La tragedia dell’ex ILVA

E’ frustrante dover constatare che quanto hai capito e metabolizzato della vita vissuta fin qui non ti è servito per comprendere fino in fondo come davvero funzionano le cose, in questa strana società nella quale viviamo, che pare attribuire priorità e importanza ad aspetti che, per quanto mi riguarda, andrebbero valutate con diverso impatto, rispetto a ciò che invece si fa.

Sono nato a Taranto, vi ho vissuto per tantissimi anni, amo la mia città d’origine, dalla quale mi sono allontanato perché portato altrove dalle dinamiche legate alla mia professione: ma ciò non mi impedisce di continuare ad amarla, a seguirne con passione le vicissitudini, ci torno ogni volta che posso, e mi rende triste dover rilevare che quella città dalla storia millenaria e gloriosa oggi è assurta agli onori della cronaca per vicende drammatiche, e che la pongono in una condizione tenebrosa che non merita.

E’ di ieri la notizia che Arcelor Mittal, la cordata franco-indiana che si è aggiudicato il contratto d’acquisizione dell’acciaieria ex-ILVA, intende abbandonare il sito, e interrompere le attività produttive, come conseguenza dell’abolizione dello scudo penale decisa dal Governo.

Ciò significherebbe, ove la minaccia si concretizzasse, la chiusura dello Stabilimento, con le evidenti ricadute sul piano occupazionale, e la sospensione delle attività di bonifica dell’impianto: un vero e proprio cataclisma, che produrrebbe un danno incalcolabile per un territorio già drammaticamente provato da una crisi economica e sociale devastante.

Naturalmente, data la rilevanza della notizia, ieri tutti gli organi d’informazione si sono concentrati sul fatto, dandogli il risalto che merita, sia sulle reti RAI che su quelle commerciali.

Ieri sera, durante il prime time, sono andati in onda, rispettivamente su Rete4 e LA7, i talk show “Stasera Italia” e “Otto e mezzo”: vediamo chi erano gli ospiti delle due trasmissioni.

Stasera Italia: Vittorio Sgarbi, Alan Friedmann, Marcello Sorgi, Massimiliano Romeo, Fabio Dragoni

Otto e mezzo: Carlo Calenda, Gianrico Carofiglio, Alessandro Sallusti, Luca Telese

A seguire, sempre su Rete4, anche a “Quarta Repubblica” si è parlato del medesimo tema, e sono intervenuti di nuovo Calenda, Sallusti e Telese.

Non mi interessa discutere delle rispettive posizioni, sia per quelle che condivido, sia per quelle che non mi convincono: la faccenda è di tale complessità e gravità, che non può essere ridotta a una guerra di religione tra opposte fazioni: vi sono realtà oggettive, basate su dati registrati e comprovati, rispetto alle quali ogni discussione è sterile e strumentale.

Ciò che invece mi preme osservare è quanto segue: nel corso degli interventi di tutti i personaggi che ho citato, tutte le riflessioni si sono riferite alle ragioni dell’economia, della finanza, del contratto.

Ai dibattiti cui ho assistito, resistendo più volte alla forte tentazione di scagliare un peso contro la televisione, tanta era la rabbia che ho provato, mancava il classico convitato di pietra: una significativa rappresentanza dei Tarantini, quei cittadini innocenti e incolpevoli che da decenni si ammalano e muoiono, vedono ammalarsi e morire i loro congiunti e i loro figli, spesso neonati, la cui unica colpa è quella di essere nati in una terra della quale, evidentemente, alla classe politica tutta, succedutasi da cinquant’anni in qua, non frega assolutamente nulla.

E allora, giù con considerazioni quali, per esempio:

  • la fabbrica genera l’1,4 dell’intero PIL nazionale, e la sua chiusura sarebbe un danno per l’intera Italia

  • la nostra Nazione non può rinunciare all’acciaio, ne va del futuro della sua industria pesante

  • la chiusura dell’ex ILVA costringerebbe ad abbandonare il mercato dell’acciaio e a importarlo dall’estero

  • l’ex ILVA è una fabbrica di interesse strategico nazionale, e come tale la sua chiusura non può essere tollerata.

Tutto vero, tutto giusto, ma spero che qualcuno più avvertito e informato di me sia in grado di rispondere a questa domanda: se l’ex ILVA vale l’1,4 del PIL, quanti punti valgono le vite e la salute delle decine di migliaia di Tarantini ammalati di cancro, e le decine di migliaia di Tarantini morti per patologie oncologiche direttamente conducibili alle emissioni nocive della fabbrica assassina?

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/taranto/1175769/mamma-dona-quadro-con-teschio-a-ministro-bellanova-mio-figlio-ucciso-da-diossina.html

Vi assicuro che nessuno degli ospiti delle trasmissioni che ho richiamato si è preoccupato di fare anche solo un semplice cenno al problema della salute, della necessità di garantire ai Tarantini gli stessi diritti dei quali godono gli altri Italiani, pur sanciti dalla Costituzione vigente, alla quale tutti ci richiamiamo, ma solo quando ciò ci aggrada, il cui art. 32 garantisce “la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”: addirittura Marcello Sorgi, noto giornalista normalmente equilibrato e informato, ha affermato che il nesso causale tra inquinamento e malattie è tutto da dimostrare, frase della quale farebbe bene a vergognarsi e che cozza con la realtà dei fatti.

