Continuano a susseguirsi le inquietanti notizie sulla diffusione del contagio, i cui numeri stanno salendo impietosamente, tanto da indurre il Governo e le Regioni a intraprendere iniziative volte a contenere la diffusione del virus.
E’ la cosiddetta seconda ondata, che tutti speravamo non si verificasse ma che purtroppo sembra essere in pieno svolgimento.
Ricordiamo tutti ciò che ci capitò di vivere nella passata primavera, quando l’onda d’urto del virus ci travolse, o meglio investì il mondo intero che non si aspettava un dramma di tali proporzioni, e fummo costretti a sopportare un periodo di forzata clausura nelle nostre abitazioni, provvedimento straordinario e senza precedenti storici, ma che certamente contribuì a combattere quel fenomeno che ha mietuto decine di migliaia di vittime nel nostro Paese, ponendo tutti noi dinnanzi a un’angoscia della quale ancora oggi avvertiamo il peso.
E nonostante siano stati compiuti errori di sottovalutazione e in qualche caso di superficialità, sui quali a tempo debito sarà necessario e doveroso fare riflessioni attente e scevre da pregiudizi, va dato atto al Governo che la gestione di quei giorni di fronte a un evento assolutamente inaspettato e altamente drammatico fu tale da consentire il contenimento della diffusione dell’infezione.
Poi, pian piano, i dati che quotidianamente venivano sciorinati da tutti gli organi d’informazione cominciarono a lasciar intravedere uno spiraglio, e finalmente il lockdown al quale tutti fummo costretti finì, e si cercò di tornare a una relativa normalità, pur con mille doverose precauzioni.
Va detto tuttavia che i virologi, gli scienziati che ormai sono diventati parte del nostro quotidiano e che ci forniscono pareri e opinioni sul virus, magari contrastanti talvolta, non hanno mai mancato di paventare la famosa seconda ondata, che nelle loro previsioni avrebbe potuto verificarsi in autunno: mancava la certezza che ciò potesse avvenire, ma intanto l’allarme era stato lanciato.
E d’altra parte, la drammatica esperienza vissuta fino a poche settimane prima, le manchevolezze registrate per via della sorpresa prodotta da un fenomeno inaspettato e senza precedenti, suggerivano l’adozione di provvedimenti tali da garantire che, in caso di una recrudescenza del contagio, non ci si facesse cogliere nuovamente in fallo.
Si consideri, d’altronde, che il Governo proclamò lo stato d’emergenza il 31 gennaio u.s. e che tale provvedimento straordinario e senza precedenti è stato via via procrastinato fino al 31 gennaio 2021, caso unico in Europa, il che testimonia della gravità della situazione, altrimenti la cosa non troverebbe spiegazione logica.
Ora vorrei proporre una riflessione su quello che stiamo vedendo accadere in questi giorni, di fronte a una recrudescenza violenta del contagio, rispetto alla quale sembra però che la sorpresa si rinnovi, e si stanno vivendo difficoltà di gestione che molto somigliano a quelle patite nei mesi passati.
Come sa chi ha la bontà di leggere questo blog, io sono un Militare: e chi appartiene a questa schiera, viene spesso accusato di rigidità mentale, di poca flessibilità, di essere poco incline all’elasticità.
Non mi abbandonerò a una difesa d’ufficio della categoria, non è questa la sede né il mio obiettivo, ma vorrei soltanto descrivere come viene normalmente gestita un’attività di pianificazione, quando ci si trova davanti alla necessità di organizzare un intervento operativo per fare fronte a una situazione complessa che vede il coinvolgimento di più attori.
Naturalmente in uno scenario operativo navale, che è stato ed è il mio mondo, ma il metodo è largamente adottato e diffuso in tantissimi altri settori.
La pianificazione è l’attività più importante in questi contesti, e tutto deve essere previsto e definito fino al massimo livello di dettaglio possibile: quando un’Unità Navale lascia il porto e prende il mare, spesso per periodi lunghi e ininterrotti, è un piccolo mondo che si muove, e deve essere autonomo e in grado di sostenersi, garantendo allo stesso tempo l’operatività ai fini della missione che le è stata assegnata, e la sicurezza del personale di bordo.
Il Comandante, sul quale grava la responsabilità totale dell’azione, affida al suo Stato Maggiore, ovvero agli Ufficiali alle sue dipendenze, compiti precisi, che tengono conto della specificità dei rispettivi ruoli e competenze, e questa squadra deve muoversi all’unisono: numerose sono le riunioni che precedono la partenza, e i pareri su quello che si dovrà fare vengono valutati attentamente, ma una volta stabilite le regole d’ingaggio, tutti remano nella stessa direzione, senza tentennamenti e discussioni.
