Il Governo dei migliori

La crisi di Governo, maturata dopo che Renzi ha ritirato la delegazione dei rappresentanti di Italia Viva, è stata risolta.

Il Presidente del Consiglio incaricato, prof. Mario Draghi, ha sciolto la riserva e si è recato al Quirinale per proporre al Presidente della Repubblica la lista dei Ministri, per la prevista approvazione e firma del decreto di nomina.

Il nuovo Governo ha prestato il giuramento e, in attesa di ottenere la fiducia dalle Camere questa settimana, si è insediato.

Fin qua, il protocollo: una prima considerazione, certamente positiva, mi induce a dire che finalmente si è tenuto conto del dettato costituzionale, che prevede nel suo articolo 92 che il compito della scelta dei Ministri spetta al Presidente del Consiglio, per proporli al Quirinale, e non che è soggetta al tradizionale e deprecabile mercato tra esso stesso e i partiti, sempre pronti a chiedere poltrone e posti di prestigio.

A quanto è dato sapere, ciò non è avvenuto, e Draghi ha scelto in autonomia: e soprattutto non abbiamo assistito a fughe di veline, tweet, bagni di folla, e simili sconcezze: più discrezione, misura, rispetto delle istituzioni sono segnali positivi, dopo aver assistito per mesi e mesi a conferenze stampa nottetempo, annunci trionfalistici implacabilmente smentiti dai fatti oggettivi e incuranza delle buone norme, sono quello che ci vuole.

Anche se, va detto, venerdì sera, intorno alle 1900, si sono diffuse voci sulla composizione della squadra di Governo che poi hanno trovato conferma nei fatti, a testimonianza del fatto che, nonostante la discrezione e il riserbo, qualche fuga di notizie c’è stata, ma tant’è.

Ciò detto, vorrei a questo punto fare qualche riflessione sulla composizione del nuovo Governo, ricordando a me stesso che uno dei criteri alla base della sua formazione è stato quello del cambio di passo: preso atto dell’azione ormai inadeguata del Conte 2, i cui risultati nel settore economico fanno dell’Italia il Paese nelle peggiori condizioni almeno in Europa, ma non solo, e le cui politiche e strategie di gestione dell’emergenza sanitaria hanno portato il Paese nelle prime posizioni in negativo, per quel che concerne il rapporto tra i decessi e la popolazione, e che non ha ancora definito un efficace e sicuro piano delle vaccinazioni anti COVID, la crisi si è aperta e sviluppata con l’obiettivo di mettere in piedi un esecutivo autorevole, credibile, in grado di fronteggiare la situazione con strumenti adeguati e non contraddittori.

Per realizzare questo obiettivo, il Presidente Mattarella ha individuato una figura di assoluto rilievo, un uomo il cui curriculum e la cui storia professionale ne fanno un riferimento anche in ambito europeo, al di là del giudizio sulle sue singole iniziative che, come è lecito, possono essere condivisibili o meno.

Quella di Draghi è una figura riconosciuta in Europa per i suoi trascorsi, e costituisce una sorta di garanzia sulla credibilità e affidabilità del sistema Italia: non a caso, non appena gli è stato affidato l’incarico, i mercati hanno registrato una reazione positiva, con la borsa in rialzo e il famigerato spread sotto i 100 punti, praticamente solo sulla fiducia.

Quindi, anche solo per ragioni di puro realismo politico, la scelta va riconosciuta come un deciso miglioramento rispetto al precedente governo, il cui livello di rappresentatività e credibilità era di gran lunga inferiore.

Tuttavia, dall’analisi dei Ministri emerge una sorta di divisione dell’esecutivo in due blocchi ben distinti:

  • da una parte l’intero settore destinato a gestire l’economia, con l’assegnazione dei dicasteri a figure direttamente riferibili a Draghi, che ha scelto uomini di sua fiducia, con molti dei quali ha lavorato in passato. Dal che traspare evidente la volontà da parte del Presidente del Consiglio di gestire in prima persona la fase di ripresa dell’economia, quale elemento strategico per la fase che ci attende;
  • dall’altra tutto il resto, tra conferme tutt’altro che scontate e nuovi ingressi per dare adeguata rappresentanza ai partiti che hanno appoggiato l’iniziativa.