Tutta la discussione si è invece sviluppata attorno alla questione dello scudo penale, ovvero quell’autentico obbrobrio giuridico messo in campo nel 2015 dal Governo Renzi, poi confermato durante la stipula del contratto e ora abolito dall’attuale Governo con i voti, oltre che del M5S da sempre avverso al provvedimento, del PD e di Italia Viva dello stesso Renzi: cioè quelli stessi che lo hanno introdotto, ora lo bocciano, ennesima dimostrazione di quanto siano pagliacci i nostri politici.

Lo scudo penale, condizione sine qua non perché Arcelor Mittal non abbandoni il campo, garantisce all’Azienda l’impunità nella realizzazione dei lavori contenuti nel cronoprogramma sottoscritto dalle parti: Gianrico Carofiglio, con il quale normalmente dissento, ieri sera ha spiegato con chiarezza e lucidità quanto questa folle iniziativa sia sbagliata e insostenibile, giacché la norma giuridica è generale e astratta, e un dispositivo che assicuri a un esclusivo soggetto (Arcelor Mittal nello specifico) un siffatto privilegio non è sostenibile e, con ogni probabilità, soggetto a un giudizio di in costituzionalità.

Cogliendo di sorpresa l’ineffabile e fenomenale Calenda, come sempre pieno di sé e autoconvinto delle sue miracolistiche doti, autoreferenziale e velleitario, il quale pur di difendere la sua azione, a mio avviso tutt’altro che positiva, è incorso in un errore grossolano che mette a dura prova la sua immeritata fama di persona competente e affidabile, allorché ha affermato che lo scudo penale è assolutamente corretto perché la legge all’interno della quale era inserito ha passato il vaglio del Quirinale.

Carofiglio, con serafica pazienza, ha dovuto spiegargli che quello del Quirinale è solo un esame per verificare palesi aspetti di incostituzionalità, e che il vero e definitivo giudizio è quello dell’Alta Corte: giova ricordare che la Procura di Taranto ha presentato un ricorso a tal proposito, le cui possibilità che venga accolto sono estremamente alte.

E va anche considerato che la minaccia di Arcelor Mittal di chiudere lo Stabilimento è di tutt’altro che semplice fattibilità, perché in ogni caso dovrà essere un tribunale a stabilire se le ragioni addotte dall’Azienda sono sufficienti perché si possa arrivare alla risoluzione del contratto, non basta che sia la stessa Azienda a deciderlo con un atto provocatorio e strumentale.

La verità è un’altra: l’Azienda non ha alcuna intenzione di rispettare il cronoprogramma, pur liberamente sottoscritto, e la prova è che la Procura di Taranto (secondo qualcuno colpevole di essere intervenuta a tutela della legge, quasi che perseguire i reati non sia suo preciso dovere, a tutela dell’ordine e del rispetto delle regole) le ha ingiunto di dare immediato impulso ai lavori di messa a norma dell’Altoforno 2, non ancora iniziati a dispetto degli impegni assunti, pena lo spegnimento dello stesso.

E non solo: la stessa Azienda ha programmato la messa in Cassa Integrazione di 5000 operai, visto il calo della produzione dovuto al crollo del prezzo dell’acciaio sul mercato internazionale, in totale disaccordo con il dettato contrattuale.

Quindi concludo con due considerazioni finali:

  • i politici, i commentatori, i presunti autorevoli giornalisti, si vergognino per non porre in doveroso rilievo il drammatico problema della tutela della salute dei Tarantini, da tempo minata da un comportamento criminale dall’establishment che ha privilegiato interessi di parte e di bottega, piangendo lacrime di coccodrillo dinnanzi ai lamenti di autentico dolore delle mamme e dei padri dei bambini innocenti morti per le mefitiche esalazioni della fabbrica assassina. Questo assassinio di stato (la lettera minuscola è voluta) non può continuare, dove non interverrà la giustizia su questa Terra lo farà quella divina, ne sono certo

  • l’attuale Governo non ceda al bieco e turpe ricatto dell’Azienda, le cui ragioni sono false, strumentali e non sostenibili, e la costringa a rispettare gli impegni assunti senza accampare scuse e pretesti. La legge è uguale per tutti, si rispetti il cronoprogramma sottoscritto dalle parti, nessuno potrà accusarla di colpe pregresse, ma non può pensare di fare profitto sulla pelle dei Tarantini.

La politica deve garantire il benessere della gente che elegge propri rappresentanti, la salute è un diritto, non una gentile concessione, chi non tiene a mente questo comandamento mandatorio non è degno del ruolo che occupa e va giudicato per le nefandezze delle quali si rende protagonista, senza pietà.

E io, per tornare alle considerazioni che esprimevo in apertura di questo scritto, dovrò ripensare ai miei principi, ai quali tuttavia non intendo rinunciare: pensavo esistesse coscienza, dignità, sentimenti di comprensione rispetto ai problemi del prossimo, e invece tutto si piega alla meschina logica del mercato, dell’economia, dei numeri e della finanza.

E’ spiacevole doverlo constatare ma la storia e la cronaca sono lì a dimostrarlo con assoluta e implacabile evidenza.

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