettivi quando mi si prospettano considerazioni sulle quali si accende un dibattito, e non assumo per certe informazioni che non soddisfino questo fondamentale requisito, ma con specifico riferimento alla de-carbonizzazione mi limito a osservare che questo processo è stato avviato e compiuto a Pittsburgh, USA, per più di un secolo la città più inquinata del mondo, con un tasso di incidenza delle malattie respiratorie del 400% superiore alla media nazionale proprio per la presenza di grandi insediamenti siderurgici, situazione del tutto analoga a quella di Taranto.
Ora, quella che veniva definita la Steel City, dopo aver de-carbonizzato gli impianti, è diventato uno dei centri più verdi degli Stati Uniti e città più vivibile d’America, secondo Forbes (2010) e l’Economist (2011), tanto da essere definita da Barack Obama “una straordinaria storia americana” (interessante la lettura dell’articolo che trovate al seguente link
Ebbene, come ribadisco non sono certamente un tecnico del settore, e non so quali possano essere le ragioni per le quali ciò che è stato possibile realizzare a Pittsburgh non si possa fare a Taranto, ma Calenda farebbe bene a spiegarlo con dati ed elementi assolutamente oggettivi, invece di affermare, come fa nella sua lettera, che l’ILVA di Taranto non può essere chiusa perchè è il più grande stabilimento siderurgico d’Europa, che la sua produzione vale da sola un punto di PIL, che gli investimenti produttivi e ambianteli previsti (ma i lavori non sono ancora mai iniziati, come tutti sanno) renderanno l’ILVA (l’unica coniugazione dei verbi che conosce è il futuro…) la migliore acciaieria del continente, che l’AIA (Autorizzazione Industriale Ambientale) definita è la più restrittiva d’Europa.
Non può cavarsela così, perchè intanto che lui discetta di massimi sistemi, nei giorni di tramontana i bambini di Taranto non possono uscire di casa per recarsi a scuola, per evitare di respirare le polveri sottili portate dal vento dai parchi minerali dello stabilimento, non ancora coperti nonostante le mille false promesse dei Governi che si sono succeduti, da quello presieduto da Monti, quando finalmente intervenne la Magistratura, i cui interventi furono poi sterilizzati da reiterati decreti salva ILVA del Governo Renzi, a quello di Gentiloni, come riporta l’articolo al link sottostante, uno tra le migliaia dedicati all’argomento
http://bari.repubblica.it/cronaca/2018/01/17/news/taranto_wind_day_chiusura_scuole-186657949/
Nè credo che possano sentirsi soddisfatti i genitori dei bambini che si ammalano quotidianamente di leucemia e di malattie dell’apparato respiratorio, che dovrebbero aspettare che si concretizzino le azioni di bonifica promesse da anni, e mai mantenute!
Quello che mi ha colpito nella lettera pubblicata ieri sul Corriere della Sera è che non si fa alcun cenno alle questioni della salute, all’infame ricatto tra lavoro e tutela della gente, a come fare per consentire ai tarantini di vivere una vita normale, visto che anche costoro sono cittadini italiani e che hanno già pagato un tributo inimmaginabile alla comunità, in termini di migliaia di cittadini che hanno perso la vita per il semplice fatto di essere nati a Taranto e non altrove, magari ai Parioli o in qualche altro quartiere vip di qualsiasi altra città.
La politica deve certamente interessarsi di questioni pratiche, di PIL, di produzione industriale, di tenuta dei conti pubblici, di presenza sui mercati finanziari nell’epoca della globalizzazione, ma il fine ultimo è quello del bene comune e della salute dei cittadini, come prevede la Costituzione nell’art. 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
Quindi, credo fermamente che sia giunto il momento che Taranto smetta di farsi carico di una situazione della quale non è colpevole, ma vittima, e Calenda faccia una bella cosa: questa estate trascorra le proprie vacanze a Taranto, c’è un bellissimo mare, se ci si allontana dal borgo e ci si dirige sulla vicina litoranea, al riparo dai miasmi dell’ILVA, troverà certamente qualche famiglia disposta ad affittargli un appartamentino al rione Tamburi, così potrà godere, soprattutto nelle giornate di tramontana, degli effluvi puzzolenti dei fumi dell’ILVA portati dal vento, e potrà così toccare con mano quanto alla gente possa fregare delle ragioni economico-finanziarie che imporrebbero di proseguire su una strada purtroppo disseminata di morti.
A me, personalmente, non frega nulla, e la salute anche di un solo bambino vale più di qualsiasi altra considerazione, e se questo vuol dire essere populista, ebbene allora lo sono.