Il bluff di Arcelor Mittal

Sapete chi era Alessandro Morricella?

Era un operaio trentacinquenne dell’ex ILVA di Taranto: il giorno 8 giugno del 2015 era come sempre al lavoro, e mentre controllava la temperatura presso il foro di colata dell’Altoforno 2 dello Stabilimento, venne investito da una fiammata, mista a ghisa incandescente e, trasformato in una torcia umana, dopo il ricovero in ospedale, morì tra atroci sofferenze il 12 giugno successivo.

E, crudele fatalità, il 12 giugno del 2003, presso lo stesso Stabilimento morirono uccisi dal crollo di una gru Paolo Franco e Pasquale D’Ettorre, altri due operai dell’ex ILVA.

E sapete cosa si “festeggia” il 12 giugno?

E’ il giorno dedicato alle vittime del lavoro…

Questa triste premessa per introdurre l’argomento di questo post: ieri, a Roma, a Palazzo Chigi, si è svolto l’atteso vertice tra il Governo e Arcelor Mittal, convocato con urgenza per capire quali fossero le ragioni alla base della decisione dell’Azienda di abbandonare le attività presso lo Stabilimento tarantino, e per verificare in che modo superare le divergenze.

La riunione si è conclusa con un drammatico nulla di fatto, come annunciato dal Presidente del Consiglio in una conferenza stampa svoltasi in tarda serata: l’Azienda, pur di fronte alla disponibilità del Governo a reintrodurre il famigerato scudo penale, la cui eliminazione era stata spacciata dalla stessa come condizione dirimente per la prosecuzione delle attività, non ha fornito alcun segnale di apertura, anzi rilanciando con la richiesta di accettare una quota di esuberi pari a 5000 operai, in totale non conformità rispetto a quanto previsto nel Piano Industriale.

Il Governo ha concesso ad Arcelor Mittal due giorni di tempo per tornare sulle proprie decisioni, prima di intraprendere opportune iniziative a tutela del rispetto delle condizioni contrattuali.

Il bluff dell’Azienda è svelato, al di là di ogni ragionevole dubbio, e il gioco che quest’ultima intende mettere in campo è palese.

Arcelor Mittal ha partecipato alla gara per l’assegnazione dello Stabilimento ex-ILVA con l’esclusivo fine di sottrarlo alla concorrenza, acquisendo di fatto una posizione di assoluta predominanza in Europa, e progettandone la progressiva sterilizzazione e la cessazione delle attività produttive.

Ma il compimento di questo progetto subdolo si è scontrato con:

  • la flessione che il mercato dell’acciaio sta subendo sul mercato da mesi, il che ne sta cambiando sensibilmente i parametri di costo-efficacia della relativa produzione

  • la considerazione di aver clamorosamente sbagliato il Piano Industriale, basato su previsioni rivelatesi eccessivamente ottimistiche e ora difficilmente sostenibili. Il Calo di produzione, passato dai sei milioni di tonnellate previste nel Piano ai quattro milioni e mezzo effettivi, fa sì che l’Azienda accumuli una perdita di circa 50 milioni di € al mese!

Di fronte a questa situazione di estrema difficoltà, Arcelor Mittal ha giocato la carta dell’eliminazione dello scudo penale, approfittando dell’approvazione dell’emendamento approvato al Senato, proposto dal M5S e votato da PD, LeU e Italia Viva.

Cosa accadrà ora, e in che modo sarà possibile trovare un punto di equilibrio tra le richieste dell’Azienda e le posizioni del Governo?

Capirlo è francamente impossibile, forse non c’è da essere particolarmente ottimisti, visto lo scenario, ma qualche considerazione è opportuna.

  • ho richiamato all’inizio del post la triste vicenda di Alessandro Morticella. L’ho fatto perché qualcuno, tra i presunti autorevoli commentatori che stanno dando sfoggio di altrettanto presunta saggezza nel talk show, afferma che il sequestro dell’Altoforno 2 disposto dalla Procura di Taranto a seguito del mortale incidente sia stato un errore. Secondo loro quindi, la morte sul lavoro di un operaio, causata dalla vetustà dell’impianto e dalle ripetute e colpevoli mancate manutenzioni dello stesso, doveva rimanere impunita, nel nome della continuità della produzione e del profitto: approvando così l’iniziativa del Governo Renzi, che nel 2015 varò l’ennesimo decreto salva ILVA per autorizzare l’attività dell’altoforno, appena sequestrato. E ciò nonostante che la Corte Costituzionale, nel 2018, abbia bocciato tale decreto, perché palesemente privilegiava l’interesse verso l’attività produttiva, rispetto ai diritti costituzionali e inviolabili della tutela della salute e della vita stessa. L’impianto è stato nuovamente sequestrato nel luglio di quest’anno, perché dal 2015 a oggi non si è adempiuto a nessuna delle prescrizioni, e ora l’Azienda sostiene di non essere in grado di provvedere entro il prossimo 31 dicembre, perché il tempo non è sufficiente! Allora, pace all’anima di Alessandro Morticella e andiamo avanti come se nulla fosse

  • sullo scudo non voglio tornare, ne ho già scritto e confermo la mia totale contrarietà, osservando che tale obbrobrio giuridico non ha uguali in nessuno Stato del mondo, almeno per quanto mi consta, e il solo discuterne equivale a far finta che in Italia non esistano né una Costituzione, né un Codice Penale, e che la legge non è uguale per tutti, ma la si applica per taluni in modi e inflessibilità diversi che per altri.

