Chissà, forse l’eterna campagna elettorale è finita…
Ieri si è celebrato il secondo turno di ballottaggio delle elezioni amministrative, in molte città, dal nord al sud del paese.
I risultati sono stati più o meno quelli attesi, e non si sono registrate sorprese clamorose, a meno che non si voglia considerare tale l’ennesima debacle del PD.
Una volta, quello che fu il più grande partito comunista dell’Occidente dominava incontrastato in numerose regioni italiane, l’Emilia Romagna, la Toscana, le Marche, l’Umbria, la Liguria, per citare quelle nelle quali il governo regionale e comunale era affidato a esponenti del PCI, e in seguito alle diverse connotazioni che il partito andò assumendo (PDS, DS, PD), praticamente senza discussioni e senza mai perdere un turno elettorale.
E per amor del vero, anche per uno come me, che non ha mai votato per quello schieramento, va detto che erano numerosi gli esempi di sicuro buon governo e di dirittura morale, tanto da fare di quelle regioni un esempio per tante altre, meno virtuose.
D’altronde, basta consultare qualche buon libro di storia contemporanea e riportare alla mente i nomi di tanti leader della sinistra che, sia a livello locale che a livello nazionale, rappresentavano dei punti di riferimento per la loro storia personale e per le loro iniziative politiche, in favore delle classi sociali meno abbienti e in piena armonia con i valori e le idee che connotano la sinistra riformista e democratica (sì, democratica, perchè, come per la destra, esiste anche una sinistra non democratica, con buona pace di quegli intellettuali, o presunti tali, convinti del contrario, a sfregio della storia).
Purtroppo, erano altri tempi, e ora la situazione è radicalmente cambiata: dopo il terremoto di Mani Pulite, nei primi anni ’90, che spazzò via tutti i partiti della prima Repubblica, tranne proprio l’allora PCI (e su questa strana circostanza sarebbe opportuno un approfondimento che porti a comprendere perchè il pool di magistrati non indagò a fondo anche su questa parte politica, ma questa è un’altra storia…), lo scenario cambiò radicalmente.
Nel corso degli anni il PCI, nelle varie configurazioni che ha assunto, ha vissuto una crisi che l’ha portato via via a cambiare pelle, ad assumere una connotazione che l’ha progressivamente portato ad allontanarsi dalla propria base elettorale, e ha dato sempre più l’impressione di essere impegnato, al suo interno, in lotte fratricide tese più a conquistare l’egemonia nel partito, che alla ricerca di soluzioni politiche funzionali al benessere e agli interessi dei propri elettori.
E così abbiamo assistito a governi presieduti da personaggi della sinistra, caduti non già perchè costretti alla resa dall’opposizione, che in Italia è sempre all’acqua di rose, sia quella di sinistra che quella di destra, ma per l’avversione di forze politiche che di quegli stessi governi erano parte integrante: ve li ricordate i famosi Ministri “di lotta e di governo”, la mattina in Parlamento e il pomeriggio in corteo a protestare contro i provvedimenti del governo del quale essi stessi facevano parte?
Insomma, la fiera delle contraddizioni, ma il culmine si è raggiunto negli ultimi cinque o sei anni, probabilmente dal 2011 in poi, quando il Governo Berlusconi saltò per la famosa storia dello spread che salì vertiginosamente e livelli insostenibili, per ragioni mai sufficientemente indagate e chiarite, e si insediò il Governo Monti, quello formato dai competentissimi tecnici, sui cui risultati e modalità di intervento ho un’opinione molto precisa che tuttavia eviterò di riferire in questo post, semmai lo farò in futuro.
Il PD appoggiò quel governo, insieme alle forze di centrodestra, Lega esclusa, fino alle elezioni del 2013, il cui esito fu tale da non consentire al partito di formare un governo con le forze alleate (il cartello elettorale vedeva una coalizione con Sinistra e Libertà di Vendola, a formare l”Italia bene comune”): segretario del PD era Pierluigi Bersani, persona di grande serietà e correttezza, uomo perbene e in quanto tale non sufficientemente apprezzato, il quale cercò senza successo un accordo con il M5S, che ottenne un risultato clamoroso.
La bomba scoppiò con la faccenda Quirinale, con la mancata elezione a Presidente della Repubblica di Romano Prodi per il tradimento nelle urne di 101 elettori del PD che, nonostante la sera prima avessero osannato la scelta di Bersani di candidare ed eleggere il Professore bolognese, già due volte Presidente del Consiglio, fecero mancare i loro voti, e Bersani, da persona seria qual è, si dimise da segretario, favorendo l’ascesa di Matteo Renzi: ecco, secondo me, quello è stato l’inizio della fine.
