La guerra e i leader dell’Occidente

Ieri l’ex Premier giapponese Shinzo Abe è stato ucciso in un attentato, mentre teneva un comizio in occasione di un imminente turno elettorale: la notizia ha sconvolto tutto il mondo, dato il prestigio dell’uomo politico, protagonista della rinascita economica del Giappone, del quale guidò il governo per otto anni dopo un periodo di profonda crisi, grazie alle sue efficaci politiche, tanto da far coniare il termine Abeconomics.

E’ l’ennesima scioccante notizia che arriva a turbare un momento storico connotato dal dramma e dal disagio generalizzato, dettati da un incredibilmente contemporaneo convivere di situazioni che stanno mettendo a dura prova la tenuta dell’ordine mondiale: la pandemia, la guerra, la crisi energetica, quella economica, tutte cause che messe insieme stanno facendo montare, quasi irrefrenabile, l’insoddisfazione e la rabbia di ampie fasce della popolazione mondiale.

Tutto ciò sta provocando fatalmente la crisi di numerose leadership che, solo fino a poche settimane fa, sembravano essere in grado di gestire saldamente questo momento e trovare le soluzioni per uscire dal tunnel.

Non vi è dubbio che tra quelle citate, la guerra russo-ucraina è stata la scintilla che ha dato vita all’incendio che, quasi inavvertitamente, stava covando sotto la cenere, e i suoi effetti hanno amplificato le difficoltà che già si erano manifestate e che sono definitivamente esplose, per effetto delle ripercussioni sulla vita quotidiana che le iniziative di contrasto all’aggressione della Russia a danno dell’Ucraina hanno cagionato.

L’Occidente ha fatto fronte comune contro l’orso russo, trovando una unitarietà d’intenti quasi insospettabile, se solo si pensa ai contrasti che da sempre vivacizzano i rapporti tra Paesi pur tra di loro alleati, con i rispettivi leader che hanno cercato di assumere atteggiamenti fermi e convincenti che ne rafforzassero la credibilità.

Ma in realtà non tutto sembra filare liscio, e dopo una prima fase apparentemente positiva, da qualche settimana il vento sembra essere cambiato, e assistiamo a una lenta ma inesorabile caduta di efficacia e popolarità che sta investendo la gran parte delle democrazie occidentali.

In Germania, dopo il lungo periodo caratterizzato dal cancellierato di Angela Merkel, il suo successore, il socialdemocratico Olaf Scholz, si sta rivelando un personaggio grigio, privo del carisma necessario per una simile carica, e dopo solo pochi mesi da quando si è insediato, già serpeggia nel suo Paese una insoddisfazione per il suo operato tale da metterne in discussione la possibilità che possa governare a lungo ed efficacemente.

Il che è grave per l’opinione pubblica di quel grande Paese, abituata a considerare la Germania una sorta di primus inter pares, grazie alla sua leadership economica in Europa che ne ha fatto per lungo tempo la vera locomotiva, facendole assumere, sia pur surrettiziamente, il ruolo di primazia tra i paesi aderenti all’UE.

In Francia, le recenti elezioni presidenziali hanno visto la conferma di Emmanuel Macron, che ha sconfitto al ballottaggio l’eterna rivale Marine Le Pen, facendo registrare tuttavia un altissimo livello di astensione, tanto da far pensare che, ancora una volta, i Francesi abbiano votato per lui non già per riconoscerne i meriti, ma piuttosto per evitare uno scivolamento a destra, molto probabilmente poco gradito all’Europa, che con le sue continue ingerenze indebite spesso dimentica che ogni popolo ha il pieno diritto di decidere da chi vuole essere governato, senza dover sottostare a melliflui tentativi di pilotaggio da remoto.

Macron non ha fatto in tempo a esultare per la riconferma all’Eliseo, che le successive elezioni politiche hanno decretato la sua clamorosa sconfitta, esaltando la sinistra di Melenchon e la destra di quella stessa Le Pen sconfitta poche settimane prima, il cui movimento, Rassemblement National, ha addirittura decuplicato i seggi in Parlamento, con un’affermazione storica e inattesa.

E così, ora si trova a governare con la famosa “cohabitation”, ovvero con una maggioranza avversa in Parlamento, il che indebolisce gravemente la possibilità di attuare la sua politica, e di dover cedere più di quanto non gradisca alle richieste delle forze a lui opposte: insomma, la sua leadership è fortemente compromessa e la sua appare una vittoria di Pirro.

Per non parlare degli USA, il cui Presidente Biden si sta mettendo in luce più per le innumerevoli gaffes che sta collezionando, alcune autenticamente comiche, altre decisamente pericolose per le conseguenze che producono, è in continuo calo di popolarità e ne stanno rivelando impietosamente l’assoluta inadeguatezza per quel ruolo, cosa della quale si sospettava fin da quando presentò la sua candidatura, ma certo non tanto da far supporre che la sua incapacità potesse arrivare a questi livelli.

E non giova l’approssimarsi delle elezioni di mid term, delle quali ovviamente teme l’esito, il che lo porta ad assumere atteggiamenti apparentemente autorevoli, ma che in realtà cercano di celare, senza riuscirci, uno smarrimento che non può non preoccupare, se si considera che egli governa la più grande potenza del mondo.

Tutto ciò rende quasi impossibile una sua rielezione, e il Partito Repubblicano affila le armi nella consapevolezza che vi sono forti possibilità di riconquistare la Casa Bianca, a prescindere che lo faccia con il ritorno di Trump o con un candidato meno controverso.

Per finire, due giorni fa Boris Johnson, Primo Ministro dell’UK, ha rassegnato le proprie dimissioni, travolto da uno scandalo di natura non politica che ha portato alla fuga dal suo gabinetto di numerosi Ministri e Sottosegretari: ora rimarrà in carico fino a che i conservatori non designeranno il nuovo Premier, secondo le regole di quella Nazione.

Un altro mattone che cade…

E la nostra Italia? Beh, il nostro è un caso del tutto anomalo, come al solito, l’originalità sembra essere il nostro segno distintivo, e non è detto che ciò sia un bene.

I leader citati finora sono accomunati da due fattori: la prima è la crisi che ne appanna la figura, come ho cercato di argomentare, la seconda è che comunque tutti loro governano sulla scia di un mandato popolare chiaro, manifestato attraverso l’esercizio dello strumento supremo delle democrazie, le elezioni libere, grazie alle quali i cittadini scelgono da chi vogliono essere governati, ne valutano l’azione e la fedeltà alle promesse e ai programmi proposti, e al turno successivo ne premiano la coerenza o ne puniscono il tradimento.

Da noi questo privilegio non si concretizza ormai da più di dieci anni, e in maniera per me assolutamente intollerabile i governi che si sono succeduti sono sempre più lontani dall’espressione della volontà popolare, figli invece di più o meno oscure manovre di palazzo che ci hanno regalato alternativamente Presidenti del Consiglio improbabili, o sconosciuti e trovati per strada, o accreditati di virtù miracolose prontamemnte smentite dai fatti, e quasi sempre nemmeno parlamentari.

Si dirà che tutto ciò è consentito dal dettato costituzionale, ed è innegabile, ma va anche detto che la stessa Costituzione prevede strumenti tali da fare in modo che il governo e, più in generale, le Camere siano sempre e costantemente rispondenti alla situazione di consenso che si manifesta nel paese, per evitare che non vi sia alcuna consonanza tra la politica e il mondo reale, cosa che invece sta accadendo ormai da anni e che è certamente l’esatto contrario di ciò che i Padri costituenti avevano in mente.

Ciò detto, anche Draghi, arrivato a Palazzo Chigi tra fanfare e squilli di trombe, dopo una lunga luna di miele con il Paese e con la solita informazione appecoronata a blandire il potente di turno, magnificandone le virtù con occhi foderati del migliore prosciutto, vive ora un momento grigio perchè tutte le contraddizioni della sua azione, e in qualche caso della sua inazione, stanno impietosamente emergendo, con buona pace di quelli che come unico argomento sostengono che comunque meglio di Draghi non c’è nessuno, in strenua difesa dello status quo.

Dimenticando, o peggio fingendo di dimenticare, che Draghi in questi mesi si è distinto da un lato per un atteggiamento che mostra un cinico disinteresse per le prerogative del Parlamento, al quale tutti i governi devono rispondere, tanto da ricorrere allo strumento della fiducia per più di cinquanta volte, autentico record, impedendo alle Camere la possibiltà di discutere dei provvedimenti dell’esecutivo, e senza che il Quirinale batta ciglio, e dall’altro rilasciando con incredibile scioltezza una cospicua messe di dichiarazioni lunari, e spesso palesemente destituite di ogni fondamento oggettivo, senza mai sentire la necessità di rettificarle alla luce dell’evidenza dei fatti, se non addirittura chiedendo scusa per la baggianata profferita.

Questa situazione complicatissima che accomuna le democrazie occidentali si è certamente acuita con la guerra, e i provvedimenti intrapresi stanno alimentando un disagio che rischia di produrre effetti devastanti sul sistema sociale.

Le sanzioni che si stanno infliggendo alla Russia potranno produrre i loro effetti nel tempo, ma intanto a farne le prime spese sono paradossalmente gli stessi sanzionanti.

Facciamo qualche esempio:

  • si è ormai al pareggio euro-dollaro, il che porterà a conseguenze negative, tra le quali la prima è senz’altro il rincaro delle risorse energetiche fornite da oltre oceano, per far fronte al calo di quelle di provenienza russa
  • il rublo è ai massimi storici da anni, e la Russia si rivolge sempre più pesantemente ai mercati dell’Oriente, per ovviare alla chiusura di quelli della sponda opposta, traendone di fatto un vantaggio
  • il BRICS, organismo geoeconomico che raggruppa Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, e al quale stanno chiedendo di aderire numerosi altri paesi emergenti sia dell’America Latina che dell’Africa, raccoglie fin d’ora più del 40% della popolazione mondiale e il 24% del PIL globale, con reali prospettive di forte crescita. La Russia quindi è tutt’altro che isolata
  • l’ostracismo che si sta praticando nei confronti di quest’ultima, sia pur ampiamente giustificato dalla responsabilità dell’aggressione, la spingerà inesorabilmente nelle braccia della Cina, della quale diventerà partner minore. Cosa farà l’Occidente quando, a guerra finita, occorrerà comunque riprendere le relazioni con la Russia, finita nel mentre in un altro bacino geopolitico?
  • dal punto di vista strategico militare, non vi sono dubbi che se da un lato la Russia ha dovuto rivedere i suoi probabili obiettivi iniziali, di fronte alla strenua resistenza delle forze Ucraine, è altrettanto innegabile che la sua lenta ma continua avanzata testimonia che il gap tra i due eserciti non è colmabile con la mera fornitura delle armi all’Ucraina. Il ribaltamento dei rapporti di forza si può conseguire solo con un intervento diretto e massiccio della NATO, con il rischio di dare il via a un conflitto globale con l’apocalittica prospettiva di impiego di armi nucleari, tenuto conto del fatto che la Russia è la prima potenza atomica del mondo
  • la situazione di Kaliningrad, enclave russa isolata per via di una decisione della Lituania stimolata dalla UE, sta covando sotto la cenere, con la reale possibilità di un intervento russo a protezione e difesa di quel territorio e il consegente rischio di un allargamento del conflitto
  • l’idea che la guerra possa finire solo con il ritiro delle truppe russe sulle posizioni precedenti al 24 febbraio u.s. è velleitaria, la Russia controllava a quella data il 7% del territorio Ucraino (di fatto, la sola Crimea fin dal 2014), oggi quel dato è salito al 25%, pensare che possano vanificare lo sforzo profuso finora ritirandosi dimostra soltanto scarsa conoscenza dei fatti e della storia militare dei russi. Continuare a fornire armi all’Ucraina sperando che ciò basti porta a una lunga e sempre più feroce guerra di logoramento.
  • ogni guerra finisce con la pace, può sembrare banale ma è la storia, maestra di vita, a insegnarcelo. Se non vi è la netta prevalenza di una delle due parti sull’altra, non rimane che la via negoziale, la cui ricerca convinta più si rimanda, più porterà i Russi ad avanzare sul territorio, continuando a provocare morte e distruzione.

Tanti altri effetti si potrebbero citare, ma ciò non cambierebbe il senso del mio ragionamento: la strategia dell’Occidente sta mostrando la corda, i presunti leader devono mostrare quella sincerità e pragmatismo che per ora hanno trascurato e hanno il dovere di parlare alle rispettive popolazioni, dicendo loro con chiarezza qual è la direzione che si intende prendere, quali sono le conseguenze delle loro azioni, cosa ci aspetta in autunno, quando le condizioni generali fatalmente peggioreranno.