E non vi è alcun dubbio su chi debba fare cosa: quando sei in mare aperto, a centinaia di miglia dal porto più vicino, devi confidare solo sulle tue risorse, ed essere in grado di gestire situazioni complesse sapendo che la guida è sicura e tutti seguono lo stesso spartito.
Ma poi accade l’imponderabile, si presentano improvvisamente situazioni inattese, e allora scatta l’emergenza, e non sempre la soluzione è immediata, ma è necessario intervenire con una prontezza che talvolta richiede interventi che nessun manuale è in grado di suggerire: vengono quindi adottate procedure per la crisi, già definite in un ambito di gestione del rischio, al fine di mitigarne gli effetti.
In parole povere, si cerca di “prevedere” anche l’imponderabile, valorizzando le situazioni di emergenza già vissute in passato e analizzandone gli effetti e le relative soluzioni adottate.
Se questo sistema funziona, se tutte le componenti lavorano con sincronia, la missione si concretizza positivamente, altrimenti il fallimento è dietro l’angolo, a volte con conseguenze drammatiche.
Perché tutto questo ragionamento?
Ho l’impressione che i nostri governanti poco frequentino la scienza della pianificazione, della programmazione, dell’identificazione delle esigenze e della conseguente definizione delle iniziative atte a soddisfarle, ma preferiscano piuttosto avvalersi di strumenti impropri (vedi il ricorrere allo stato d’emergenza) che tuttavia non forniscono i risultati attesi.
Ecco dunque che in questi giorni, di fronte alla preannunciata seconda ondata, e ai problemi e alle carenze che si stanno presentando, tanto somiglianti a quelli vissuti nei mesi precedenti, ci sentiamo dire che c’è il problema delle terapie intensive, che mancano i reagenti per i tamponi, che è saltato il sistema di tracciamento dei contagiati, che c’è carenza dei vaccini antinfluenzali, che i trasporti possono costituire un rischio di diffusione del contagio e decine di altri punti di debolezza che non elenco, perché non vi è giornale o mezzo d’informazione che non li denunci con dovizia di particolari.
Come già detto, ciò era tollerabile, anzi giustificato, durante la prima fase, quando la pandemia arrivò e ci colpì tra capo e collo, ma ora, a quattro mesi dalla fine del lockdown, questa situazione che rischia di farci ripiombare in un dramma annunciato, è grave e imperdonabile.
Task force, Commissari straordinari rivelatisi incapaci, Stati generali convocati in pompa magna al solo fine di fornire una passerella ai pavoni in cerca di notorietà, ma privi di alcuna efficacia, a nulla sono serviti se ora dobbiamo prendere atto che le difficoltà e i drammi vissuti solo pochi mesi fa rischiano di ripresentarsi con oggettiva esigenza.
Non sono così folle o presuntuoso da pensare di poter paragonare il sistema di gestione operativa che ho descritto con una situazione drammatica e immane come è una pandemia, ma un Governo degno di questo nome che si trova a gestire un momento storico, ha il dovere di abbandonare la demagogia, il mero calcolo utilitaristico e dimostrare senso di responsabilità e del dovere istituzionale.
Abbiamo sentito parlare per mesi di modello Italia, di come gli altri Paesi chiedevano al nostro Presidente del Consiglio copia dei miracolosi DPCM per poterne adottare i mirabolanti provvedimenti, salvo poi scoprire che la seconda ondata ci coglie con una mano davanti e una dietro, come si suole dire.
Mi tengo alla larga da quanti invocano una Norimberga, il senso della misura e la serietà impone comportamenti diversi, ma se, tanto per fare un esempio, qualcuno non è capace di fare niente di meglio che proporre il contratto per incrementare i posti in terapia intensiva solo ai primi di ottobre, pur essendo da mesi disponibili i fondi, con il risultato che, se tutto va bene, li vedremo tra qualche mese, bisogna che questo qualcuno si assuma la responsabilità della propria negligenza, perché se ciò può produrre danni alla salute pubblica, la cosa non può passare in cavalleria.
Situazioni serie richiedono comportamenti seri, non pagliacciate, passerelle narcisistiche ma prive di concretezza: chi non è oggettivamente in grado di adempiere ai suoi compiti ne prenda atto e non sfrutti la propria inopinata posizione di privilegio scherzando con la salute della gente, ciò non è moralmente, eticamente e politicamente accettabile, e la storia non mancherà di ricordarlo a tempo debito.