Vorrei proporre a chi vorrà leggere queste righe un’ulteriore riflessione: ho notato che sta cominciando a serpeggiare tra i commentatori un dubbio, ovvero se la scelta di affidare le sorti dell’ex ILVA ad Arcelor Mittal, piuttosto che alla sua concorrente nelle fasi di aggiudicazione della gara, cioè alla cordata Jindal-CDP-Arvedi, sia stata opportuna.

In effetti, le due proposte d’offerta, pur simili in larga parte, si differenziavano essenzialmente per due aspetti:

  • la cordata Jindal-CDP-Arvedi forniva maggiori garanzie sul piano occupazionale, proponendo un minor numero di esuberi, rispetto al concorrente

  • tale compagine prevedeva al sua interno Cassa Depositi e Prestiti, quindi una sia pur indiretta presenza dello Stato, a tutela dell’investimento

  • soprattutto, apriva alla possibilità di una riconversione tecnologica dell’impianto, attraverso la decarbonizzazione, così come è avvenuto in altri siderurgici (Pittsburgh, un caso emblematico), processo in grado di abbattere drasticamente le emissioni inquinanti, causa della morte e della malattia per migliaia di Tarantini

Ma ancora oggi inspiegabilmente, il Ministero dello Sviluppo Economico, attraverso il titolare del Dicastero Carlo Calenda, optò per Arcelor Mittal, con le conseguienze che ora sono sotto gli occhi di tutti.

E proprio ieri, Francesco Boccia, Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie nell’attuale Governo, si pone lo stesso quesito, al quale Calenda da tempo ormai rifiuta di rispondere, con argomentazioni oggettive che sfuggano al suo consueto atteggiamento spocchioso, di persona convinta delle sue taumaturgiche doti e piena di sé, al di là dei ormai conclamati insuccessi, sui quali glissa aggredendo chiunque osi contraddirlo.

E ora qual è il risultato di questa vicenda drammatica e che pone in una luce sinistra l’attività di tutti i Governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni almeno, e che hanno privilegiato, con palese, colpevole, meschina e ignobile evidenza, la tutela di interessi materiali alla salvaguardia della salute e della dignità di onesti cittadini, che devono sottostare quotidianamente al turpe ricatto del lavoro contro la salute loro e dei loro figli?

Il comportamento dell’Azienda è disonesto e inaccettabile, e ove mai il Governo dovesse cedere al suo diktat, si aprirebbero almeno due questioni:

  • la prima sarebbe la dimostrazione di una debolezza che farebbe del nostro Paese il regno del Bengodi, ove il primo investitore di passaggio potrà pensare a giusta ragione di venire a procacciarsi i suoi affari, conscio del fatto che potrà godere di un trattamento privilegiato, potrà ricattare il nostro Governo che calerà prontamente le braghe di fronte alla protervia e alla prepotenza, e che l’applicazione delle leggi vigenti sarà elastica, accomodante, e che non gli arrecherà alcun danno sostanziale. Definirci Repubblica delle banane sarà un modo edulcorato di pensare a ciò che davvero siamo

  • Arcelor Mittal si è aggiudicata la gara, di evidenza europea, sulla base della presentazione e dell’accettazione di un Piano Industriale che conteneva precisi impegni in termini di garanzia dei livelli occupazionali, di investimenti per la bonifica del sito e garanzia dei tempi per la realizzazione delle necessarie attività. Peraltro, oggi il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo nel quale si rivela che già nel 2017 i tecnici esperti dei Commissari governativi cui era stata affidata la gestione dello Stabilimento, avevano bocciato il Piano Industriale, giudicandolo carente e inattuabile, il che non impedì a Calenda di aggiudicare comunque la gara al consorzio franco-Indiano… Concedere all’Azienda di cambiare anche solo una di questi impegni contrattuali presta indubitabilmente il fianco a prevedibili azioni di rivalsa da parte dei competitori, e quindi non vi sarebbe altra strada che quella di riaprire le fasi di gara e la gestione delle procedure d’appalto, con i tempi che ne conseguono.

Siamo in un vicolo cieco, e in questa vicenda non è in gioco solo la salute dei Tarantini, della quale è già stato fatto scempio da decenni, la tutela del posto di lavoro per migliaia di operai che rischiano di finire in mezzo a una strada, ma la credibilità stessa di un’intera classe politica, di maggioranza e di opposizione, già ampiamente e forse irrimediabilmente compromessa, e in definitiva del nostro stesso Paese.

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