La gente soffre, non riesce ad andare avanti, ha paura, non può essere presa in giro dicendole che “l’economia sta andando meglio di quanto ci aspettassimo” (Draghi dixit), perchè quando riceve le bollette e fa la spesa o il pieno di benzina si accorge che con i suoi 1200€ di stipendio rischia di non farcela, arrivati alla metà del mese non ha più un soldo.

Un leader è tale se le virtù che lo qualificano vengono riconosciute dalla base, non perchè lo stabiliscono pochi eletti che si ritengono depositari della verità: è facile scambiare tra loro autorevolezza e autorità, la prima dura nel tempo perchè si basa su capacità solide, la seconda è effimera, perchè nella vita prima o poi la ruota gira, e i servi sciocchi ti voltano le spalle.

Pe rimanere in casa nostra, sono tra quelli che hanno gioito quando Draghi si insediò a Palazzo Chigi, e fui pronto a riconoscere in lui quel leader del quale l’Italia aveva bisogno, proprio perchè credetti di ravvisare in lui quelle qualità che potevano qualificarlo come tale.

Come spesso accade nella vita, più si apprezza qualcosa, più si soffre quando la realtà ti disillude, e l’azione di Draghi mi ha deluso, troppe bugie, senza che mai abbia sentito il dovere di chiederne scusa, troppa insensibilità rispetto alla necessità di rendere conto del suo operato di fronte al Parlamento, nemmeno fosse il dictator di romana memoria e, dulcis in fundo, la palese incapacità (o forse è un fatto voluto…) di scegliere i suoi collaboratori tra gente capace di fornire un supporto alle decisioni valido ed efficace.

Un vero leader si circonda di uno staff qualificato, di collaboratori validi almeno quanto egli stesso, ne trae vantaggio perchè ne valorizza i consigli e i pareri, ferma restando la sua ultima decisione, e non di grigi e impauriti yes men che, pur di non contraddirlo, ne assecondano ogni decisione facendo finta di condividerla, quando invece non manifestano il loro disaccordo per pura viltà d’animo.

E la conseguenza qual è? I cittadini, disperati perchè vedono la loro reale condizione peggiorare di giorno in giorno senza che chi governa dia segno di avvedersene, di prenderne atto e di adoperarsi per dare loro risposte concrete e rapide, affacendato piuttosto a dare vita a squallidi e penosi teatrini per risolvere squallide questioni.

E’ ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni, con la pantomima tra lo stesso Draghi e Conte, che continua a lanciare penultimatum ridicoli e ai quali non crede nessuno, Draghi per primo che infatti lo snobba beffardamente, e che dimostrano vieppiù che questa gente è lontana anni e anni luce da quel popolo al quale dovrebbe rispondere, se solo la nostra fosse una democrazia compiuta e non solo dichiarata ipocritamente.

Questi sono i problemi delle moderne leadership, la cui crisi affonda nel tempo e sta emergendo prepotentemente solo ora, trainata e fatta deflagrare da situazioni contingenti drammatiche e in parte inaspettate: se i presunti potenti del mondo non ne prenderanno atto in fretta e con coscienza e serietà, tempo che ci attendano tempi bui, che porteranno a un nuovo ordine mondiale che non garantirà pace e prosperità, ma divisioni, tensioni e contrapposizioni che solo il tempo e l’evolversi dei fatti potrà svelare in tutta la loro gravità, e il prezzo sarà pagato dai nostri figli.

“La Terra non è un’eredità ricevuta dai nostri Padri, ma un prestito da restituire ai nostri Figli”, dice un vecchio proverbio amerindio, dovremmo farne tesoro.

Il pifferaio di Hamelin

Il nostro è il Paese dei guelfi e ghibellini, sempre pronti a schierarsi gli uni contro gli altri, pervicacemente convinti delle proprie ragioni e poco disponibili anche solo ad ascoltare quelle degli altri, non fosse altro che per riflettere.

E’ sempre stato così, l’annotazione non costituisce certo motivo di meraviglia, è un fatto storico che ha trovato conferma nel tempo: non essendo, secondo me, un fatto positivo, ho sempre nutrito la speranza che si potesse verificare un’inversione di tendenza e che virtù come la tolleranza, l’ascolto, la riflessione potessero prima o poi prevalere sulla tracotanza, ma purtroppo finora non mi pare che ciò si sia verificato.

Negli ultimi due anni, se possibile, questo nostro tratto sembra essersi accentuato, presi e travolti prima dalla pandemia, poi dalla crisi russo-ucraina, e le posizioni divise tra i diversi punti di vista sono state connotate da una virulenza a dir poco smodata.

Durante la pandemia, abbiamo conosciuto virologi assurti all’inaspettato ruolo di telestar, l’un contro l’altro armati a rilasciare valanghe di considerazioni ciascuna delle quali ferocemente dogmatica, senza alcuna possibilità di confronto, salvo però accapigliarsi tra di loro per sponsorizzare ciascuno la propria indefettibile verità.

Falangi di improbabili opinionisti, equamente divisi tra giornalisti, soubrette, attori, cantanti e altre categorie, improvvisamente infusi per grazia divina di profondissime conoscenze e competenze nel campo della medicina, della biologia, dell’infettologia e altri campi dello scibile umano, con il risultato che più si pronunciavano, più si rendevano ridicoli.

Per finire, dulcis in fundo, con i politici i quali, già tristemente noti per la loro complessiva inadeguatezza, si sono resi autori di iniziative da un lato drammaticamente discutibili per la loro inefficacia, dall’altro addirittura dannose per la salute pubblica e lesivi dei diritti fondamentali.

Cosa sarebbe stato lecito attendersi, in un momento così complicato e drammatico: un confronto sereno, critico, basato su elementi oggettivi, ponendosi domande al fine di meglio comprendere ciò che stava accadendo, per cercare di individuare strategie di contenimento e gestione dell’emergenza il più possibile adeguate.

E invece che abbiamo fatto? Da una parte i pasdaran dell’ “andrà tutto bene”, animati dalla incrollabile fiducia nell’azione delle autorità cui venivano riconosciute virtù miracolose, puntualmente smentite dai numeri, dall’altra i partigiani del “piove governo ladro”, che vedevano in quegli stessi personaggi i fautori di ogni sciagura, senza riguardo per le difficoltà che oggettivamente una simile situazione presentava.

Sono state intraprese iniziative non sempre accettabili, e ci siamo inesorabilmente divisi tra si-vax e no-vax, chi come me si è trivaccinato, ma ha osato chiedersi se fossero giuste e costituzionalmente corrette decisioni vessatorie che non hanno avuto eguali al mondo, come il divieto di lavoro per chi non intendeva vaccinarsi, solo uno dei cento esempi che si potrebbero fare, è stato immediatamente qualificato come eversore e no-vax, offendendo la stessa intelligenza di chi distribuiva patenti: eppure porsi domande, non fermarsi di fronte a dogmi che non ammettono discussioni, cercare di capire sempre di più l’evolversi di problemi complessi, è sempre stato il sale della scienza, consentendo il progresso e il miglioramento della conoscenza.

Ma niente da fare, da una parte i giusti, gli intelligenti, i colti, dall’altra i barbari, gli ignoranti, gli eretici da mandare al rogo, e fine della discussione.

Ma siccome il tempo è galantuomo, ora pian piano vengono a galla verità scomode, che asseverano che nutrire dubbi non era sbagliato, che affermazioni sacrali che non ammettevano discussioni vengono smentite dalla realtà, ma naturalmente nessuno tra quelli che le ha pronunciate con infinita spocchia e sicumera ha il coraggio di ammetterlo.

Ma non finisce qui: quando pensavamo di esserci liberati della pandemia, e di poter riconquistare una parte di quella normalità smarrita, pur nella consapevolezza di dover adoperare tutte le possibili cautele, ecco che scoppia la crisi tra Russia Ucraina!

Ma niente paura, abbiamo imparato la lezione, la drammaticità del momento impone prudenza, freddezza, analisi critica della situazione, niente divisioni.

E invece neanche per sogno: le truppe russe non erano ancora entrate in territorio ucraino che già giornalisti, opinionisti più o meno autorevoli, e mille altre categorie dei campi più disparati si erano già divisi in pro-Ucraina e Putiniani, tagliando tutto con l’accetta.

Ed ecco improbabili personaggi, che in vita loro non si sono mai occupati di geopolitica, di strategia e politica militare, che la massima esperienza avuta con in mano un’arma è stata la cerbottana della loro lontana infanzia, improvvisamente diventati esperti di tutto ciò, sparando fesserie e teorie strampalate, prive di senso logico e della realtà.

Non voglio peccare certo di presunzione, tra i miei mille difetti, almeno quello non mi appartiene, ma le discipline che ho testè citato fanno parte del mio bagaglio culturale per la mia professione, e sentire le astrusità che ci stanno propinando mi riempie di sgomento.

Questa vicenda drammatica ha risvegliato in tutti noi la certezza che il mondo non è, e forse mai sarà, quel luogo sicuro che credevamo, e che la guerra non è solo un ricordo che si perde nella storia, perchè la follia dell’uomo è tale da impedirgli di imparare dalla stessa, così da evitare errori e tragedie che hanno mietuto milioni di vittime innocenti.

Nella questione specifica, la responsabilità della Russia è evidente, ha aggredito una Nazione confinante dopo aver ripetutamente negato di volerlo fare, e quali che siano le ragioni che possono averla spinta a tutto ciò, la guerra non è mai la soluzione da adottare: quindi sgombriamo il campo da ogni equivoco, per evitare fraintendimenti.

Ciò nondimeno, è opportuno interrogarsi sulle ragioni che hanno portato a questa tragedia, cercare di capire perchè non ci siamo accorti del fuoco che covava sotto la cenere, fino a rimanere attoniti davanti al fatto compiuto.

Niente di più normale in un paese normale, ma forse il nostro non lo è: chiunque abbia osato cercare di ragionare sulla storia, di argomentare sulle diverse posizioni, non già per giustificare la Russia, cosa oggettivamente impossibile, ma semplicemente per cercare di individuare una strategia di pace, una soluzione negoziale per far cessare la mattanza, è stato immediatamente qualificato come Putiniano, per evidente tracotanza e mancanza di cultura specifica nel campo.

A chi sostiene che va cercata una via d’uscita e di compromesso, come sempre è accaduto nella storia, si contrappongono le fazioni di quelli che sono per lo scontro duro e puro.

A nulla valgono considerazioni oggettive: una guerra può finire solo in due modi possibili.

O una delle due parti prevale nettamente sull’altra sul campo, costringendo l’avversario alla resa, o si cerca una soluzione di compromesso: così è sempre stato nella storia.

In questa guerra, la prima soluzione appare irrealizzabile: la Russia non è militarmente nelle condizioni di ridurre al silenzio la resistenza strenua dell’Ucraina, a meno che non decida di impiegare strumenti e armi tali da far prefigurare una escalation del conflitto.

Analogamente, è assolutamente velleitario pensare che l’Ucraina possa ribaltare le sorti della guerra, che vede una lenta ma inesorabile avanzata dei russi, se non attraverso un intervento diretto della NATO, il che vorrebbe dire terza guerra mondiale e possibile apocalittico impiego di armi nucleari.

Non c’è una terza via: i nostri politici, il nostro governo, quelli della UE più l’UK, e soprattutto gli USA, che dichiarano che la guerra finirà quando la Russia abbandonerà i territori occupati, o mentono sapendo di mentire, o sono totalmente incompetenti, e non so davvero cosa sia peggio tra le due ipotesi.

Anche opinioni illustri di personaggi come Kissinger, probabilmente il più importante e prestigioso diplomatico del XX secolo, o di Sergio Romano, ambasciatore di lungo corso e profondo conoscitore della Russia e delle sue tipiche dinamiche, vengono dileggiate e derise, con una presunzione pari solo all’ignoranza.

Ma tutto ciò è un pretesto del quale mi sono avvalso al fine di dimostrare che nel nostro Paese ormai lo spirito critico, l’analisi senza pregiudizi, il dibattito franco e leale, e soprattutto il rispetto delle opinioni altrui senza scadere nell’offesa e nella arroganza di assegnare patenti di giustezza sulla base dei propri insindacabili principi, siano tutte virtù smarrite, per far posto all’asservimento bovino al carro del padrone di turno.

Ecco perchè il Pifferaio di Hamelin, quello che percorreva le vie della città sassone suonando il suo strumento per allontanare i ratti, ma che quando i citadini rifiutano di pagargli il suo compenso, si vendica di loro incantando i bambini e portandoseli via con sè per sempre.

Questo sta accadendo in Italia: la gran parte di chi non è abituato a pensare con la propria testa si affida al pifferaio di turno (ogni riferimento al nostro attuale Presidente del Consiglio è puramente voluto…), che sta portando via lo spirito critico, affidandogli il compito di decidere per tutti, senza un reale confronto nelle sedi deputate, il Parlamento attraverso le due Camere ridotte ormai a una sorta di bivacco ozioso e inefficace.

