La guerra e i leader dell’Occidente

Ieri l’ex Premier giapponese Shinzo Abe è stato ucciso in un attentato, mentre teneva un comizio in occasione di un imminente turno elettorale: la notizia ha sconvolto tutto il mondo, dato il prestigio dell’uomo politico, protagonista della rinascita economica del Giappone, del quale guidò il governo per otto anni dopo un periodo di profonda crisi, grazie alle sue efficaci politiche, tanto da far coniare il termine Abeconomics.

E’ l’ennesima scioccante notizia che arriva a turbare un momento storico connotato dal dramma e dal disagio generalizzato, dettati da un incredibilmente contemporaneo convivere di situazioni che stanno mettendo a dura prova la tenuta dell’ordine mondiale: la pandemia, la guerra, la crisi energetica, quella economica, tutte cause che messe insieme stanno facendo montare, quasi irrefrenabile, l’insoddisfazione e la rabbia di ampie fasce della popolazione mondiale.

Tutto ciò sta provocando fatalmente la crisi di numerose leadership che, solo fino a poche settimane fa, sembravano essere in grado di gestire saldamente questo momento e trovare le soluzioni per uscire dal tunnel.

Non vi è dubbio che tra quelle citate, la guerra russo-ucraina è stata la scintilla che ha dato vita all’incendio che, quasi inavvertitamente, stava covando sotto la cenere, e i suoi effetti hanno amplificato le difficoltà che già si erano manifestate e che sono definitivamente esplose, per effetto delle ripercussioni sulla vita quotidiana che le iniziative di contrasto all’aggressione della Russia a danno dell’Ucraina hanno cagionato.

L’Occidente ha fatto fronte comune contro l’orso russo, trovando una unitarietà d’intenti quasi insospettabile, se solo si pensa ai contrasti che da sempre vivacizzano i rapporti tra Paesi pur tra di loro alleati, con i rispettivi leader che hanno cercato di assumere atteggiamenti fermi e convincenti che ne rafforzassero la credibilità.

Ma in realtà non tutto sembra filare liscio, e dopo una prima fase apparentemente positiva, da qualche settimana il vento sembra essere cambiato, e assistiamo a una lenta ma inesorabile caduta di efficacia e popolarità che sta investendo la gran parte delle democrazie occidentali.

In Germania, dopo il lungo periodo caratterizzato dal cancellierato di Angela Merkel, il suo successore, il socialdemocratico Olaf Scholz, si sta rivelando un personaggio grigio, privo del carisma necessario per una simile carica, e dopo solo pochi mesi da quando si è insediato, già serpeggia nel suo Paese una insoddisfazione per il suo operato tale da metterne in discussione la possibilità che possa governare a lungo ed efficacemente.

Il che è grave per l’opinione pubblica di quel grande Paese, abituata a considerare la Germania una sorta di primus inter pares, grazie alla sua leadership economica in Europa che ne ha fatto per lungo tempo la vera locomotiva, facendole assumere, sia pur surrettiziamente, il ruolo di primazia tra i paesi aderenti all’UE.

In Francia, le recenti elezioni presidenziali hanno visto la conferma di Emmanuel Macron, che ha sconfitto al ballottaggio l’eterna rivale Marine Le Pen, facendo registrare tuttavia un altissimo livello di astensione, tanto da far pensare che, ancora una volta, i Francesi abbiano votato per lui non già per riconoscerne i meriti, ma piuttosto per evitare uno scivolamento a destra, molto probabilmente poco gradito all’Europa, che con le sue continue ingerenze indebite spesso dimentica che ogni popolo ha il pieno diritto di decidere da chi vuole essere governato, senza dover sottostare a melliflui tentativi di pilotaggio da remoto.

Macron non ha fatto in tempo a esultare per la riconferma all’Eliseo, che le successive elezioni politiche hanno decretato la sua clamorosa sconfitta, esaltando la sinistra di Melenchon e la destra di quella stessa Le Pen sconfitta poche settimane prima, il cui movimento, Rassemblement National, ha addirittura decuplicato i seggi in Parlamento, con un’affermazione storica e inattesa.

