Guerra e pace

Anno terribile, il 2022.

La pandemia, che ci accompagna ormai da due anni, non ci ha lasciati ancora, e nonostante le tante misure di contenimento adottate dai governi che hanno dovuto affrontarla, non tutte a mio avviso condivisibili, continua a impensierirci con improvvise e preoccupanti recrudescenze, tanto da indurre le autorità competenti a frenare sulle libertà che credevamo di aver definitivamente riconquistato.

E come se ciò non bastasse, ecco piombarci tra capo e collo una nuova e ancor più drammatica emergenza, la guerra scoppiata nel pieno cuore dell’Europa tra la Russia e l’Ucraina, con le conseguenze che ogni conflitto provoca e che non eravamo certamente pronti ad affrontare.

“La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”, disse il Generale Klaus Von Clausevitz: è così, quando si arriva al conflitto armato è segno che le diplomazie hanno fallito, ogni controversia internazionale dovrebbe trovare una soluzione incruenta attraverso il compromesso, la trattativa, il reciproco riconoscimento delle ragioni delle parti che si contrastano, in nome di interessi divergenti, spesso inconciliabili, ma alle quali comunque occorre trovare una soluzione che consenta di evitare il sangue, la tragedia, la disperazione che ogni guerra porta con sè.

Come ogni altro conflitto nella storia, anche questa guerra viene da lontano, le ragioni che l’hanno provocata portano radici che affondano nel terreno della storia e sarebbe opportuno studiarle criticamente, per evitare l’errore che drammaticamente l’uomo commette da sempre, ovvero non imparare nulla dal passato, ripetendo errori drammatici le cui conseguenze spesso vengono pagate dalla gente innocente.

Mi piace ricordare il dialogo dei Meli, raccontato da Tucidide ne “La guerra nel Peloponneso”, nella quale si legge delle considerazioni degli abitanti dell’isola di Melo, colonia spartana, aggredita dagli Ateniesi per contrastare la potenza della storica città avversaria: vi sono incredibili assonanze con ciò che sta accadendo nei nostri giorni, a riprova di come la storia sia ciclica e studiarla con analitica attenzione possa aiutare a capire quello che accade.

Questa guerra vede il suo teatro nelle terre dell’Ucraina, una nobile e storica Nazione che porta con sé il seme della stessa Russia, della quale fu la prima capitale fin dal IX secolo, quando lungo le rive del fiume Dnepr nacque la “Rus’ di Kiev”, o Ter’ di Rus, fino a metà del 13° secolo, quando fu invasa dai Tartari e dai Mongoli che seminarono morte e distruzione.

L’Ucraina è quindi parte integrante della storia russa, le sue genti appartengono alla stessa famiglia dei russi, sono la stessa cosa, e la divisione tra i due Paesi è effetto della dissoluzione dell’URSS, con la fine di quel regime e l’autonomia delle repubbliche fino ad allora assoggettate al comunismo sovietico.

E’ bene chiarire un punto, a premessa di qualsiasi ulteriore considerazione: il conflitto in atto nasce per oggettiva responsabilità della Russia e del suo Presidente Putin, che ha deciso di attaccare l’Ucraina, dopo averlo ripetutamente negato, invadendola con le sue truppe alla fine dello scorso febbraio. Non ha alcun senso negare questa evidenza, i fatti sono incontestabili e non possono essere negati.

Tuttavia è opportuno e direi necessario interrogarsi sulle motivazioni storiche che hanno condotto a questo dramma, in maniera critica e senza cadere nel nostro atavico errore di dividerci tra guelfi e ghibellini, ognuno convinto della giustezza delle proprie tesi e senza neanche voler ascoltare quelle contrarie.

L’abbiamo già fatto con il COVID, dividendoci tra si vax e no vax, con il risultato di esacerbare il dibattito, di renderlo offensivo, per niente obiettivo, a dispetto della logica e del buon senso.

Purtroppo, anche in questa circostanza l’atteggiamento che si nota è una divisione tra tifosi dell’una o dell’altra fazione in guerra, senza riguardo per la verità e per il ragionamento analitico e basato su dati di fatto.

La situazione in atto in Ucraina e l’attrito con la Russia non nascono in questi tempi, ma sono datate e risalgono ad anni addietro.

Se proprio volessimo stabilire una data, dovremmo risalire almeno al 2014, quando il regime dell’allora Presidente Ucraino Yanukovych venne ribaltato da quello che secondo i russi fu un colpo di Stato portato a compimento da fazioni neonaziste aiutate dagli USA, e che secondo il nuovo regime ucraino fu invece un moto popolare per liberarsi da un regime opprimente e antidemocratico.

Come reazione alla nuova situazione politica del Paese, la Russia di Putin invase la Crimea e il Donbass, due regioni di natura russofona, tra l’indifferenza dell’Occidente che subì gli eventi senza colpo ferire.

Da allora, per otto anni in quelle regioni si è sviluppata una guerra civile che ha provocato almeno 14000 morti, causati dall’attrito tra il regime ucraino e le popolazioni che aspiravano a una sorta di annessione alla Federazione Russa, ma nessuno ne ha parlato, tutti hanno fatto finta di non accorgersi di ciò che stava accadendo, nessuno ha pianto le vittime civili e innocenti, donne e bambini compresi.