Siamo addirittura arrivati al punto che si accusa l’opposizione di non appoggiare le iniziative del governo!

Tutto ciò dovrebbe indurre chi ha ancora a cuore la tenuta della democrazia e delle istituzioni e ribellarsi, a far sentire la propria voce, civilmente, con gli argomenti della ragione e del buon senso, ricordando a sè stessi e a chi indegnamente ci rappresenta che l’asse portante del nostro sistema è la Costituzione, quella che abbiamo difeso in occasione del referendum di qualche anno fa e che però abbiamo ipocritamente accantonato, sia durante la pandemia, sia in questi giorni bui e macchiati di sangue.

Occhio alla teoria della rana di Chomsky, quella che immersa in acqua calda e messa a bollire a fuoco lento se ne avvede solo quando è definitivamente lessa!

Perdere i diritti è cosa che richiede poco tempo, se lo si lascia fare, recuperarli invece è impresa ardua, è bene tenerlo a mente.

Lottiamo e impegnamoci per difendere le prerogative democratiche con gli strumenti della legge, e lasciamo al proprio destino chi invece preferisce affidarsi alla sagacia dei presunti nuovi Messia portatori di verità e autori di miracoli, ma che non provino a fare della loro passività il segno distintivo di questi tempi.

“Solo una mente educata può capire un pensiero diverso dal suo senza la necessità di accettarlo” Aristotele

Guerra e pace

Anno terribile, il 2022.

La pandemia, che ci accompagna ormai da due anni, non ci ha lasciati ancora, e nonostante le tante misure di contenimento adottate dai governi che hanno dovuto affrontarla, non tutte a mio avviso condivisibili, continua a impensierirci con improvvise e preoccupanti recrudescenze, tanto da indurre le autorità competenti a frenare sulle libertà che credevamo di aver definitivamente riconquistato.

E come se ciò non bastasse, ecco piombarci tra capo e collo una nuova e ancor più drammatica emergenza, la guerra scoppiata nel pieno cuore dell’Europa tra la Russia e l’Ucraina, con le conseguenze che ogni conflitto provoca e che non eravamo certamente pronti ad affrontare.

“La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”, disse il Generale Klaus Von Clausevitz: è così, quando si arriva al conflitto armato è segno che le diplomazie hanno fallito, ogni controversia internazionale dovrebbe trovare una soluzione incruenta attraverso il compromesso, la trattativa, il reciproco riconoscimento delle ragioni delle parti che si contrastano, in nome di interessi divergenti, spesso inconciliabili, ma alle quali comunque occorre trovare una soluzione che consenta di evitare il sangue, la tragedia, la disperazione che ogni guerra porta con sè.

Come ogni altro conflitto nella storia, anche questa guerra viene da lontano, le ragioni che l’hanno provocata portano radici che affondano nel terreno della storia e sarebbe opportuno studiarle criticamente, per evitare l’errore che drammaticamente l’uomo commette da sempre, ovvero non imparare nulla dal passato, ripetendo errori drammatici le cui conseguenze spesso vengono pagate dalla gente innocente.

Mi piace ricordare il dialogo dei Meli, raccontato da Tucidide ne “La guerra nel Peloponneso”, nella quale si legge delle considerazioni degli abitanti dell’isola di Melo, colonia spartana, aggredita dagli Ateniesi per contrastare la potenza della storica città avversaria: vi sono incredibili assonanze con ciò che sta accadendo nei nostri giorni, a riprova di come la storia sia ciclica e studiarla con analitica attenzione possa aiutare a capire quello che accade.

Questa guerra vede il suo teatro nelle terre dell’Ucraina, una nobile e storica Nazione che porta con sé il seme della stessa Russia, della quale fu la prima capitale fin dal IX secolo, quando lungo le rive del fiume Dnepr nacque la “Rus’ di Kiev”, o Ter’ di Rus, fino a metà del 13° secolo, quando fu invasa dai Tartari e dai Mongoli che seminarono morte e distruzione.

L’Ucraina è quindi parte integrante della storia russa, le sue genti appartengono alla stessa famiglia dei russi, sono la stessa cosa, e la divisione tra i due Paesi è effetto della dissoluzione dell’URSS, con la fine di quel regime e l’autonomia delle repubbliche fino ad allora assoggettate al comunismo sovietico.

E’ bene chiarire un punto, a premessa di qualsiasi ulteriore considerazione: il conflitto in atto nasce per oggettiva responsabilità della Russia e del suo Presidente Putin, che ha deciso di attaccare l’Ucraina, dopo averlo ripetutamente negato, invadendola con le sue truppe alla fine dello scorso febbraio. Non ha alcun senso negare questa evidenza, i fatti sono incontestabili e non possono essere negati.

Tuttavia è opportuno e direi necessario interrogarsi sulle motivazioni storiche che hanno condotto a questo dramma, in maniera critica e senza cadere nel nostro atavico errore di dividerci tra guelfi e ghibellini, ognuno convinto della giustezza delle proprie tesi e senza neanche voler ascoltare quelle contrarie.

L’abbiamo già fatto con il COVID, dividendoci tra si vax e no vax, con il risultato di esacerbare il dibattito, di renderlo offensivo, per niente obiettivo, a dispetto della logica e del buon senso.

Purtroppo, anche in questa circostanza l’atteggiamento che si nota è una divisione tra tifosi dell’una o dell’altra fazione in guerra, senza riguardo per la verità e per il ragionamento analitico e basato su dati di fatto.

La situazione in atto in Ucraina e l’attrito con la Russia non nascono in questi tempi, ma sono datate e risalgono ad anni addietro.

Se proprio volessimo stabilire una data, dovremmo risalire almeno al 2014, quando il regime dell’allora Presidente Ucraino Yanukovych venne ribaltato da quello che secondo i russi fu un colpo di Stato portato a compimento da fazioni neonaziste aiutate dagli USA, e che secondo il nuovo regime ucraino fu invece un moto popolare per liberarsi da un regime opprimente e antidemocratico.

Come reazione alla nuova situazione politica del Paese, la Russia di Putin invase la Crimea e il Donbass, due regioni di natura russofona, tra l’indifferenza dell’Occidente che subì gli eventi senza colpo ferire.

Da allora, per otto anni in quelle regioni si è sviluppata una guerra civile che ha provocato almeno 14000 morti, causati dall’attrito tra il regime ucraino e le popolazioni che aspiravano a una sorta di annessione alla Federazione Russa, ma nessuno ne ha parlato, tutti hanno fatto finta di non accorgersi di ciò che stava accadendo, nessuno ha pianto le vittime civili e innocenti, donne e bambini compresi.

Nel mentre, Putin lamentava la continua espansione della NATO verso i confini della Russia, ormai lambiti da Nazioni dell’ex Patto di Varsavia che hanno aderito al Patto Atlantico, a cominciare dalle repubbliche baltiche, e in particolare denunciava il pericolo, a suo modo di vedere, che avrebbe costituito l’ingresso nella NATO dell’Ucraina, secondo un progetto che oggettivamente era in corso fin dai tempi della presidenza Obama ma che non aveva trovato la finalizzazione.

Certo quest’ultimo era un pretesto, una scusa per dare una sorta di copertura al progetto di invasione dell’Ucraina che Putin stava preparando subdolamente, ma è altrettanto certo che la Nazioni occidentali hanno trascurato ciò che stava maturando, fino a trovarsi tragicamente di fronte al fatto compiuto.

E così ora la guerra infuria, le vittime non si contano, l’orrore ci sconvolge e non riusciamo a capacitarci su come la guerra sia venuta a trovarci a poche migliaia di chilometri da casa nostra: così come non riusciamo a trovare pace di fronte alle drammatiche immagini di morte e distruzione che le TV, i social e i mezzi di informazione ci propongono freddamente e senza pietà.

Non ho intenzione di parlare delle responsabilità su quanto sta accadendo: ho già detto che Putin ha commesso un atto infame, senza alcuna attenuante, e sono dell’idea che la comunità internazionale faccia bene ad attribuirgli le colpe di questo disastro, pur dovendo ammettere che le condizioni che hanno portato a tutto questo non ricadono esclusivamente sulla Federazione Russa.

Ora però bisogna esprimere alcune considerazioni sullo stato delle cose, sui provvedimenti intrapresi e, soprattutto, sulle prospettive per una soluzione negoziale della crisi, per tre aree: i provvedimenti intrapresi, la situazione militare sul campo, la ricerca di una soluzione negoziale.

  • I provvedimenti. A carico della Russia sono state comminate sanzioni di natura economica, il cui fine è quello di fiaccarne l’economia per costringerla a rivedere la propria strategia. E’ giusto, ma è probabile che alla fine dei conti tali provvedimenti finiscano per produrre più danni a chi le emette, che non a chi le subisce. La Russia basa le proprie fortune economiche sul gas e sul petrolio, che produce in gran quantità e che vende a numerosissimi paesi al mondo, a cominciare dall’Italia, che da quelle forniture dipende in maniera estremamente significativa. Cosa accadrà se, di fronte a un atteggiamento rigido del nostro Paese, ma tutto sommato velleitario, la Russia dovesse decidere di chiudere i rubinetti? E’ vero, perderebbe ingenti proventi, i cui effetti però sarebbe in grado di sopportare grazie al supporto dei numerosi paesi che non stanno infliggendole sanzioni (Cina, India, Turchia, paesi africani e arabi), ma noi potremmo resistere a una mancata disponibilità di miliardi di metri cubi di gas senza danni alle famiglie, già alle prese con un insostenibile rialzo dei prezzi delle bollette, per non parlare del sistema produttivo delle fabbriche, con il rischio della chiusura di migliaia di esse e perdita di lavoro di migliaia di lavoratori?
  • La situazione militare sul campo. In un primo momento, la Russia ha cercato la via dell’invasione dell’Ucraina, inviando sul terreno di scontro le sue armate di terra, e facendo poco uso delle forze aeree, salvo poi incrementarne l’attività. Questa strategia non ha sortito il risultato atteso in tempi brevi, perché le Forze Armate Ucraine hanno opposto una fiera resistenza, probabilmente inaspettata da parte dei russi, costringendoli a una avanzata lenta e faticosa. Va detto che da anni istruttori NATO hanno aiutato gli Ucraini, con un’opera di addestramento che evidentemente ha dato i suoi frutti, e una volta scoppiata la guerra i paesi dell’occidente hanno fornito all’Ucraina armi e munizioni che hanno consentito di organizzare una resistenza sicuramente efficace. Ora la Russia, alla luce delle mutate condizioni operative, sembra aver cambiato obiettivo, concentrando gli sforzi bellici nelle regioni del Donbass e nella zona sud ovest, sugli sbocchi sul Mar Nero, con il porto di Odessa: in questo modo la Russia dominerebbe gli accessi al mare, privandone totalmente l’Ucraina. D’altronde se i russi volessero perseguire l’obiettivo di un’invasione e di una presa di tutti gli obiettivi sensibili dovrebbero schierare sul campo almeno mezzo milione di uomini, con un rapporto attaccanti vs difensori di almeno cinque a uno, ma credo che non se lo possa permettere. Ma il rischio più grave è quello di una lunga e drammatica guerra di logoramento, con le forze schierate sul campo a fronteggiarsi senza che nessuna delle due sia in grado di sferrare l’attacco definitivo: qualcosa che assomiglia tremendamente al Vietnam o all’Afghanistan ma questa volta nel cuore dell’Europa. Non riesco a immaginare nulla di peggio, perché ciò vorrebbe dire morti, devastazione, stenti e fame per mesi, forse per anni, milioni di profughi che cercheranno di sfuggire a una sorte disgraziata, un dramma epocale senza sbocchi.
  • La soluzione negoziale. Assisto attonito a uno strano atteggiamento da parte degli organi d’informazione e di gran parte dei rappresentanti politici, tutti animati da uno spirito bellico interventista, che non esito a reputare miope, irresponsabile e che con tutta probabilità, testimonia di una scarsa conoscenza di ciò che vuol dire una guerra. A parte i folli richiami a un intervento diretto della NATO, senza considerare che lo statuto di tale organizzazione prevede il suo intervento solo nel caso di aggressione subita da uno dei suoi paesi aderenti, come sancisce l’art. 5, ma ciò che sorprende è che costoro fanno finta colpevolmente di ignorare che una simile iniziativa vorrebbe dire lo scoppio della terza guerra mondiale, dopo la quale forse il mondo vedrebbe la sua fine. La Russia è la più grande potenza nucleare del globo, e Dio non voglia si dovesse arrivare alla soluzione dell’atomica, sarebbe una via senza ritorno. Da Militare, nessuno come me odia la guerra, nessuno come me ha terrore della devastazione, della crudeltà cieca, della negazione stessa dell’ordine umano che i conflitti armati portano sulla gente innocente, che paga con la propria vita le colpe dei governanti accecati dall’ambizione e dall’odio. Per me non vi è altra soluzione che non sia la ricerca spasmodica del negoziato: una guerra si può concludere solo in due modi possibili, o uno dei due eserciti sconfigge l’altro in virtù di una supremazia schiacciante, o entrambi i contendenti si siedono attorno a un tavolo e cercano un compromesso ragionevole che ponga fine alle ostilità. Ma perché ciò accada, occorre la buona volontà delle parti direttamente in causa ma anche di quei paesi che possono esercitare un’azione di mediazione efficace e credibile. Ebbene, è mio parere che in questa storia non tutti credono in una soluzione negoziale e perseguono sinceramente questo obiettivo, e mi riferisco all’Europa, assente sulla scena internazionale come entità unitaria e che sta lasciano tale ruolo a paesi come la Turchia, certamente non un esempio in tema di rispetto dei diritti umani e di democrazia. Ma la stessa Italia, sulla cui dipendenza strategica dalle risorse fornite dalla Russia si è già detto, non trova niente di meglio da fare se non contribuire all’invio di armi all’Ucraina, riservare giudizi offensivi nei confronti di Putin (il quale certamente li merita, ma la diplomazia imporrebbe un diverso atteggiamento più pragmatico), per finire con l’espulsione di trenta diplomatici russi dall’Italia, annunciata ieri con atteggiamento ridicolmente marziale del nostro inqualificabile Ministro per gli Estri, Luigi Di Maio, capitato lì per caso e del tutto inadeguato a ricoprire un simile incarico in un momento drammatico quale è quello che stiamo vivendo. Con Mattarella e Draghi che non intervengono, dall’alto della loro millantata saggezza, in attesa di conferme reali, per sostituirlo con qualcuno di più credibile e autorevole.