E così, ora si trova a governare con la famosa “cohabitation”, ovvero con una maggioranza avversa in Parlamento, il che indebolisce gravemente la possibilità di attuare la sua politica, e di dover cedere più di quanto non gradisca alle richieste delle forze a lui opposte: insomma, la sua leadership è fortemente compromessa e la sua appare una vittoria di Pirro.

Per non parlare degli USA, il cui Presidente Biden si sta mettendo in luce più per le innumerevoli gaffes che sta collezionando, alcune autenticamente comiche, altre decisamente pericolose per le conseguenze che producono, è in continuo calo di popolarità e ne stanno rivelando impietosamente l’assoluta inadeguatezza per quel ruolo, cosa della quale si sospettava fin da quando presentò la sua candidatura, ma certo non tanto da far supporre che la sua incapacità potesse arrivare a questi livelli.

E non giova l’approssimarsi delle elezioni di mid term, delle quali ovviamente teme l’esito, il che lo porta ad assumere atteggiamenti apparentemente autorevoli, ma che in realtà cercano di celare, senza riuscirci, uno smarrimento che non può non preoccupare, se si considera che egli governa la più grande potenza del mondo.

Tutto ciò rende quasi impossibile una sua rielezione, e il Partito Repubblicano affila le armi nella consapevolezza che vi sono forti possibilità di riconquistare la Casa Bianca, a prescindere che lo faccia con il ritorno di Trump o con un candidato meno controverso.

Per finire, due giorni fa Boris Johnson, Primo Ministro dell’UK, ha rassegnato le proprie dimissioni, travolto da uno scandalo di natura non politica che ha portato alla fuga dal suo gabinetto di numerosi Ministri e Sottosegretari: ora rimarrà in carico fino a che i conservatori non designeranno il nuovo Premier, secondo le regole di quella Nazione.

Un altro mattone che cade…

E la nostra Italia? Beh, il nostro è un caso del tutto anomalo, come al solito, l’originalità sembra essere il nostro segno distintivo, e non è detto che ciò sia un bene.

I leader citati finora sono accomunati da due fattori: la prima è la crisi che ne appanna la figura, come ho cercato di argomentare, la seconda è che comunque tutti loro governano sulla scia di un mandato popolare chiaro, manifestato attraverso l’esercizio dello strumento supremo delle democrazie, le elezioni libere, grazie alle quali i cittadini scelgono da chi vogliono essere governati, ne valutano l’azione e la fedeltà alle promesse e ai programmi proposti, e al turno successivo ne premiano la coerenza o ne puniscono il tradimento.

Da noi questo privilegio non si concretizza ormai da più di dieci anni, e in maniera per me assolutamente intollerabile i governi che si sono succeduti sono sempre più lontani dall’espressione della volontà popolare, figli invece di più o meno oscure manovre di palazzo che ci hanno regalato alternativamente Presidenti del Consiglio improbabili, o sconosciuti e trovati per strada, o accreditati di virtù miracolose prontamemnte smentite dai fatti, e quasi sempre nemmeno parlamentari.

Si dirà che tutto ciò è consentito dal dettato costituzionale, ed è innegabile, ma va anche detto che la stessa Costituzione prevede strumenti tali da fare in modo che il governo e, più in generale, le Camere siano sempre e costantemente rispondenti alla situazione di consenso che si manifesta nel paese, per evitare che non vi sia alcuna consonanza tra la politica e il mondo reale, cosa che invece sta accadendo ormai da anni e che è certamente l’esatto contrario di ciò che i Padri costituenti avevano in mente.

Ciò detto, anche Draghi, arrivato a Palazzo Chigi tra fanfare e squilli di trombe, dopo una lunga luna di miele con il Paese e con la solita informazione appecoronata a blandire il potente di turno, magnificandone le virtù con occhi foderati del migliore prosciutto, vive ora un momento grigio perchè tutte le contraddizioni della sua azione, e in qualche caso della sua inazione, stanno impietosamente emergendo, con buona pace di quelli che come unico argomento sostengono che comunque meglio di Draghi non c’è nessuno, in strenua difesa dello status quo.