Nulla da eccepire sulle scelte in campo economico: il momento è drammatico, il Paese è in ginocchio, e nessuno più di Draghi è in grado di operare con efficacia nel settore, per la sua storia personale, per gli incarichi che ha coperto durante la sua vita e, non ultimo, per il prestigio e la credibilità delle quali gode in ambito europeo. Un patrimonio di affidabilità prezioso, nel momento nel quale bisognerà gestire i fondi del Recovery Plan, nei tempi e nei modi previsti dai documenti d’impianto del progetto, e certamente ciò andrà fatto in maniera ben più incisiva rispetto alle modalità ondivaghe, vaghe e indefinite con le quali il tema fu affrontato dal precedente Governo. Aspettiamo quindi che il nuovo esecutivo inizi la sua attività, prima di emettere giudizi in merito, fiduciosi in un cambio di velocità e in un approccio più analitico e determinato.

Sono però fortemente perplesso sul resto della squadra: personalmente, avrei preferito che Draghi mettesse insieme una compagine totalmente nuova, non confermando nessuno dei precedenti Ministri, sia perché i risultati ottenuti da costoro sono stati tutt’altro che lusinghieri, fino a provocare la crisi, sia per dare un segno di totale discontinuità che rendesse palese un profondo cambiamento.

Invece Draghi ha operato una scelta diversa: da un lato nuovi Ministri, ascritti ai partiti di centrodestra che hanno fatto ingresso nella appena costituita maggioranza, dall’altro la conferma di alcuni di quelli del precedente Governo, e qui casca l’asino.

Mi riferisco in particolare a tre di loro, ovvero Di Maio, Lamorgese e Speranza.

Di Maio agli Esteri: se è vero che bisognava mettere in piedi il Governo dei migliori, resto sconcertato nel prendere atto che il migliore rappresentante della nostra diplomazia possa essere un personaggio che crede che Matera sia in Puglia, che non ha alcun curriculum da esibire e non può certamente vantare nessuna competenza nel settore, e con un clamoroso deficit di autorevolezza. Non intendo aggiungere altro, credo basti quanto ho già espresso.

Lamorgese agli Interni: siamo sempre in piena pandemia, si paventa una terza ondata, in alcune zone del territorio nazionale l’emergenza è palese, e ciò nonostante la politica sull’immigrazione è quella di continuare ad accogliere tutti, senza riflettere sull’opportunità di porre un limite in un momento nel quale ogni rischio di espansione del fenomeno del contagio va evitato con fermezza. Come peraltro fanno i nostri partners europei, senza che nessuno adombri comportamenti connotati dal razzismo, dalla mancanza di spirito umanitario, di negazione del dovere dell’accoglienza: ora c’è da sperare che la credibilità della quale Draghi gode in Europa gli consenta di ottenere l’attuazione di una politica continentale che ponga in essere interventi che sostanzino il principio secondo il quale le frontiere marittime dell’Italia sono frontiere dell’intera Europa, nei fatti e non solo a parole. Ricordate i toni trionfalistici del Ministro Lamorgese in occasione della stipula del patto di Malta, per la ridistribuizione dei migranti? Un penoso bluff, un trattato diventato immediatamente lettera morta, la quantità di sbarchi in Italia nel 2020 è cresciuta a dismisura rispetto al 2019, come testimoniano inconfutabilmente i dati dello stesso Ministero degli Interni. Un cambio di passo si impone, per rispetto della verità.