La soluzione, per me, è nelle mani degli USA: il sospetto che nutro è che il perdurare della crisi possa non essere del tutto sgradita a Biden, il cui fine di indebolire il regime russo sembra essere piuttosto palese.

L’auspicio di una destituzione di Putin appare velleitario, dato che gode della fiducia di gran parte della popolazione di quell’immenso paese e che non si vedono all’orizzonte segnali di un’eventuale ribellione al regime: ciò vuol dire che una soluzione negoziale dovrà prevedere che l’interlocutore con il quale discutere sarà lo stesso Putin, ma se Biden e lo stesso Zelensky continuano ad appellarlo come criminale, assassino, macellaio chiedendo a gran voce che venga arrestato e processato per i crimini di guerra, qualcuno crede che ci si possa sedere allo stesso tavolo per discutere di una soluzione che ponga fine alla guerra? E’ difficile patteggiare con il diavolo…

E’ bene riflettere su tutto ciò, è questo il dilemma: sopportare una lunga guerra di logoramento, altri morti, con il rischio tangibile che un malaugurato incidente o che, peggio, vistosi stretto in un angolo, Putin possa follemente immaginare il ricorso ad armi nucleari, tattiche o strategiche che siano, che apra la strada alla distruzione del genere umano con una escalation non più gestibile, o mettere da parte gli obiettivi inconfessabili ma palesi di una ricerca di una nuova geopolitica, all’altare della quale sacrificare vittime innocenti incolpevoli?

Gli uomini di. buona volontà non dovrebbero porsi una domanda la cui risposta è, a mio avviso, scontata e che guarda alla trattativa, ma il pessimismo della ragione mi porta purtroppo a pensare che la follia possa prevalere sulla ragionevolezza, ma mai come in questa circostanza spero ardentemente di sbagliare e che i fatti mi diano torto.

Stiamo scherzando con il fuoco, ma la posta in gioco è il futuro dell’umanità, e ogni prudenza è necessaria.

Povera Italia…

Certo, i tempi sono cambiati, principi e valori che una volta erano fondanti e sui quali si basavano le regole di convivenza civile e sociale sono mutati, e ciò che solo qualche lustro fa appariva anomalo e fuori logica, oggi è diventato normalità, uso comune e comune sentire.

Niente di cui meravigliarsi, è il progresso, l’evoluzione, il guardare e osservare le cose da un diverso e nuovo punto di vista, con tutto ciò che ne consegue, in termini di formazione del pensiero e di costituzione di gruppi e agglomerati sociali.

Ciò detto, questo però non può e non deve giustificare il fatto che, in nome della contingenza di un particolare momento, si possano calpestare valori e principi sui quali si basa la nostra comunità, per alcuni dei quali i nostri nonni hanno sacrificato sé stessi, la loro gioventù, le loro aspettative di vita futura, rincorrendo il sogno di una libertà che regimi criminali e totalitari volevano negare loro.

Oggi viviamo un momento storico che ci ha condotti in una situazione che solo due anni fa nessuno avrebbe mai immaginato di poter vivere, per colpa di una pandemia che, arrivata a sorprendere il pianeta improvvisa e inedita, ha messo l’umanità di fronte a una realtà che ha svelato impietosamente quanto siamo indifesi nei confronti di siffatti fenomeni, nonostante che la scienza e la medicina abbiano consentito di migliorare la qualità della nostra vita e l’aspettativa della stessa.

Il rapido e incontrollato precipitare della situazione pandemica ha costretto i governi di tutto il mondo a intraprendere iniziative inimmaginabili in tempi normali, arrivando spesso a comprimere sensibilmente diritti ai quali mai avremmo pensato di dover rinuniciare.

Ma non vi erano alternative: se non si fosse fatto, il prezzo da pagare in termini di vite umane sarebbe stato insostenibile, e ciò nonostante il numero di vittime che il virus ha mietuto è comunque drammaticamente alto.

Quindi tutti noi abbiamo rinunciato al nostro normale stile di vita, ma lo abbiamo fatto, magari obtorto collo, nella consapevolezza che non si poteva fare altrimenti.

Nel mentre, il mondo della scienza, della medicina, della farmacologia si è mobilitato, ha lavorato senza sosta alla ricerca di soluzioni che potessero combattere efficacemente la virulenza del COVID, fino ad arrivare a vaccini che, caso unico nella storia, sono stati resi disponibili in tempi assolutamente rapidi e inconsueti, rispetto alla storia precedente.

E’ iniziata così una colossale campagna vaccinale che ha interessato tutto il mondo, pur con innegabili differenze dovute alle diverse condizioni socio economiche nella varie aree del pianeta: miliardi di dosi del vaccino sono state somministrate in tempi incredibilmente brevi, il che ha consentito di mitigare gli effetti del contagio.

Ma se si è potuti giungere a questo straordinario risultato, perché allora ho intitolato questo mio scritto con parole dalle quali traspare la delusione che provo in questi giorni?

E’ presto detto: le mie idee mi portano a identificarmi come un liberale conservatore, e ho sempre agito in conformità a principi di lealtà verso le istituzioni, di obbedienza alle regole stabilite per garantire la convivenza civile e democratica, e ho giurato per due volte sulla Costituzione, prima come Allievo Ufficiale e di nuovo alla nomina a Ufficiale della Marina Militare su quella Carta che ha rappresentato per me la stella polare che ha guidato il mio cammino, in ogni fase della mia vita.

E sempre con la convinzione di fare la cosa giusta, confortato in questo dall’esempio di tanti che a essa si sono richiamati, invocandola in ogni possibile occasione e definendola spesso e volentieri come “la più bella del mondo”, fondata su principi irrinunciabili, inattaccabile dal tempo e inviolabile.

Tanto ce ne siamo riempiti la bocca, da ergerci con grande millantata autorevolezza a giudici di altre comunità che, lontanissime dal nostro grado di immensa etica e morale non possedevano uno strumento altrettanto nobile e perfetto, e assumevano atteggiamenti e iniziative illiberali, immorali, razziste, discriminatorie: noi invece inappuntabili, autorevoli, seduti su uno scranno dal quale dispensavamo moniti e giudizi manichei, da una arte i giusti, dall’altra gli empi.

Ma si sa, esiste in filosofia la teoria dell’eterogenesi dei fini, secondo cui le azioni umane possono conseguire risultati diversi da quelli perseguiti, ed è esattamente ciò che sta accadendo al nostro, povero Paese.

Quella Costituzione così cara a tutti, la più bella del mondo, nella quale sono scolpiti nella pietra principi e valori sui quali non si deve nemmeno discutere, opinare, dubitare, perché su di essi si fondano il nostro modus vivendi, il nostro vivere civile, la nostra storia e la nostra identità, è finita miseramente nel cestino delle cartacce, disattesa, vilipesa, offesa e ferita, nell’indifferenza e, peggio, con la criminale connivenza di chi dovrebbe garantirne il rispetto, l’attuazione e la fedeltà ai suoi dettami.

Non voglio tirarla per le lunghe, avrei mille esempi da citare a supporto di questo mio lamento, ma mi limito a citarne uno, quello che a mio avviso ha fatto segnare il punto più basso, eticamente e moralmente, della nostra storia recente.

Mi riferisco, come è facile intuire, al provvedimento varato due giorni fa dal governo per l’applicazione dell’inutile lasciapassare sanitario (uso il termine a proposito, perché tale è ed è patetico il tentativo di annacquarne il senso ricorrendo all’anglicismo del green pass), estendendone l’obbligo al mondo del lavoro.

Lo definisco inutile perché oggettivamente inefficace ai fini del contenimento del contagio, come dimostrano e attestano studi scientifici che hanno chiarito che il vaccino non previene dal contagio, ma garantisce in altissima percentuale che non si contragga l’infezione nella sua forma più grave: quindi il vaccinato può contrarre il virus e può a sua volta trasmetterlo ad altri, e di conseguenza il possesso del lasciapassare “non è strumento a tutela della salute pubblica” (parole testuali del prof. Crisanti, non certo un bieco no-vax), ma metodo surrettizio e ricattatorio per indurre a vaccinarsi, visto che il Governo non ha il coraggio di assumersi la responsabilità di imporne per legge l’obbligo, assumendosene la responsabilità, e persevera in un atteggiamento che non esito a definire vigliacco.

La norma appena varata prevede che il lavoratore che non è in possesso del lasciapassare viene sospeso dall’impiego, gli viene comminata una sanzione, e gli viene addirittura sospeso lo stipendio.

Allora vediamo un po’ cosa dice la Costituzione:

  • Art. 1: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro“…
  • Art. 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto
  • Art. 32: non lo riporto testualmente, per brevità, ma stabilisce che nessun cittadino può essere obbligato a un trattamento sanitario, se non per disposizione di legge“, e che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Mi pare piuttosto chiaro, dovremmo essere grati ai Padri costituenti i quali, per affermare principi sacrosanti, adoperarono un linguaggio chiaro, semplice, comprensibile a tutti.

Aggiungo, quale considerazione di carattere generale, che in uno Stato di diritto, quale dovrebbe essere anche il nostro, ciò che non è vietato per legge è lecito: ne consegue che chi non intende vaccinarsi, perché le sue condizioni di salute non glielo consentono, o perché ha paura, o non si sente sicuro, lo fa muovendosi nell’assoluto rispetto della legge vigente, anzi della fonte primaria del diritto, appunto la Costituzione.

Un dispositivo di rango inferiore, quale è un Decreto del Governo, non può in alcun caso contravvenire a uno di rango superiore, né è tollerabile e ammissibile che si renda obbligatorio qualcosa che a norma di legge non lo è, in maniera surrettizia e ricattatoria: ciò può accadere in uno Stato totalitario, illiberale, non in una democrazia avanzata o presunta tale.

Ed è altrettanto vergognoso che si possa solo pensare che chi non si vaccina possa sottoporsi a un tampone ogni 48 ore, a sue spese, il che ancora una volta dimostra qual è il vero scopo del lasciapassare: un padre di famiglia che percepisce 1200€ al mese cosa fa, ne spende la metà per fare tamponi e per il resto del mese campa a pane e acqua?

E per quale misterioso motivo, dopo che per anni ci hanno ammorbati con il teorema “ce lo chiede l’Europa”, adottando politiche socio economiche che ci hanno portati dritti in una crisi senza precedenti ancor prima dello scoppiare della pandemia, ora il fatto che l’Europa vieti categoricamente ogni discriminazione in tema di cure non viene considerato, e si prendono provvedimenti in netto contrasto con le politiche comunitarie (si veda la Risoluzione 2361 del 2021 del Consiglio d’Europa, artt. 7.3.1. e 7.3.2)?

E perché nessun Paese in Europa ha adottato provvedimenti simili, neanche la Francia che pure ha introdotto il lasciapassare, ma in forma molto meno invasiva?

Siamo noi i più furbi e il resto della compagnia una manica di imbecilli e sprovveduti, o invece, come io credo, le altre democrazie sono più attente al rispetto dei diritti e della dignità umana di quanto non lo siamo noi?