Nel mentre, Putin lamentava la continua espansione della NATO verso i confini della Russia, ormai lambiti da Nazioni dell’ex Patto di Varsavia che hanno aderito al Patto Atlantico, a cominciare dalle repubbliche baltiche, e in particolare denunciava il pericolo, a suo modo di vedere, che avrebbe costituito l’ingresso nella NATO dell’Ucraina, secondo un progetto che oggettivamente era in corso fin dai tempi della presidenza Obama ma che non aveva trovato la finalizzazione.

Certo quest’ultimo era un pretesto, una scusa per dare una sorta di copertura al progetto di invasione dell’Ucraina che Putin stava preparando subdolamente, ma è altrettanto certo che la Nazioni occidentali hanno trascurato ciò che stava maturando, fino a trovarsi tragicamente di fronte al fatto compiuto.

E così ora la guerra infuria, le vittime non si contano, l’orrore ci sconvolge e non riusciamo a capacitarci su come la guerra sia venuta a trovarci a poche migliaia di chilometri da casa nostra: così come non riusciamo a trovare pace di fronte alle drammatiche immagini di morte e distruzione che le TV, i social e i mezzi di informazione ci propongono freddamente e senza pietà.

Non ho intenzione di parlare delle responsabilità su quanto sta accadendo: ho già detto che Putin ha commesso un atto infame, senza alcuna attenuante, e sono dell’idea che la comunità internazionale faccia bene ad attribuirgli le colpe di questo disastro, pur dovendo ammettere che le condizioni che hanno portato a tutto questo non ricadono esclusivamente sulla Federazione Russa.

Ora però bisogna esprimere alcune considerazioni sullo stato delle cose, sui provvedimenti intrapresi e, soprattutto, sulle prospettive per una soluzione negoziale della crisi, per tre aree: i provvedimenti intrapresi, la situazione militare sul campo, la ricerca di una soluzione negoziale.