Dimenticando, o peggio fingendo di dimenticare, che Draghi in questi mesi si è distinto da un lato per un atteggiamento che mostra un cinico disinteresse per le prerogative del Parlamento, al quale tutti i governi devono rispondere, tanto da ricorrere allo strumento della fiducia per più di cinquanta volte, autentico record, impedendo alle Camere la possibiltà di discutere dei provvedimenti dell’esecutivo, e senza che il Quirinale batta ciglio, e dall’altro rilasciando con incredibile scioltezza una cospicua messe di dichiarazioni lunari, e spesso palesemente destituite di ogni fondamento oggettivo, senza mai sentire la necessità di rettificarle alla luce dell’evidenza dei fatti, se non addirittura chiedendo scusa per la baggianata profferita.

Questa situazione complicatissima che accomuna le democrazie occidentali si è certamente acuita con la guerra, e i provvedimenti intrapresi stanno alimentando un disagio che rischia di produrre effetti devastanti sul sistema sociale.

Le sanzioni che si stanno infliggendo alla Russia potranno produrre i loro effetti nel tempo, ma intanto a farne le prime spese sono paradossalmente gli stessi sanzionanti.

Facciamo qualche esempio:

  • si è ormai al pareggio euro-dollaro, il che porterà a conseguenze negative, tra le quali la prima è senz’altro il rincaro delle risorse energetiche fornite da oltre oceano, per far fronte al calo di quelle di provenienza russa
  • il rublo è ai massimi storici da anni, e la Russia si rivolge sempre più pesantemente ai mercati dell’Oriente, per ovviare alla chiusura di quelli della sponda opposta, traendone di fatto un vantaggio
  • il BRICS, organismo geoeconomico che raggruppa Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, e al quale stanno chiedendo di aderire numerosi altri paesi emergenti sia dell’America Latina che dell’Africa, raccoglie fin d’ora più del 40% della popolazione mondiale e il 24% del PIL globale, con reali prospettive di forte crescita. La Russia quindi è tutt’altro che isolata
  • l’ostracismo che si sta praticando nei confronti di quest’ultima, sia pur ampiamente giustificato dalla responsabilità dell’aggressione, la spingerà inesorabilmente nelle braccia della Cina, della quale diventerà partner minore. Cosa farà l’Occidente quando, a guerra finita, occorrerà comunque riprendere le relazioni con la Russia, finita nel mentre in un altro bacino geopolitico?
  • dal punto di vista strategico militare, non vi sono dubbi che se da un lato la Russia ha dovuto rivedere i suoi probabili obiettivi iniziali, di fronte alla strenua resistenza delle forze Ucraine, è altrettanto innegabile che la sua lenta ma continua avanzata testimonia che il gap tra i due eserciti non è colmabile con la mera fornitura delle armi all’Ucraina. Il ribaltamento dei rapporti di forza si può conseguire solo con un intervento diretto e massiccio della NATO, con il rischio di dare il via a un conflitto globale con l’apocalittica prospettiva di impiego di armi nucleari, tenuto conto del fatto che la Russia è la prima potenza atomica del mondo
  • la situazione di Kaliningrad, enclave russa isolata per via di una decisione della Lituania stimolata dalla UE, sta covando sotto la cenere, con la reale possibilità di un intervento russo a protezione e difesa di quel territorio e il consegente rischio di un allargamento del conflitto
  • l’idea che la guerra possa finire solo con il ritiro delle truppe russe sulle posizioni precedenti al 24 febbraio u.s. è velleitaria, la Russia controllava a quella data il 7% del territorio Ucraino (di fatto, la sola Crimea fin dal 2014), oggi quel dato è salito al 25%, pensare che possano vanificare lo sforzo profuso finora ritirandosi dimostra soltanto scarsa conoscenza dei fatti e della storia militare dei russi. Continuare a fornire armi all’Ucraina sperando che ciò basti porta a una lunga e sempre più feroce guerra di logoramento.
  • ogni guerra finisce con la pace, può sembrare banale ma è la storia, maestra di vita, a insegnarcelo. Se non vi è la netta prevalenza di una delle due parti sull’altra, non rimane che la via negoziale, la cui ricerca convinta più si rimanda, più porterà i Russi ad avanzare sul territorio, continuando a provocare morte e distruzione.