E infine, perché il Ministero della Salute, guidato da quella calamità naturale che risponde al nome di Roberto Speranza, impugna la sospensiva del TAR sul famoso metodo “Tachipirina e tre Ave Maria”, vietando di fatto la sperimentazione di cure e protocolli terapici per combattere il virus?

Tutte domande alle quali chi di competenza dovrebbe sentire la necessità e l’obbligo etico e morale di fornire risposte convincenti.

Invece il mainstream informativo, vigliaccamente appecoronato al cospetto del pensiero unico, inneggia a questo scempio dei diritti costituzionalmente garantiti, il presunto garante della Costituzione è chiuso in un silenzio assordante, mancando di svolgere con impegno il suo incarico (e c’è chi ne chiede la conferma, in sfregio alla ragione e all’evidenza), e la stessa Magistratura, sempre solerte quando si tratta di perseguire chi non le aggrada, tace e sembra non accorgersi di nulla.

Allora, facciamo un fioretto: smettiamola, noi Italiani, di atteggiarci a paladini dei diritti, alfieri delle libertà altrui, censori di quei Paesi che opprimono le loro genti.

Non ce lo possiamo permettere più, ciò che la classe dirigente di questo Paese sta ponendo in atto è segno di una strisciante volontà di soffocare valori e principi ai quali non dovremmo rinunciare mai, e lo fa con la complicità di chi dovrebbe, anzi deve, intervenire.

A nessun esecutivo può essere concessa una cambiale in bianco, fino a quando riterremo di essere una democrazia parlamentare, nella quale pesi e contrappesi garantiscono l’equilibrio dei poteri, a salvaguardia della convivenza civile e libertaria, nel rispetto dell’ordine e della legge.

Povera Italia, una volta patria del diritto, e ora capofila di chi lo nega, e cerca di soffocare le voci di chi dissente liberamente tacciandolo di essere fascista, reazionario, no-vax, retrogrado, ignorante e qualsiasi altro epiteto si possa adoperare, invece di scendere sul terreno del confronto, della discussione scevra da pregiudizi, volta ad arricchire la propria conoscenza, nel rispetto delle opinioni altrui.

Ma non bisogna arrendersi, non si devono sopire le coscienze, ma difendere le proprie idee, esprimendole con forza ma senza prevaricazioni di alcun tipo, e solo così si potrà cambiare questo assurdo stato di fatto che ci sta rendendo, poco a poco, sempre più inerti e ininfluenti.

P.S.: io sono vaccinato, ho il lasciapassare ma non intendo adoperarlo e frequentare posti nei quali è richiesto. Se per sorbire un caffè devo esibire un documento, piuttosto rispolvero la mia vecchia napoletana e il caffè me lo prendo a casa, in santa pace…

Talebani di casa nostra

Questa mattina mi è capitato di leggere sul Corriere della Sera un intervento di Massimo Gramellini, che ha posto la sua attenzione sull’atmosfera che ormai sta connotando i nostri tempi, durante i quali si va sempre più affermando una netta divisione tra fazioni, in quasi tutti i campi della comunicazione e del pensiero, assolutamente incompatibili tra di loro.

Proprio quando, dopo un lungo periodo di tempo durante il quale li avevamo dimenticati, tornano alla ribalta i Talebani afghani, e a loro associamo il principio dell’intolleranza, della fedeltà assoluta e incrollabile nelle proprie idee e convinzioni: e naturalmente ci indigniamo dinnanzi a simili atteggiamenti, perché noi che invece ci definiamo profondamente democratici, riteniamo assolutamente giusto e corretto rispettare tutte le opinioni e le diverse posizioni.

Bene, la nostra coscienza è a posto, abbiamo sistemato la questione: peccato però che la realtà sia ben diversa, e i Talebani sono tra noi, pur con il passaporto italiano.

Sì, perché la verità è che da quando siamo alle prese con la maledetta pandemia, su qualsiasi argomento ci si schiera tra due nette fazioni, ferocemente contrapposte, e non c’è verso di fare in modo che si possa argomentare confrontando i fatti, i dati oggettivi, e non i preconcetti e i pregiudizi, che muovono i pensieri dall’una o dall’altra parte.

A supporto di questa mia tesi, propongo due casi di estrema attualità in questi giorni.

Il primo è il green pass, o lasciapassare, come preferisco chiamarlo per non cedere alla nostra insana passione per gli anglicismi.

Il manicheismo imperante definisce due macro categorie: chi lo approva è favorevole al vaccino, chi esprime dubbi è no-vax.

Niente di più sbagliato, secondo me: io appartengo alla schiera di chi osa pensare, e affermare, che il lasciapassare non è strumento di salute pubblica, ma un metodo puramente surrettizio per indurre a vaccinarsi. Di questa mia stessa opinione sono numerosi rappresentanti del mondo scientifico (Crisanti, tra gli altri) e del pensiero (Cacciari e Agamben, per esempio).

Il perché è presto detto: il lasciapassare viene rilasciato a chi è guarito dal virus, a chi ha fatto un tampone negativo nelle ultime 48 ore, e a chi è vaccinato.

In quest’ultimo caso, la comunità scientifica ha stabilito che il vaccino non immunizza rispetto alla possibilità di contrarre l’infezione, ma garantisce che in tal caso la malattia non si svilupperà nella sua forma grave, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, evitando la pressione sul sistema sanitario.

Non è lecito nutrire dubbi sul fatto che ciò costituisce un risultato di estrema importanza, ma occorre comunque considerare che la stessa comunità scientifica mette in guardia dal fatto che un vaccinato che abbia contratto l’infezione può contagiare, può trasmettere il virus sia a un altro vaccinato, sia a un non vaccinato.

Sono contestabili queste considerazioni? Sono destituite da ogni fondamento? Evidentemente e oggettivamente no, se è la stessa comunità scientifica ad affermarle: ma allora perché invece di discutere, di analizzare, di porsi domande che tendano a chiarire i dubbi, si preferisce schierarsi in due partiti ferocemente contrapposti, che rifiutano sdegnatamente le ragioni e le opinioni degli altri, da una parte i virtuosi e illuminati, dall’altra gli oscurantisti ignoranti e da rinchiudere in un recinto, esposti al pubblico ludribio?

L’altro caso che mi piace richiamare è quello scatenato dal Prof. Tomaso Montanari, storico dell’arte e designato Rettore dell’Università per stranieri di Siena, il quale in un suo intervento ha polemizzato su un presunto accostamento tra il dramma della Shoa e l’eccidio delle foibe nelle aree carsiche, sostenendo che le due tragedie non sono tra loro confrontabili perché le dimensioni numeriche sono incomparabili. Naturalmente ho sintetizzato in maniera estrema, ma più o meno il succo del discorso è quello.

https://www.ilprimatonazionale.it/primo-piano/montanari-foibe-205126/

E puntualmente si sono scatenate le fazioni: chi approva l’opinione del Professore è antifascista, rispettoso della Costituzione, democratico e illuminato.

Chi come me obietta, e pensa che intanto la barbarie non ha colore politico, e i due fenomeni siano egualmente esecrabili e da condannare senza alcun tentennamento, è un bieco fascista, da allontanare dalla comunità e magari condannare all’esilio a vita su qualche isola sperduta nell’oceano.

Vediamo di chiarire: nel suo intervento il Prof. Montanari ha affermato che le vittime accertate furono poco più di 800 (anche se la storia afferma che il numero fu ben più alto, 5000 e più), riducendo la questione a un fatto contabile.

Io credo, invece, che gli eccidi, gli stermini, la barbarie che ci rende inumani debbano essere sempre e comunque condannati, dimenticando le ideologie, le ragioni di parte, e non conta il numero, uccidere un solo uomo è commettere un crimine contro l’intero genere umano.

La Shoa, l’olocausto, costituiscono una vergogna e una macchia indelebile della quale l’uomo deve e dovrà vergognarsi per l’eternità dei tempi, ogni ulteriore considerazione non vale nulla: ma fare paragoni con altri fatti storici criminosi non è sensato, fare classifiche tra questo e quell’orrore è stupido, strumentale e serve solo ad alimentare una stucchevole retorica che continua ad affliggerci da decenni, anacronistica e dannosa.

Le foibe costituirono una vergogna, senza riserve: ricordo che il Presidente Ciampi intervenne sull’argomento per condannare quella storia.

Era un fascista anche lui?

http://presidenti.quirinale.it/Ciampi/dinamico/ContinuaCiampi.aspx?tipo=discorso&key=28593

Provate a esprimere un’opinione sulla querelle sui social: sarete immediatamente assaliti da orde di assatanati sostenitori di questa o di quell’altra tesi, che vi offenderanno affibbiandovi etichette e qualifiche senza alcun ragionamento, alcun riguardo né per la storia né per la libertà di pensiero altrui.

Non si può andare avanti così, se vogliamo continuare a considerarci democratici, liberali, illuminati, e se vogliamo ergerci a giudici di chi è irrispettoso della libertà di pensiero degli altri, allora facciamolo sempre, non solo quando ci aggrada.

I Talebani sono tra noi, e alla categoria appartiene chiunque non mostri di essere rispettoso delle altrui opinioni, difendendo le proprie con argomenti sensati, e opponendosi a quelle contrarie argomentando con i fatti e i dati oggettivi, ma evitando di ergersi a giudice e di affibbiare qualifiche e patenti di alcun genere: la verità assoluta non esiste, e ciascuno ha il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero.

I veri fascisti sono coloro i quali non rispettano questi principi, e i più autentici e inconsapevoli di esserlo sono proprio quelli che assegnano tale qualifica ponendosi dalla parte opposta: tutto ciò è, allo stesso tempo, paradossale e insopportabile

Green pass e diritti

Una comunità basa la sua convivenza civile e pacifica su un insieme di leggi, regole e convenzioni che servono a garantire l’equilibrio tra i diritti e i doveri di ciascuno dei suoi componenti.

Senza questo impianto, spesso poderoso e complesso, ciascun membro della comunità si sentirebbe autorizzato a comportarsi come la propria personalità gli suggerisce, e non potendo sempre confidare nel buon senso, che ognuno di noi intende a modo proprio, si cadrebbe fatalmente nell’anarchia, con le conseguenze che è fin troppo facile immaginare.

Ecco allora che gli Stati organizzano e normano la propria struttura sociale con un architrave che regge le proprie fondamenta su istituzioni il cui compito è quello di stabilire le regole di convivenza, alle quali tutti i suoi cittadini devono sottostare.

Questo preambolo è necessario per introdurre l’argomento di questo mio scritto, con il quale intendo spiegare qual è il mio pensiero sulle vicende che stanno segnando queste ultime settimane, in relazione all’evoluzione della pandemia che ormai ci perseguita da più di un anno e mezzo.

In questo lungo periodo di tempo abbiamo dovuto acquisire, obtorto collo, nuove abitudini, nuovi comportamenti, che solo due anni fa non avremmo mai soltanto lontanamente concepito.

Ma tutto ciò è stato necessario per contenere la furia del contagio, che ci ha colti di sorpresa e che ha causato la morte di 130.000 nostri sfortunati connazionali: non ho nessuna voglia di tornare su questo argomento specifico, sul quale mi sono già espresso su questo blog, se non per confermare che a mio avviso sono stati commessi errori eclatanti, molti dei quali evitabili, e che se la gestione della pandemia fosse stata improntata al ricorso di strumenti adeguati, il drammatico bilancio sarebbe potuto essere meno devastante, e spero che le responsabilità di ciò che si è verificato possano essere chiarite e che chi ha sbagliato, al di là di ogni ragionevole dubbio e nell’assoluta garanzia di equità di giudizio, paghi per le proprie negligenze.

Mi limiterò a suggerire, ancora una volta, la lettura de “La notte delle ninfee”, del Prof. Luca Ricolfi, Presidente della Fondazione HUME, il quale, sulla base di dati ed elementi oggettivi, fornisce un quadro esaustivo e convincente delle modalità con le quali l’emergenza è stata gestita e come, adottando metodi diversi, gli effetti potevano essere contenuti sensibilmente.

E veniamo al cuore del problema del quale vorrei parlare: da qualche settimana stiamo assistendo a un furioso dibattito a proposito dell’adozione del green pass, o meglio del lasciapassare, come preferisco chiamarlo.

Gli Italiani, come sempre propensi a schierarsi da questa o quella parte per partito preso e senza ricorrere ad argomenti basati su dati di fatto e oggettivi, si stanno accapigliando tra chi ritiene il lasciapassare uno strumento necessario per contenere il contagio e chi, al contrario, lo reputa inutile, se non addirittura dannoso.

Chi ha ragione? Per me nessuna delle due fazioni, e non per evitare di prendere posizione, ma perché come sempre la verità sta nel mezzo.

Cosa è il lasciapassare, e perché il Governo lo ha adottato?

Secondo l’esecutivo, questo è uno strumento utile per la salute pubblica, perché chi ne è in possesso o è vaccinato, o ha fatto un tampone con esito negativo nelle ultime 48 ore, o è guarito dal virus entro gli ultimi sei mesi.