Il nuovo segretario, volitivo e autoritario, dopo la rielezione di Napolitano al Quirinale, pugnala alle spalle Enrico Letta (ricorderete senz’altro “Enrico stai sereno” su Twitter, a testimonianza dell’affidabilità e lealtà di Renzi), ne prende il posto a Palazzo Chigi, tradendo come al solito una sua promessa, secondo la quale mai avrebbe potuto accettare di presiedere il governo senza passare per regolari elezioni (sarà la prima di una serie interminabile di bugie), stipula con Berlusconi il patto del Nazareno, e inizia un’attività di governo che, tra scoppiettanti promesse e regalie, lo porta a conseguire nella primavera del 2014, in occasione delle elezioni europee, un clamoroso 40,8 %.
In preda al delirio d’onnipotenza, il galletto toscano promette mari e monti, imperversa in TV e sui giornali, sembra avere l’Italia ai suoi piedi, tradisce il patto del Nazareno designando in autonomia Sergio Mattarella quale Presidente della Repubblica del post Napolitano, nel gennaio del 2015, disegna la riforma della Costituzione in collaborazione con l’eterea Maria Elena Boschi, più avvezza a trattare di banche toscane piuttosto che a scrivere articoli della Costituzione stessa, tanto che leggerne la versione partorita da tali menti eccelse è sistema infallibile per far montare lancinanti emicranie, tanto era scritta male, in un italiano approssimativo e barocco, ostico anche per i più insigni linguisti.
Ma qui cominciano i guai, perchè il referendum popolare boccia senza scampo nè pietà l’orrida riforma, la Corte Costituzionale distrugge la legge elettorale che le stesse fertili menti avevano partorito, l’orripilante Italicum, e nelle varie elezioni che intanto vengono celebrate, regionali, amministrative e comunali, il Pd colleziona una serie strabiliante di sconfitte, perdendo in luoghi fino a quel momento di suo assoluto dominio, facendo di Renzi il leader più perdente della storia della sinistra italiana, oggettivamente e indubitabilmente.
Chi sembra non accorgersene è una buona parte dei mass media che, nonostante i numeri testimonino il contrario, continuano a vedere in Renzi una sorta di Messia: lui, d’altro canto e così come la Boschi, continua a restare sulla scena, nonostante la promessa di ritirarsi a vita privata se sconfitto al referendum, ma di mantenere la parola il personaggio non è proprio capce.
Il PD si è avvitato ormai in una crisi che sembra essere irreversibile, è diventato il partito dell’establishment, più forte nel quartieri del centro delle città che nelle periferie, che non considera più, interessato più alle esigenze delle banche, della grande finanza, dell’industria: e ciò si riverbera nelle politiche che ha messo in atto in otto anni di governo, vedi l’abolizione dell’art. 18 (cosa che non riuscì nemmeno a Berlusconi) e il jobs act, che ha aumentato il lavoro precario e lacerato i diritti dei lavoratori, i decreti salva banche (vedi caso Boschi) costati miliardi, e che hanno azzerato i risparmi di migliaia di persone che ancora attendono di essere risarcite, la riforma della Buona Scuola, con docenti meridionali spediti al Nord e settentrionali al Sud, senza motivi sostanziali (a Napoli si dice “facite ammuina”), con il risultato di avere allontanato dal proprio elettorato i docenti, che da sempre hanno guardato a sinistra, e mille altre iniziative che definire di sinistra è impossibile (compresa l’abolizione dell’IMU e il bonus studenti, perchè non far pagare la tassa o elargire il bonus indifferentemente dal reddito non è certo di sinistra).
La sinistra ha ceduto il governo di luoghi simbolo, Monfalcone, Siena, Genova, Torino, Massa, Pisa, Cinisello Balsamo, Catania, Imola, Ivrea, governata dalla sinistra ininterrottamente dal 1946 a stamattina!, la Liguria, e mille altri posti, ponendosi in una posizione che lo rende ormai irrilevante e privo di efficacia.
Ora il quadro politico è profondamente cambiato, la scena è dominata dalla diarchia Lega-M5S, con Salvini che, dopo aver ridotto ai minimi termini Forza Italia, in attesa di fagocitarla completamente, sembra avere iniziato un’opera inesorabile di erosione del suo momentaneo alleato, quel Movimento 5 Stelle che non pare essere in grado di contrastarne efficacemente la frenetica attività.
Come chi legge questo blog sa, non sono un elettore della sinistra, dalla quale mi separano idee e convinzioni, ma credo profondamente nella democrazia, nella civile coesistenza di posizioni e iniziative diverse, nello spirito e nel fine, e anelo un sistema politico che garantisca l’alternanza di governo, chi vince amministra la cosa pubblica, chi perde ne controlla l’attività, e gli elettori valutano, giudicano e nel segreto delle urne dichiarano la priopria volontà, che va rispettata sempre e comunque, tanto più quando è contraria alle nostre opinioni.