Tanti altri effetti si potrebbero citare, ma ciò non cambierebbe il senso del mio ragionamento: la strategia dell’Occidente sta mostrando la corda, i presunti leader devono mostrare quella sincerità e pragmatismo che per ora hanno trascurato e hanno il dovere di parlare alle rispettive popolazioni, dicendo loro con chiarezza qual è la direzione che si intende prendere, quali sono le conseguenze delle loro azioni, cosa ci aspetta in autunno, quando le condizioni generali fatalmente peggioreranno.

La gente soffre, non riesce ad andare avanti, ha paura, non può essere presa in giro dicendole che “l’economia sta andando meglio di quanto ci aspettassimo” (Draghi dixit), perchè quando riceve le bollette e fa la spesa o il pieno di benzina si accorge che con i suoi 1200€ di stipendio rischia di non farcela, arrivati alla metà del mese non ha più un soldo.

Un leader è tale se le virtù che lo qualificano vengono riconosciute dalla base, non perchè lo stabiliscono pochi eletti che si ritengono depositari della verità: è facile scambiare tra loro autorevolezza e autorità, la prima dura nel tempo perchè si basa su capacità solide, la seconda è effimera, perchè nella vita prima o poi la ruota gira, e i servi sciocchi ti voltano le spalle.

Pe rimanere in casa nostra, sono tra quelli che hanno gioito quando Draghi si insediò a Palazzo Chigi, e fui pronto a riconoscere in lui quel leader del quale l’Italia aveva bisogno, proprio perchè credetti di ravvisare in lui quelle qualità che potevano qualificarlo come tale.

Come spesso accade nella vita, più si apprezza qualcosa, più si soffre quando la realtà ti disillude, e l’azione di Draghi mi ha deluso, troppe bugie, senza che mai abbia sentito il dovere di chiederne scusa, troppa insensibilità rispetto alla necessità di rendere conto del suo operato di fronte al Parlamento, nemmeno fosse il dictator di romana memoria e, dulcis in fundo, la palese incapacità (o forse è un fatto voluto…) di scegliere i suoi collaboratori tra gente capace di fornire un supporto alle decisioni valido ed efficace.

Un vero leader si circonda di uno staff qualificato, di collaboratori validi almeno quanto egli stesso, ne trae vantaggio perchè ne valorizza i consigli e i pareri, ferma restando la sua ultima decisione, e non di grigi e impauriti yes men che, pur di non contraddirlo, ne assecondano ogni decisione facendo finta di condividerla, quando invece non manifestano il loro disaccordo per pura viltà d’animo.

E la conseguenza qual è? I cittadini, disperati perchè vedono la loro reale condizione peggiorare di giorno in giorno senza che chi governa dia segno di avvedersene, di prenderne atto e di adoperarsi per dare loro risposte concrete e rapide, affacendato piuttosto a dare vita a squallidi e penosi teatrini per risolvere squallide questioni.

E’ ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni, con la pantomima tra lo stesso Draghi e Conte, che continua a lanciare penultimatum ridicoli e ai quali non crede nessuno, Draghi per primo che infatti lo snobba beffardamente, e che dimostrano vieppiù che questa gente è lontana anni e anni luce da quel popolo al quale dovrebbe rispondere, se solo la nostra fosse una democrazia compiuta e non solo dichiarata ipocritamente.

Questi sono i problemi delle moderne leadership, la cui crisi affonda nel tempo e sta emergendo prepotentemente solo ora, trainata e fatta deflagrare da situazioni contingenti drammatiche e in parte inaspettate: se i presunti potenti del mondo non ne prenderanno atto in fretta e con coscienza e serietà, tempo che ci attendano tempi bui, che porteranno a un nuovo ordine mondiale che non garantirà pace e prosperità, ma divisioni, tensioni e contrapposizioni che solo il tempo e l’evolversi dei fatti potrà svelare in tutta la loro gravità, e il prezzo sarà pagato dai nostri figli.

“La Terra non è un’eredità ricevuta dai nostri Padri, ma un prestito da restituire ai nostri Figli”, dice un vecchio proverbio amerindio, dovremmo farne tesoro.

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