In questo modo garantirebbe chi viene a contatto con il titolare del documento dal contagio e dalla possibilità quindi di contrarre la malattia.

Ebbene, ciò è vero per la seconda e la terza delle condizioni citate, ma non lo è nel caso della persona vaccinata.

Già, perché nonostante ciò che molti asseriscono sbagliando, la comunità scientifica e le stesse case produttrici dei vaccini hanno stabilito senza possibilità di equivoci che questi ultimi non immunizzano, ovvero non forniscono al vaccinato la certezza di non poter contrarre l’infezione, ma nel migliore dei casi lo proteggono da una forma grave della malattia, con alte probabilità di non finire in ospedale e di rischiare la vita.

Un risultato assolutamente determinante, per alleggerire la pressione sul sistema sanitario che più volte, nel più recente passato, ha rischiato di collassare, ma lontano da ciò che ci si aspetta da un vaccino, e cioè la completa immunizzazione, nella stragrande maggioranza dei casi.

Aggiungo, per completezza d’informazione, che anche questo assioma vacilla, alla luce delle notizie preoccupanti che giungono da Israele, dove si assiste a un preoccupante aumento dei contagi a carico di soggetti vaccinati, addirittura in numero maggiore rispetto a quelli che non lo sono, per via delle varianti: che avesse ragione il Prof. Montaigner, premio Nobel per aver isolato il virus dell’HIV, il quale con altri esimi suoi colleghi sostiene da tempo che somministrare il vaccino a virus ancora pesantemente circolante non sortisce altro risultato che favorire l’insorgenza di nuove varianti?

Ne consegue che il soggetto vaccinato, e quindi in possesso del lasciapassare, può contrarre l’infezione, sviluppare una carica virale, e contagiare un non vaccinato: vediamo allora quali sono le conseguenze di tutto ciò.

Il lasciapassare divide gli Italiani in due grandi categorie: chi può fare certe cose, che non elenco perché ormai tutti le conosciamo, e chi invece non può perché ne è privo.

Cominciamo con il precisare che questa volta il fatidico “ce lo chiede l’Europa” non può essere invocato: infatti il Consiglio d’Europa, nella sua risoluzione 2361 (2021):

  • nell’art. 7.3.1. statuisce che gli Stati devono “assicurarsi che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è politicamente, socialmente o altrimenti sottoposto a pressioni per farsi vaccinare, se non desiderano farlo da soli
  • nell’art. 7.3.2 raccomanda ai Paesi membri di “garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato, a causa di possibili rischi per la salute o per non essere stato vaccinato.”

Quindi, la decisione assunta dal Governo Italiano è in totale contrasto con quanto sancito dall’Europa, dopo che per anni ci è stato detto in tutte le salse che la nostra sovranità è limitata perché occorre essere europeisti senza se e senza ma, seguendo pedissequamente le disposizioni, anche quelle più cervellotiche e talora penalizzanti per i nostri interessi nazionali.

E quindi cosa accade? Un fiorire di assurdità, di applicazioni illogiche, prive di ogni parvenza di buon senso, che sembrano essere state partorite da menti più avvezze al cabaret che non a un’applicazione razionale e scientifica.

Qualche esempio:

  • per visitare le sale di un museo, spesso ampie e popolate da non più di due o tre appassionati, devo esibire il lasciapassare. Finita la visita, per tornare a casa prendo la metro e mi trovo compresso tra mille altri viaggiatori, come una sardina in scatola e il lasciapassare non è richiesto…
  • vado al centro commerciale, in galleria mi fermo a prendere un espresso al banco senza dover esibire il lasciapassare. In fila dietro di me un avventore dichiara di voler essere servito al tavolino, a tre metri da me e all’aperto, perché il bar in questione non ha locali al chiuso, e gli viene chiesto il fatidico documento (Bottega del Caffè, Centro Commerciale Aura in Roma, così chi volesse farlo può verificare).

Potrei andare avanti per chissà quanto, ma voglio segnalare il caso più eclatante e che non esito a definire vergognoso e non degno di uno Stato che ha cura dei suoi uomini: mi riferisco a quegli Agenti della Polizia di Stato costretti a consumare il pasto meridiano seduti per terra nel cortile della loro caserma, perché non autorizzati ad accedere alla mensa di servizio in quanto sprovvisti di lasciapassare: poi, finito di pranzare, salgono sulle autopattuglie accanto a quei colleghi che il documento ce l’hanno. Se il fatto non fosse drammaticamente vergognoso, ci sarebbe da ridere per l’assurdità.

Allora, dopo aver chiarito che sono personalmente favorevole e ho aderito alla campagna vaccinale (doppia dose Pfizer), chiariamo qualche concetto basilare:

  • la Costituzione, nel suo articolo 32 spesso citato a sproposito, stabilisce che nessuno può essere costretto a sottoporsi a un trattamento sanitario se non è consenziente, a meno che non venga varata una legge che lo renda obbligatorio
  • questa legge al momento non c’è, quindi non c’è alcun obbligo vaccinale, e chi decide di non vaccinarsi lo fa nella piena, assoluta e incontestabile legalità, ed esercita liberamente un proprio diritto costituzionale

La tesi secondo la quale il lasciapassare costituisce uno strumento di salute pubblica, atto a contenere il contagio, non regge, anzi è oggettivamente falsa: come sostengono ormai numerosissimi scienziati (Crisanti in testa, non certo un fiero no-vax), il vero fine del lasciapassare è quello di incoraggiare, anzi costringere surrettiziamente, gli scettici a vaccinarsi, se non vogliono essere costretti a rinunciare a tutta una serie di diritti, pur essendo rispettosi della legge, il che già costituisce di per sè un assurdo degno del teatro di Ionesco.

Se il lasciapassare è garanzia di sicurezza, perché per entrare il uno studio televisivo per partecipare a una trasmissione, il tampone è obbligatorio anche per chi è vaccinato?

E siccome l’appetito viene mangiando, già si sente parlare di lasciapassare per fare la spesa al supermercato, e prima o poi qualcuno si spingerà magari a impedire il voto a chi non ne è in possesso: ormai alla stupidità e alla follia non c’è più limite.

Allora, ecco cosa dovrebbe fare il Governo, a mio avviso: deve assumersi la responsabilità delle proprie decisioni, senza ricorrere a meschini sotterfugi, e portare in Parlamento una legge che introduca l’obbligo vaccinale per tutti.

L’ha già fatto per il personale sanitario, lo faccia per tutti: naturalmente ciò vuol dire assumersi anche la responsabilità e l’onere delle eventuali reazioni avverse al vaccino, perché in caso di obbligo cade la richiesta di consenso informato che tutti abbiamo dovuto firmare al momento in cui ci siamo vaccinati…

Ma qui casca l’asino: l’EMA ha concesso l’autorizzazione a dare il via alla campagna vaccinale in forma emergenziale, in assenza di una seria disponibilità di informazioni di ritorno dal campo sulle reazioni avverse: come fa allora il Governo a rendere obbligatoria la somministrazione di un vaccino di fatto ancora in fase sperimentale e le cui cavie siamo tutti noi vaccinati?

E come la mettiamo con il fatto che ove mai dovesse venire fuori una terapia efficace e approvata (vedi monoclonali o uno dei numerosi protocolli che si stanno sperimentando) l’autorizzazione alla vaccinazione in emergenza decadrebbe all’istante, come stabiliscono le regole dell’EMA ?

Allora delle due una:

  • si rendano gratuiti i tamponi rapidi e quelli salivari, anche ai fini di uno screening di massa, per il tracciamento, pratica indispensabile ma finora colpevolmente trascurata da quella sciagura che risponde al nome di Speranza, tragico Ministro per la Salute : se non lo si fa, si rende manifesta la vera ragione che sottende all’adozione del lasciapassare, le cui condizioni di rilascio non possono essere l’una favorita sull’altra
  • si faccia l’obbligo vaccinale, se il Governo ha gli attributi necessari per seguire su questa strada il Tajikistan, il Turkmenistan e l’Indonesia, i soli al mondo ad aver adottato analogo provvedimento, e per assumersene integralmente le conseguenze

Tertium non datur: uno Stato è credibile quando le sue decisioni sono chiare, cristalline, logiche e basati su dati di fatto oggettivi, riscontrabili e parametrizzabili.

Se invece si introducono strumenti poco chiari, che nascondono il loro vero fine, servono a mascherare di efficienza il poco coraggio nel prendere decisioni anche impopolari ma necessarie, o perlomeno ritenute tali, ciò che si raccoglie è la diffidenza e certo non si può sperare, in questo modo, di convincere gli scettici, i quali proprio per questo hanno tutte le ragioni per esserlo.

Come dicevo nelle prime righe di questo mio post, una comunità si basa su leggi e regole: i cittadini, non sudditi, stabiliscono un patto con lo Stato e quest’ultimo ha il dovere della chiarezza e dell’equità, senza infingimenti, e tutti noi dobbiamo essere disposti a fare delle rinunce sul terreno dei diritti, anche quelli costituzionalmente garantiti, in caso di emergenza e di necessità, ma nessuno pensi di prenderci in giro.

Può farlo chi è poco serio e indegno del ruolo che ricopre, non chi pretende di essere autorevole e credibile: le parole non bastano.

Informazione e pandemia

Sapete qual è la parola più pronunciata, molto probabilmente, nel corso dei numerosissimi talk show che ogni giorno ci ammorbano con le loro tiritere sulla pandemia, fornendoci con abbondanza pareri di virologi e affini che ormai non fanno altro che litigare tra di loro, rivendicando e rinfacciandosi vicendevolmente titoli accademici e referenze, di fronte ai quali noi comuni mortali altro non possiamo fare, se non arrossire vergognandoci della nostra pochezza e inadeguatezza?

Non dispongo di dati sicuri, ma ho la netta impressione che la parola in questione sia “Salvini”: quale che sia il tema, quale che sia l’argomento, Salvini c’entra sempre e comunque.

Piove? Colpa di Salvini. Mia madre 87enne che vive a Taranto, non è ancora stata vaccinata? Colpa di Salvini. I ristoratori delusi e drammaticamente in difficoltà protestano? Colpa di Salvini.

Mi fermo qui, potrei andare aventi all’infinito, ma credo che il concetto sia chiaro: premesso che non sono mai stato, né credo che mai potrò esserlo in futuro, un elettore della Lega, perché molte cose mi dividono dagli ideali di quel partito, trovo che questo atteggiamento da parte dei mezzi d’informazione sia tutt’altro che serio.

In questi giorni il Governo sta adottando le misure che consentiranno, fin dai prossimi giorni, una serie graduale di riaperture, per dare ossigeno all’economia del Paese messa in assoluta situazione di emergenza dalla pandemia: sulla decisione i pareri sono discordanti.

Da una parte chi ritiene necessario assumersi dei rischi, accettare un possibile rialzo del numero dei contagi pur di consentire ai settori economici di riprendere gradualmente le attività, e dall’altra chi reputa questa scelta pericolosa in quanto i numeri della pandemia non sono ancora tali da giustificare l’assunzione di un rischio, pur ragionato, come il Presidente del Consiglio lo ha definito.

In una situazione che divide e che presenta differenti punti di vista, ciascuno dei quali merita di essere valorizzato con serietà e rigore, un elemento sul quale si discute con particolare rilievo è quello del “coprifuoco”, termine che ritengo inadeguato perché richiama ambiti e situazioni ben diversi da quelli che stanno caratterizzando l’attuale emergenza.

Tuttavia, è su questo tema, e su quello più ampio delle riaperture, che si sta concentrando l’attenzione dei mass media: in particolare, ci si sta arrovellando sul fatto che la Lega si è astenuta dal voto sul provvedimento, perché chiedeva che l’orario di entrata in vigore del coprifuoco fosse posticipato dalle 2200 alle 2300, per dare maggiore agio ai ristoranti e alle attività commerciali in generale, anche in vista dell’approssimarsi della stagione estiva, richiesta finora non esaudita.

Non discuto nel merito dei vari pareri, ma sul fatto che i mass media trovano la decisione della Lega inspiegabile, irresponsabile, sleale, e così continuando.