Speranza alla Salute: questa è la conferma che più mi meraviglia e sconcerta. Dopo averci raccontato delle meraviglie del modello Italia, dell’ammirazione degli altri Paesi sulle modalità di gestione dell’emergenza messe in atto dal Governo Conte, l’esplodere incontrollato della seconda ondata nello scorso autunno, che ha drammaticamente colto di sorpresa l’esecutivo, ha clamorosamente disvelato l’equivoco, mandando a gambe all’aria l’illusione sulla quale si era placidamente adagiato.

E il Ministro Speranza, invece di lavorare alacremente per predisporre azioni preventive atte a contrastare l’insorgere della seconda ondata, annunciata dalla quasi totalità della comunità scientifica, si dedicava alla scrittura di un libro autoincensatorio nel quale raccontava che il virus era stato sconfitto, grazie alla miracolosa azione sua e dei suoi preziosi collaboratori. E dopo averlo mandato trionfalisticamente in stampa, doveva precipitosamente ritirarlo dalle librerie, condannandolo al macero, come in un piccolo film grottesco ma che non fa ridere nessuno.

Vogliamo parlare poi dello scandalo del piano pandemico? Il documento, di strategica importanza per affrontare con efficacia il diffondersi del contagio, fu aggiornato l’ultima volta nel 2006, e comunque non attivato allo scoppiare dell’epidemia, ponendo in drammatica difficoltà gli operatori sanitari che, nella prima fase, erano sprovvisti dei dispositivi di protezione necessari, al punto che molti di loro furono contagiati e in tanti persero la vita. E tutti noi stiamo ancora aspettando che Speranza chiarisca quali sono state le sue responsabilità su questa vicenda.

La “speranze” di Speranza e i silenzi sul nuovo Piano pandemico – Quotidiano Sanità (quotidianosanita.it)

E che dire del divieto di operare le autopsie sui poveri morti durante le prime settimane della pandemia? E dell’assenza di un definito ed efficace piano per la vaccinazione di massa, strumento necessario per cercare di uscire dall’emergenza nel più breve tempo possibile?

Insomma, va bene l’equilibrio politico che impone purtroppo di dare visibilità a tutte le liste che assicurano al Governo il necessario appoggio e i voti in Parlamento, ma di fronte a una gestione fallimentare e che ci ha portati a essere tra i Paesi con il peggiore rapporto tra popolazione e decessi al mondo, a mio avviso sarebbe stato opportuno, se non addirittura necessario, porre a capo del Ministero della Salute qualcuno in possesso di sicura competenza, di capacità di pianificazione, di conoscenza della materia.

Stiamo parlando di salute pubblica, non del sesso degli angeli, e prendere atto di dati oggettivi, parametrizzati e riscontrabili, è doveroso, perché dal ritorno a una normalità di vita dipende il futuro del Paese, e non bisogna lasciare nulla di intentato, senza riguardo per la smania di conservazione della poltrona da parte di chicchessia.

Quindi Draghi, se non ha voluto sostituire Speranza per non turbare un complicato equilibrio politico, lo chiuda in una stanza, lo catechizzi opportunamente per indurlo a cambiare registro, gli affianchi un paio di Sottosegretari capaci, competenti, esperti del settore, che possano coadiuvarlo così che eviti di intraprendere iniziative dannose come ha fatto finora.

Per chi ne avesse voglia, suggerisco la lettura del libro “La notte delle ninfee”, del Prof. Luca Ricolfi che, raccogliendo dati oggettivi e certi, senza preclusioni e pregiudizi, racconta impietosamente tutti gli errori commessi e tutti gli allarmi rimasti purtroppo inascoltati, e che hanno fatalmente portato alla situazione attuale, tra imperdonabili responsabilità sulle quali prima o poi dovrà essere fatta luce (90.000 e più morti meritano rispetto!).

In conclusione, è opportuno sperare che questo nuovo Governo possa mettere in atto politiche di gestione efficaci e produttive, segnando un deciso cambio di passo rispetto al recente passato, perché ormai il tempo stringe e la crisi che attanaglia il Paese non consente a nessuno di tergiversare, pena l’esplodere di una crisi sociale, economica e sanitaria dalla quale rischiamo di non risollevarci mai più.