E questo vale proprio per la sinistra, che invece di interrogarsi seriamente sui motivi e sulle ragioni che hanno portato nel tempo i propri elettori a guardare altrove e ad abbandonarla, continua imperterrita ad assumere quel fastidioso atteggiamento di spocchia e odiosa e presunta superiorità intellettuale e morale, del tutto ingiustificata, per cui se alle elezioni perde non è perchè ha sbagliato qualcosa, ma perchè gli elettori non hanno capito nulla: ciò non è tollerabile, non esistono patenti di competenza, e nessuno ha mai autorizzato la sinistra a ergersi a giudice insindacabile dei giudizi altrui.
E così se il censimento dei ROM lo propone la Lega è razzismo e odio etnico, se invece lo propone Milano o la Regione Emilia Romagna è per garantire ai ROM diritti e assistenza; se Salvini pensa alla chiusura dei porti per contrastare il fenomeno degli sbarchi è mancare al dovere di assistere i profughi, se lo fa Minniti è un atto dovuto e indispensabile (vedere la prima pagina di Repubblica del 29 giugno 2017), e tanti altri possibili esempi.
E da persona che non vota a sinistra, sono sinceramente preoccupato dall’irrilevanza di questa parte politica, perchè non mi piace l’idea di un’Italia nella quale si concretizzi un’egemonia della destra, tanto più quella italiana, imperfetta e lontana da il conservatorismo liberale al quale mi riferisco idealmente, quello che ha dato alla nostra Nazione uomini illustri e che hanno contribuito alla formazione del nostro tessuto sociale, al pari dei migliori rappresentanti della parte politica avversa.
La rifondazione della sinistra è necessaria, fondamentale per il futuro democratico e per la tenuta delle istituzioni del nostro Paese, e il ruolo che il PD, o di quello che diventerà, deve giocare è di importanza capitale, a patto che si liberi di una classe dirigente non all’altezza, formata purtroppo da personaggi incapaci di un’analisi critica delle esigenze dell’attuale società, avvezzi esclusivamente a compiacere il leader di turno, tradendo ripetutamente i propri ideali, semmai ne dovessero avere.
Sarà necessario cominciare a guardare in direzione della gente, di coloro i quali vivono in condizioni difficili, rinunciando a frequentare i salotti buoni, le convention nelle quali si inneggia a risultati mirabolanti ottenuti dai governi a trazione PD, dei quali però gli elettori non si sono avveduti, e si potrà fare solo se si abbandonano le infatuazioni per i Macron all’amatriciana di turno (premesso che Macron mi sta profondamente sulle scatole, vista l’ipocrisia e la spocchia con la quale agisce, tipicamente sciovinista alla francese, in definitiva un Renzi più acculturato ma altrettanto arrogante).
Certo il nuovo Messia della sinistra non potrà essere, a mio sommesso avviso, quel Carlo Calenda dalle cui labbra pendono in tanti: faccio fatica a pensare che un uomo con la sua storia, borghese come più non si può, possa avere la sensibilità di pensare e anche solo di conoscere quali sono le esigenze degli ultimi, di quelli che faticano ad arrivare alla fine del mese, a privilegiare gli interessi dei lavoratori a quelli degli industriali (si veda la vertenza ILVA e le posizioni assunte da Calenda, delle quali ho scritto in post precedenti): piuttosto si volga lo sguardo alle realtà locali, ove certamente ci sono amministratori capaci e competenti, definendo una strategia di rinascita per consentire agli elettori di poter scegliere tra blocchi contrapposti ma capaci di garantire un’azione di governo responsabile e non volta soltanto a elaborare lo slogan più efficace, come si fa di questi tempi, da destra a sinistra, con risultati miserrimi.
Non è vero che sinistra e destra non esistono più, che è tutto un solo unico brodo: i due schieramenti vedono la società maniera diversa, con riferimenti sociali e culturali differenti, e in Italia mancano proprio due formazioni politiche che le rappresentino degnamente, rispettando la storia ma guardando al futuro, alle pulsioni di una società che si evolve con velocità staordinaria.
Ne va del futuro delle nuove generazioni e dei giovani ai quali la classe politica deve delle risposte convincenti, per evitare quel fenomeno apparentemente irreversibile che vede l’Italia invecchiare sempre più, per la fuga all’estero dei trentenni che non trovano lavoro: una classe dirigente che non sia capace di farsi carico di questi problemi, abbandonando le conventicole e le meschine discipline di partito, non è degna di dichiararsi tale.