Vorrei fare qualche riflessione in proposito:

  • l’attuale è un Governo di larga coalizione, all’interno del quale convivono forze politiche le cui posizioni sono profondamente diverse tra loro, e non trovo nulla di sconcertante nel fatto che talvolta possa venire a mancare l’unanimità, anzi credo sia addirittura opportuno, giacché dal confronto tra diverse opinioni possono maturare decisioni meglio calibrate ed efficaci
  • in ogni caso, tale posizione non appartiene solo alla Lega, e segnatamente alla sua delegazione al Governo, ma giunge da tutte le Regioni, sia quelle governate dal centrodestra sia quelle governate dal centrosinistra, come risulta oggettivamente dalle dichiarazioni dei rispettivi Presidenti in questo ultimi giorni
  • sul fronte più ampio delle riaperture, la decisione di attuarle è sicuramente caldeggiata dalla Lega, ma sono dello stesso avviso Forza Italia, Italia Viva, larghe frange del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle, tra le forze che appoggiano il Governo, e da Fratelli d’Italia, tra quelle d’opposizione. D’altronde, se così non fosse, in Consiglio dei Ministri i partiti che non condividono tale posizione possono opporsi attraverso il voto contrario, secondo le più elementari regole della democrazia. Ne consegue che continuare ad attribuire ogni responsabilità a Salvini appare puramente strumentale

Eppure, se si stanno a sentire gli “autorevoli” giornalisti e opinionisti che si esprimono in TV e sui giornali, tutto accade perché lo vuole Salvini: non ho dubbi che, se le cose andranno male, sarà per colpa di quest’ultimo, e se andranno bene, e Dio lo voglia, sarà merito del Governo, perché le decisioni dell’esecutivo sono collegiali, come prevede la Costituzione (chissà perché tale collegialità non vale nel caso Gregoretti o Open Arms…).

Ecco dov’è il vulnus che fa del sistema d’informazione italiano un’anomalia della quale non ci si può non rendere conto: un noto giornalista, firma del Corriere della Sera, è solito dire che “se qualcuno afferma che fuori piove, un buon giornalista apre la finestra e se ne accerta, prima di pubblicare la notizia”.

Ebbene, ho l’impressione che le finestre delle redazioni dei giornali italiani siano serrate da tempo, e che nessuno si prenda la briga di verificare un bel niente, prima di pronunciarsi: pensando, credo illusoriamente, che in questo modo possano orientare le opinioni di chi li ascolta, ma penso che questa loro convinzione sia errata, perché la cosiddetta gente comune è più attenta e scaltra di quanto loro non pensino.

Per costoro la coerenza è un principio al quale fare ricorso a giorni alterni, in funzione delle loro ferree convinzioni, e non un valore che faccia il pari con l’onestà intellettuale, virtù della quale spesso si avverte la carenza.

Quindi, a loro mi permetto di dare un consiglio, certamente non richiesto: siate più obiettivi, abbandonate questa mania di giudicare come irricevibili e non degne di considerazione le opinioni di chi preferisce ragionare con la propria testa, che non vuole inginocchiarsi al cospetto del politicamente corretto, mettete da parte la spocchia dell’élite che guarda con sussiego la plebe che osa mettere in dubbio la giustezza dei suoi generosi insegnamenti.

Ne guadagnerete in credibilità, in autorevolezza, e forse la stima nei vostri confronti, ridotta ormai ai minimi termini, aumenterà: ma chissà perché, qualcosa mi dice che queste esortazioni cadranno nel vuoto…

Il Ministro e la pandemia

Ieri sera Massimo Giletti, su LA7, ha dedicato gran parte della sua trasmissione al caso del piano pandemico, occupandosi in particolare delle pressioni esercitate per evitarne la pubblicazione, lo scorso anno, in piena pandemia.

Sono state mostrate numerose e-mail e messaggi, intercorse tra funzionari e dirigenti dell’Istituto Superiore per la Sanità (ISS) e dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS), il cui fine era quello di evitare che l’importante documento fosse pubblicato così com’era.

Ciò avrebbe rivelato che il piano risaliva al 2006, e che da allora non era stato mai revisionato e adeguato alle mutate condizioni, tanto da risultare probabilmente inadeguato per gestire la pandemia che stava imperversando.

Viene da domandarsi cosa abbiano fatto da allora ad oggi, i vari Turco, Sacconi, Fazio, Lorenzin e Grillo, fino ad arrivare all’attuale, Speranza… li ho citati tutti, per non far torto a nessuno.

Protagonisti principali di questa vicenda sono Ranieri Guerra, all’epoca Direttore aggiunto dell’OMS, e Francesco Zambon, ricercatore della stessa Organizzazione: quest’ultimo, dopo essersi rifiutato di correggere la data di approvazione del documento, cambiandola da 2006 a 2020, così che sembrasse che il piano fosse stato prontamente aggiornato, come peraltro richiesto più volte dall’OMS, ha dovuto rassegnare le dimissioni dal proprio incarico, a seguito dell’ostracismo subito.

Zambon era presente in collegamento, e ha confermato tutte le sue dichiarazioni precedentemente rilasciate, punto per punto.

Sulla vicenda sta indagando la Procura di Bergamo, che ha emesso un avviso di garanzia a carico di Guerra, con l’accusa di “false informazioni ai PM”: l’ipotesi è che la mancata revisione del documento, e il fatto che non ne siano state applicate le prescrizioni, abbia giocato un ruolo determinante nella morte di decine di migliaia di Italiani che hanno contratto il COVID.

Niente da aggiungere, c’è solo da attendere che la Magistratura completi il proprio lavoro e chiarisca come sono andate le cose, anche se va detto che dalla lettura delle e-mail che sono state mostrate in TV e pubblicate su numerosi giornali, la questione sembra essere piuttosto definita, purtroppo.

In questa vicenda per la quale non riesco a trovare un aggettivo adeguato che possa esprimerne compiutamente la gravità, gioca un ruolo defilato il Ministro per la Salute, Roberto Speranza, che sembra essere fuori dai giochi e che stia lì a guardare le stelle, come fosse capitato per caso su quella poltrona.

Eppure non si spiega come possa non essere interessato a questa storia, considerando che il suo alto incarico lo pone in cima alla catena di comando nel settore della Sanità, e di conseguenza gli assegna la responsabilità di tutto ciò che accade nella struttura che è chiamato a gestire: ciò lo porta a doversi assumere l’onere non solo delle azioni che compie direttamente e delle decisioni che assume in prima persona, ma anche di quello che fanno e disfanno i suoi sottoposti, a ogni livello. Lo dice il buon senso e anche la legge.

Eppure solo ieri Speranza, intervistato da Lucia Annunziata su RAI3, ha affermato che ogni responsabilità sulle fasi di approvazione del piano pandemico sono dell’OMS, e che in ogni caso tale documento non conteneva nulla di rilevante ai fini della lotta al virus.

In realtà, le cose non stanno così, come rivela una mail di Ranieri Guerra a Speranza, nella quale lo avvertiva che il documento stava per essere pubblicato e se ne scusava: quindi, il Ministro era perfettamente a conoscenza dei fatti, ma non risulta che abbia preso le distanze dall’iniziativa che portò, di fatto, alla strana sparizione del documento il 13 maggio 2020, a sole 24 ore dalla sua pubblicazione.

La mail che inchioda Speranza sul report dell’Oms. La difesa: “Noi trasparenti, hanno deciso loro di ritirarlo” – Il Tempo

La Procura di Bergamo infatti ha comunicato che, allo stato, non risultano elementi che possano provare che il Ministro abbia posto in essere azioni per evitare che l’OMS pubblicasse il piano, ma attesta altresì che Speranza era a conoscenza dei contenuti del documento e che era irritato.

La difesa di Speranza: Oms decise di ritirare report. La Procura: nessuna pressione – Il Sole 24 ORE

Queste circostanze stridono con evidenza con quanto Speranza afferma, e ciò rende necessario che chiarisca il suo atteggiamento nelle sedi opportune, e con la dovuta urgenza, perché non è in nessun modo ammissibile che continui a tenere questo atteggiamento di indifferenza di fronte a una vicenda che, in un Paese meno distratto del nostro, avrebbe un’eco ben superiore a quella che ha, e nel quale tutto il sistema d’informazione lo incalzerebbe per fare luce su una storia così grave: ma l’atteggiamento prono della gran parte dei giornalisti italiani ormai non fa più notizia.

Invece nulla, e ciò si aggiunge al fatto che i risultati che il Ministro può vantare, in tema di gestione dell’emergenza, dicono che l’Italia:

  • è all’ottavo posto al mondo per numero totale di decessi attribuibili al COVID
  • è il primo Paese tra quelli del G20 per il rapporto decessi su milione di abitanti

COVID-19 Map – Johns Hopkins Coronavirus Resource Center (jhu.edu)

Ciò basterebbe per valutare come gravemente inadeguata la sua azione di governo, e dovrebbe indurlo a trarre le conseguenti decisioni: e se l’attaccamento alla poltrona è più forte del senso del dovere, allora chi me ha facoltà dovrebbe valutare l’opportunità di sollevarlo dall’incarico.

Senza considerare che l’estate scorsa, invece di adoperarsi per adottare tutti i provvedimenti per fronteggiare la seconda ondata della pandemia, che quasi tutti gli scienziati avevano preannunciato, dedicava il suo tempo prezioso alla scrittura di un libro autoincensatorio nel quale lodava la sua azione che aveva sconfitto il virus, lasciandosi andare a farneticanti auspici di restaurazione di un’egemonia culturale della sinistra, profittando proprio della nuova condizione sociale determinata dagli effetti della pandemia.

Libro che non appena giunto sugli scaffali delle librerie, veniva ritirato immediatamente e nascosto nei magazzini, per evitare quella che, se non fossimo in presenza di una tragedia, sarebbe una storia ridicola e degna di un film comico.

Qui non si tratta di un fatto personale, le considerazioni che ho espresso sarebbero le stesse per chiunque fosse seduto su quella poltrona, probabilmente la più scomoda e carica di responsabilità in questo momento storico, ma il senso dello Stato, la realtà, la dignità, l’amore per le istituzioni, dovrebbero suggerire uno scatto d’orgoglio e portare il Ministro a chiarire la sua posizione, alla luce dei numerosissimi elementi oggettivi che stanno emergendo e che gettano un’ombra tutt’altro che commendevole sulla sua figura.

E i 130 “intellettuali” (anche se su tanti di loro nutro forti perplessità sul fatto che meritino tale appellativo…) farebbero bene a ragionare sui dati oggettivi, che in quanto tali non hanno riguardo per questa o quest’altra parte: la difesa acritica di Speranza non è utile alla ricerca della verità, e definirlo una brava persona è pleonastico, e la politica in questo caso non c’entra, contano i fatti, e non altro.

Nessun dubbio che lo sia, ci mancherebbe, ma qui è in discussione la sua adeguatezza e capacità per gestire un simile incarico, e valutare l’impatto che le sue decisioni possono avere sulla nostra salute: non è affare da poco, piangiamo quasi 120.000 morti e il rispetto che tutti dobbiamo nei loro confronti richiede verità, e senza perdere tempo ulteriore.

Il gioco dell’oca

E’ trascorso un anno da quando l’incubo della pandemia da COVID è iniziato: sembra essere passato un secolo, nella nostra mente sono ancora impresse le immagini degli ospedali affollati dai malati affetti da questa nuova pestilenza, dei medici e infermieri inermi che affrontavano le tremende difficoltà senza disporre dei necessari dispositivi di protezione, restando così drammaticamente esposti al contagio, con il risultato che la malattia ha mietuto centinaia di vittime proprio tra coloro i quali avrebbero dovuto contrastarla, fino a quei devastanti reportage dalla Lombardia che mostravano i camion dell’Esercito che trasportavano fuori dai confini regionali i cadaveri delle vittime del virus, stante l’impossibilità di assicurare loro una degna sepoltura nei luoghi d’origine.

Inutile tornare sulla ricerca delle responsabilità per quanto avvenne in quei giorni e in quelle settimane terribili, ci sarà il tempo per farlo, e ora è meglio lasciare che le indagini in corso da parte della Magistratura facciano il loro corso: certo, l’auspicio è che se dovessero emergere precise e provate responsabilità, chi le aveva in carico venga chiamato a risponderne di fronte alla legge, quel che è accaduto è troppo grave perché passi in cavalleria, per il rispetto che si deve a chi ha perso la vita e per chi ha comunque pagato un pesante tributo all’emergenza.

Poi arrivò l’estate, tutti pensammo che il peggio fosse passato, e la voglia di tornare a una vita quasi normale ci indusse ad assumere atteggiamenti meno rigidi, più rilassati, e anche il Governo dell’epoca probabilmente pensò di aver superato il momento di massima emergenza: tutto sembrò andare per il meglio, ma in autunno le cose sono cambiate, la curva dei contagi riprese a salire, lentamente ma inesorabilmente, e dopo qualche settimana il fatto di essere ormai piombati nuovamente nell’incubo, attraverso una seconda ondata del contagio, prese consistenza e si manifestò in tutta la sua drammaticità, presentando il conto con numeri impressionanti, in termini di nuovi ammalati e soprattutto di vittime, richiamandoci a una nuova drammatica contingenza.