  • I provvedimenti. A carico della Russia sono state comminate sanzioni di natura economica, il cui fine è quello di fiaccarne l’economia per costringerla a rivedere la propria strategia. E’ giusto, ma è probabile che alla fine dei conti tali provvedimenti finiscano per produrre più danni a chi le emette, che non a chi le subisce. La Russia basa le proprie fortune economiche sul gas e sul petrolio, che produce in gran quantità e che vende a numerosissimi paesi al mondo, a cominciare dall’Italia, che da quelle forniture dipende in maniera estremamente significativa. Cosa accadrà se, di fronte a un atteggiamento rigido del nostro Paese, ma tutto sommato velleitario, la Russia dovesse decidere di chiudere i rubinetti? E’ vero, perderebbe ingenti proventi, i cui effetti però sarebbe in grado di sopportare grazie al supporto dei numerosi paesi che non stanno infliggendole sanzioni (Cina, India, Turchia, paesi africani e arabi), ma noi potremmo resistere a una mancata disponibilità di miliardi di metri cubi di gas senza danni alle famiglie, già alle prese con un insostenibile rialzo dei prezzi delle bollette, per non parlare del sistema produttivo delle fabbriche, con il rischio della chiusura di migliaia di esse e perdita di lavoro di migliaia di lavoratori?
  • La situazione militare sul campo. In un primo momento, la Russia ha cercato la via dell’invasione dell’Ucraina, inviando sul terreno di scontro le sue armate di terra, e facendo poco uso delle forze aeree, salvo poi incrementarne l’attività. Questa strategia non ha sortito il risultato atteso in tempi brevi, perché le Forze Armate Ucraine hanno opposto una fiera resistenza, probabilmente inaspettata da parte dei russi, costringendoli a una avanzata lenta e faticosa. Va detto che da anni istruttori NATO hanno aiutato gli Ucraini, con un’opera di addestramento che evidentemente ha dato i suoi frutti, e una volta scoppiata la guerra i paesi dell’occidente hanno fornito all’Ucraina armi e munizioni che hanno consentito di organizzare una resistenza sicuramente efficace. Ora la Russia, alla luce delle mutate condizioni operative, sembra aver cambiato obiettivo, concentrando gli sforzi bellici nelle regioni del Donbass e nella zona sud ovest, sugli sbocchi sul Mar Nero, con il porto di Odessa: in questo modo la Russia dominerebbe gli accessi al mare, privandone totalmente l’Ucraina. D’altronde se i russi volessero perseguire l’obiettivo di un’invasione e di una presa di tutti gli obiettivi sensibili dovrebbero schierare sul campo almeno mezzo milione di uomini, con un rapporto attaccanti vs difensori di almeno cinque a uno, ma credo che non se lo possa permettere. Ma il rischio più grave è quello di una lunga e drammatica guerra di logoramento, con le forze schierate sul campo a fronteggiarsi senza che nessuna delle due sia in grado di sferrare l’attacco definitivo: qualcosa che assomiglia tremendamente al Vietnam o all’Afghanistan ma questa volta nel cuore dell’Europa. Non riesco a immaginare nulla di peggio, perché ciò vorrebbe dire morti, devastazione, stenti e fame per mesi, forse per anni, milioni di profughi che cercheranno di sfuggire a una sorte disgraziata, un dramma epocale senza sbocchi.
  • La soluzione negoziale. Assisto attonito a uno strano atteggiamento da parte degli organi d’informazione e di gran parte dei rappresentanti politici, tutti animati da uno spirito bellico interventista, che non esito a reputare miope, irresponsabile e che con tutta probabilità, testimonia di una scarsa conoscenza di ciò che vuol dire una guerra. A parte i folli richiami a un intervento diretto della NATO, senza considerare che lo statuto di tale organizzazione prevede il suo intervento solo nel caso di aggressione subita da uno dei suoi paesi aderenti, come sancisce l’art. 5, ma ciò che sorprende è che costoro fanno finta colpevolmente di ignorare che una simile iniziativa vorrebbe dire lo scoppio della terza guerra mondiale, dopo la quale forse il mondo vedrebbe la sua fine. La Russia è la più grande potenza nucleare del globo, e Dio non voglia si dovesse arrivare alla soluzione dell’atomica, sarebbe una via senza ritorno. Da Militare, nessuno come me odia la guerra, nessuno come me ha terrore della devastazione, della crudeltà cieca, della negazione stessa dell’ordine umano che i conflitti armati portano sulla gente innocente, che paga con la propria vita le colpe dei governanti accecati dall’ambizione e dall’odio. Per me non vi è altra soluzione che non sia la ricerca spasmodica del negoziato: una guerra si può concludere solo in due modi possibili, o uno dei due eserciti sconfigge l’altro in virtù di una supremazia schiacciante, o entrambi i contendenti si siedono attorno a un tavolo e cercano un compromesso ragionevole che ponga fine alle ostilità. Ma perché ciò accada, occorre la buona volontà delle parti direttamente in causa ma anche di quei paesi che possono esercitare un’azione di mediazione efficace e credibile. Ebbene, è mio parere che in questa storia non tutti credono in una soluzione negoziale e perseguono sinceramente questo obiettivo, e mi riferisco all’Europa, assente sulla scena internazionale come entità unitaria e che sta lasciano tale ruolo a paesi come la Turchia, certamente non un esempio in tema di rispetto dei diritti umani e di democrazia. Ma la stessa Italia, sulla cui dipendenza strategica dalle risorse fornite dalla Russia si è già detto, non trova niente di meglio da fare se non contribuire all’invio di armi all’Ucraina, riservare giudizi offensivi nei confronti di Putin (il quale certamente li merita, ma la diplomazia imporrebbe un diverso atteggiamento più pragmatico), per finire con l’espulsione di trenta diplomatici russi dall’Italia, annunciata ieri con atteggiamento ridicolmente marziale del nostro inqualificabile Ministro per gli Estri, Luigi Di Maio, capitato lì per caso e del tutto inadeguato a ricoprire un simile incarico in un momento drammatico quale è quello che stiamo vivendo. Con Mattarella e Draghi che non intervengono, dall’alto della loro millantata saggezza, in attesa di conferme reali, per sostituirlo con qualcuno di più credibile e autorevole.

La soluzione, per me, è nelle mani degli USA: il sospetto che nutro è che il perdurare della crisi possa non essere del tutto sgradita a Biden, il cui fine di indebolire il regime russo sembra essere piuttosto palese.

L’auspicio di una destituzione di Putin appare velleitario, dato che gode della fiducia di gran parte della popolazione di quell’immenso paese e che non si vedono all’orizzonte segnali di un’eventuale ribellione al regime: ciò vuol dire che una soluzione negoziale dovrà prevedere che l’interlocutore con il quale discutere sarà lo stesso Putin, ma se Biden e lo stesso Zelensky continuano ad appellarlo come criminale, assassino, macellaio chiedendo a gran voce che venga arrestato e processato per i crimini di guerra, qualcuno crede che ci si possa sedere allo stesso tavolo per discutere di una soluzione che ponga fine alla guerra? E’ difficile patteggiare con il diavolo…

E’ bene riflettere su tutto ciò, è questo il dilemma: sopportare una lunga guerra di logoramento, altri morti, con il rischio tangibile che un malaugurato incidente o che, peggio, vistosi stretto in un angolo, Putin possa follemente immaginare il ricorso ad armi nucleari, tattiche o strategiche che siano, che apra la strada alla distruzione del genere umano con una escalation non più gestibile, o mettere da parte gli obiettivi inconfessabili ma palesi di una ricerca di una nuova geopolitica, all’altare della quale sacrificare vittime innocenti incolpevoli?

Gli uomini di. buona volontà non dovrebbero porsi una domanda la cui risposta è, a mio avviso, scontata e che guarda alla trattativa, ma il pessimismo della ragione mi porta purtroppo a pensare che la follia possa prevalere sulla ragionevolezza, ma mai come in questa circostanza spero ardentemente di sbagliare e che i fatti mi diano torto.

Stiamo scherzando con il fuoco, ma la posta in gioco è il futuro dell’umanità, e ogni prudenza è necessaria.