E se per la prima ondata poteva sicuramente reggere l’alibi dell’impreparazione causata dalla novità assoluta di una pandemia avente per agente un virus nuovo, sconosciuto, per il quale non vi erano protocolli di cura sicuri e sperimentati, e che aveva colto di sorpresa il mondo intero, in questa fase tutto ciò non valeva più: che una seconda ondata sarebbe arrivata era cosa di pubblico dominio, a decine scienziati e virologi ne paventavano l’incombenza, e i provvedimenti che sarebbe stato necessario adottare con tempestività erano chiari, definiti, programmati e i relativi fondi individuati e allocati.

Ciò nondimeno, una impressionante serie di omissioni, superficialità, rinvii, indecisioni e financo decisioni che spesso sono apparse astruse, improbabili, prive di senso e tardive si sono materializzate, con il risultato dell’aver prodotto una situazione di fatto ingestibile e sfuggita di mano.

Fino ad arrivare a un cambio della compagine di Governo, attraverso una crisi causata da avversità emerse nell’ambito della maggioranza che sosteneva il Governo Conte2, e che dopo un tentativo di tenere in piedi un esecutivo che ne confermasse l’assetto, ha finito per vedere l’avvento di Mario Draghi nella veste di Presidente del Consiglio e una maggioranza anomala, della quale fanno parte di fatto tutti i partiti presenti in Parlamento, con la sola eccezione di Fratelli d’Italia e di Nicola Fratoianni, esponente di Sinistra e Libertà.

Questo Governo di salvezza nazionale, come qualcuno lo ha definito, si è assunto il compito di gestire questa delicatissima fase, dando un deciso impulso in particolare a due attività determinanti: la campagna vaccinale e la gestione dei fondi che arriveranno a fronte del progetto New Generation UE.

Il nuovo Governo ha già assunto delle iniziative significative: il cambio del Commissario straordinario per l’emergenza COVID, rimuovendo il precedente, Domenico Arcuri, sostituito dal Generale Francesco Figliuolo, Comandante Logistico dell’Esercito, la nomina di Fabrizio Curcio a Capo della Protezione Civile, sono segnali di un cambiamento di rotta nella gestione dell’emergenza che probabilmente porterà a risultati migliori, rispetto a quelli conseguiti finora.

Ma questo auspicio non deve portarci a trascurare quello che è sotto gli occhi di tutti: la gestione della pandemia messa in atto dal precedente Governo è stata oggettivamente fallimentare.

Ieri abbiamo conseguito un altro drammatico e negativissimo risultato: il numero dei decessi per COVID ha superato la cifra di 100.000, limite che al di là della sua intrinseca drammaticità colpisce anche dal punto di vista psicologico ed emotivo, e fa dell’Italia uno dei Paesi peggiori al mondo in questa triste classifica, come testimoniano i dati forniti quotidianamente da prestigiosi Istituti di ricerca e di studio.

Coronavirus Update (Live): 117,784,274 Cases and 2,613,060 Deaths from COVID-19 Virus Pandemic – Worldometer (worldometers.info)

Altro che modello Italia, la verità è quella che il prof. Luca Ricolfi ha dettagliatamente descritto nel suo libro “La notte delle ninfee”, il cui sottotitolo “Come si malgoverna un’epidemia” svela, con la forza dei numeri oggettivi e asettici, quali e quanti errori di valutazione e con quale carenza di analisi la pandemia è stata affrontata.

E a ciò si aggiunga il marasma in atto per la somministrazione dei vaccini, la cui mancanza di dosi in numero sufficiente è da imputare alla dabbenaggine, a esser buoni, con la quale l’UE ha affrontato la gestione contrattuale per l’acquisizione degli stessi con le multinazionali che li producono, e alla mancata definizione di un piano vaccinale di massa nazionale: ad oggi nessuno di noi è in grado di sapere quando sarà vaccinato, in quale struttura, con quale dei prodotti finora approvati, e il traguardo posto dal Ministro Speranza (peraltro inspiegabilmente confermato nell’incarico, nonostante i pessimi risultati conseguiti), ovvero una prima dose somministrata a tutti gli italiani che lo vorranno entro la prossima estate, appare illusorio e velleitario.

Coronavirus Pandemic (COVID-19) – Statistics and Research – Our World in Data

Speriamo che la nuova struttura segni un deciso cambio di passo: intanto sembra di assistere a una tragica riedizione del gioco dell’oca, e ci troviamo a esserci ripresentati alla casella di partenza sulla quale eravamo posti un anno fa, senza che tutto ciò che è stato fatto abbia sortito i risultati attesi.

Ma non è un gioco: da un anno abbiamo rinunciato a tante nostre fondamentali libertà costituzionali, abbiamo seguito le indicazioni del Governo, abbiamo cambiato le nostre abitudini, i nostri comportamenti sociali, il nostro stesso modo di vivere, e lo abbiamo fatto perché non c’era altra scelta se non quella di adottare tutti i comportamenti in grado di assicurare a noi stessi e ai nostri cari la protezione rispetto al contagio.

Proprio per questo chi ci governa deve rimboccarsi le maniche e operare con coscienza, rapidità, decisione, senza speculazioni e tentennamenti che hanno caratterizzato l’attività di chi lo ha fatto fino a poche settimane fa.

Verrà il tempo dei processi, della ricerca delle responsabilità, delle eventuali colpe: ora il solo nostro obiettivo deve essere quello di venire fuori da questo incubo, è la sola cosa che conta.

ILVA e COVID

Da più di un anno, siamo alle prese con una pandemia dalla quale non riusciamo a venire fuori, nonostante tutti gli sforzi compiuti sia dalle autorità competenti, nazionali e internazionali, sia da ciascuno di noi, costretti dalle drammatiche circostanze a mutare i nostri comportamenti, a privarci di tanti diritti ai quali eravamo abituati, e a condurre un’esistenza connotata da un costante stato di preoccupazione e angoscia, tali da compromettere fors’anche la nostra stessa integrità psicologica.

Ma siamo tutti persuasi che questi sacrifici sono necessari, perché solo grazie a un’azione efficace e convinta di prevenzione e lotta alla diffusione del contagio si potrà tornare, nel più breve tempo possibile, a una vita normale, che consenta al sistema di riprendersi e di riemergere dalle tenebre nelle quali è caduto.

In questa situazione, è emerso in tutta la sua gravità il vecchio e mai completamente risolto dilemma del conflitto tra la salute e il lavoro, tra la tutela dell’ambiente per proteggere noi stessi, e il diritto di ciascun cittadino di poter sostenere se stesso e la sua famiglia attraverso un’attività che gli consenta una vita dignitosa e compiuta.

Spesso questi due diritti garantiti dalla Costituzione vengono a porsi in conflitto tra di loro, e cercare un equilibrio è opera quanto mai complessa e di complicatissima attuazione.

E proprio in questo frangente della nostra storia ce ne accorgiamo con drammatica evidenza: la ricerca e l’attuazione di iniziative di carattere sanitario, necessarie per cercare di contenere la pandemia, hanno di fatto messo in ginocchio interi settori del mondo produttivo, costretti dalle circostanze a limitare, e in qualche caso addirittura a sospendere, le loro consuete attività, con il rischio tangibile e purtroppo sempre più probabile di ipotizzare chiusure definitive, con impatti devastanti sul tessuto economico e sociale.

Abbiamo quindi preso coscienza del fatto che nulla può essere trascurato, quando in ballo c’è la salute e la vita dei cittadini, anche a costo di dover costringere intere categorie di lavoratori attivi a sospendere le proprie occupazioni, e a vivere momenti che spesso possono portare a uno stato di indigenza e di estrema difficoltà.

Ebbene, ieri mattina, durante la trasmissione “L’aria che tira”, in onda su LA7, Carlo Calenda, leader di Azione, candidato alla carica di Sindaco di Roma e onnipresente in TV, dove gode di un credito inspiegabile a mio avviso, a proposito della decisione del TAR di Lecce, che ha ingiunto ad Arcelor Mittal la chiusura dell’area a caldo dell’acciaieria ex-ILVA di Taranto, perché costituisce “Pericolo urgente per la salute dei cittadini”, ha dichiarato testualmente, rispondendo a una domanda della conduttrice, che “il Governo deve mettere l’ex ILVA al riparo dalla Magistratura”, e che la sentenza è totalmente ingiustificata.

https://bari.repubblica.it/cronaca/2021/02/13/news/arcelormittal_tar_lecce_60_giorni_da_oggi_per_stop_impianti-287426539/

Tale atteggiamento di assoluta noncuranza dei diritti costituzionali dei Tarantini da parte di Calenda non stupisce: il personaggio ha dato ampia prova, in passato e anche in qualità di ex Ministro per lo Sviluppo Economico, di non preoccuparsi minimamente dello stato d’emergenza che la città di Taranto e i suoi cittadini vivono da decenni, nella totale incuranza delle classi politiche e dirigenti che si sono succedute invano, e pertanto le sue farneticanti parole non mi meravigliano affatto.

Fu sua la scelta di affidare la gestione dell’impianto ad Arcelor Mittal, a seguito di una gara sulla cui gestione sono stati sollevati numerosi dubbi ai quali non è mai stata data risposta adeguata, nonostante il parere contrario dei sindacati e le osservazioni sollevate dall’Avvocatura dello Stato, e in presenza di un piano industriale che una qualificata commissione del MISE giudicò inadegauto e inattuabile, come poi si è puntualmente confermato.

https://bari.repubblica.it/cronaca/2018/08/23/news/ilva_il_parere_dell_avvocatura_sulla_gara_conferma_i_dubbi_sulla_legittimita_di_maio_forti_criticita_-204719360/

Semmai mi chiedo perché ci si ostini ancora a chiedere proprio a lui un parere sull’azione della Magistratura, accusata praticamente di applicare la legge, come se potesse fare altro: è come prendersela con il termometro, in caso di febbre, e non con la patologia che l’ha causata.

Io sono nato a Taranto, vi ho vissuto fino ai diciotto anni, ci sono tornato dopo l’Accademia Navale per prestare servizio in Marina, l’ho lasciata per altre destinazioni e ci sono tornato ancora per anni: ricordo bene l’atmosfera che vi si respirava fin dai tardi anni ’70, quando il fenomeno dell’inquinamento cominciava a manifestarsi, quando l’OMS cominciava a parlare di “caso Taranto”, nella totale indifferenza della politica, quando cominciavano a registrarsi i primi decessi per malattie direttamente legate alla produzione di uno stabilimento che, in pochi anni, vide le proprie dimensioni territoriali aumentare a dismisura, fino a fagocitare interi quartieri e a raggiungere un’estensione superiore a quella della stessa città: un mostro di acciaio che divorava tutto, e ricordo benissimo quando, durante le giornate di vento, sul balcone di casa si depositava materiale ferroso di colore tetramente rosso che macchiava indelebilmente tutto ciò su cui si posava, e che noi Tarantini respiravamo a pieni polmoni.

E ho perso amici e parenti, colpiti da tumori e leucemie, senza che nessuno se ne occupasse, con la scusa che quello è uno stabilimento di “strategico interesse nazionale” e che ipotizzarne la chiusura è folle, perché il danno economico per la filiera industriale ne subirebbe un danno irreparabile.

Beh, lasciate che lo dica francamente: tutte le ragioni di natura economica e industriale sono certamente degne di rilievo, ma di fronte al dramma che tutte le famiglie Tarantine vivono quotidianamente a me non importa nulla di tutto ciò, perché se è vero, come è vero, che proprio in questo momento storico abbiamo compreso che le ragioni della salute pubblica sono prevalenti su qualsiasi altro aspetto, ciò non può valere solo per il COVID, ma vale anche per chi da decenni è costretto a subire il vile ricatto che lo pone di fronte alla scelta tra il diritto al lavoro e quello alla salute: o muori di fame, o muori di cancro!

Non ci sono malati di serie A e malati di serie B, e quelli di Taranto sono sempre stati considerati tra la seconda schiera: il Governo che sta per insediarsi adoperi ogni risorsa utile e necessaria per risanare quel maledetto impianto che continua a produrre lutti e devastazione, e che ha fatto della mia città un lazzaretto, sofferente e abbandonato da chi non si assume la responsabilità che si impone, per motivi di etica e morale.

Se ciò non è possibile o non si vuole affrontare il problema, allora si decida per una soluzione draconiana, esattamente con lo stesso piglio decisionista che si sta adottando per la gestione della pandemia, la cui oggettiva gravità non giustifica il fatto che si trascuri una questione che si trascina criminalmente da tempo immemore: e si smetta di chiedere pareri illuminanti a chi, come Calenda, è parte in causa del problema e sulle cui considerazioni sarebbe interessante chiedere un parere ai genitori dei bimbi ammalati, e ai parenti delle vittime di questa tragedia.

Vediamo quanto costoro sono disposti a comprendere le ragioni della real politik e delle strategie industriali: sarei davvero curioso di sentire loro, e non i soloni pieni di boria e di spocchia.

Anche su questo tema si misurerà la credibilità del Governo Draghi, i Tarantini lo aspettano al varco!