Tifo perché il Governo possa farlo, è interesse di noi tutti, al di là delle singole idee e delle posizioni di ciascuno, ma l’esecutivo andrà giudicato sulla base dei fatti concreti, senza concedere cambiali in bianco, occorre serietà e oggettività, il momento storico lo impone.

Cupio dissolvi

Il 2020 è alle nostre spalle, e certamente non potremo dimenticarlo: in maniera del tutto inaspettata, ci ha regalato un dramma che ha colpito tutto il mondo, una pandemia che ci ha costretti, poco alla volta, a modificare drasticamente le nostre abitudini, la nostra vita quotidiana, e a rinunciare a gran parte di quei diritti che ci sembravano talmente scontati da ritenerli parte stessa del nostro vivere.

Ma tutto ciò sembra non essere servito, le rinunce e i sacrifici che abbiamo dovuto accettare e compiere non hanno sortito i risultati attesi, e a distanza di quasi un anno dallo scorso inverno, quando il cataclisma ci piombò addosso, ci troviamo ora nel pieno della cosiddetta seconda ondata, i cui effetti si stanno rivelando ancor più devastanti rispetto a quelli già tragici che hanno caratterizzato la prima.

La pandemia ha reso necessario intraprendere iniziative straordinarie per fronteggiare la rapida e implacabile diffusione del contagio, e tutti i Paesi, chi prima e chi dopo, hanno dovuto fronteggiare una situazione esplosiva e assolutamente inaspettata, di fronte alla quale non erano efficaci i normali strumenti normativi e legislativi, vista la rapidità con la quale il virus si stava diffondendo.

Naturalmente anche il nostro Governo si è mosso su questa strada, e dopo una prima fase nel corso della quale, da destra e da sinistra, è sembrato che il fenomeno che andava manifestandosi venisse sottovalutato, e tutti ricordiamo presunti autorevoli commentatori e politici che esortavano a ingurgitare fumanti involtini primavera, a non lasciarsi prendere dalla paura, a loro dire del tutto ingiustificata, ad abbracciare cinesi solidarizzando con loro (che, beninteso, non c’entravano nulla con ciò che stava accadendo, al netto della necessità di chiarire quale ruolo abbia avuto il regime di quel lontano Paese in tutta questa vicenda), quando la realtà ha preso il sopravvento sulla facile retorica, è iniziata una corsa a recuperare le posizioni perdute e a inseguire il virus, che continuava la sua corsa senza freni.

E qui inizia l’avventura: il 30 gennaio viene proclamato lo stato d’emergenza, tuttora in vigore e di volta in volta procrastinato, caso unico in tutta Europa, nonostante solo pochi giorni prima il nostro Presidente del Consiglio spergiurava in TV che eravamo prontissimi e che la situazione era ampiamente sotto controllo: tanto che a metà febbraio si inviavano in Cina tonnellate di dispositivi medici di protezione, su iniziativa del Ministero per gli Affari Esteri, salvo accorgersi pochi giorni dopo che i nostri ospedali, il cui personale era instancabilmente impegnato a fronteggiare il virus, ne era drammaticamente sprovvisto, e tanti sanitari si ammalavano e, ahimè, tanti perdevano la vita.

La situazione è rapidamente precipitata, e il Governo ha decretato una chiusura totale della Nazione, individuando in quella soluzione la sola possibile per contenere il contagio, i cui effetti devastanti sono ben vivi nel nostro ricordo e nei nostro occhi sono altrettanto impresse le immagini drammatiche degli ospedali quasi al collasso.

Tutti ricordiamo ciò che accadde, non serve ricordarlo, e si arriva all’estate quando, illudendosi che il peggio fosse alle spalle, >ztutti abbiamo recuperato una parte di quella libertà cui avevamo dovuto rinunciare: ed ecco che abbiamo cominciato a parlare del modello Italia, di come eravamo stati bravi ed efficienti nel gestire una siffatta emergenza, e di come all’estero si guardasse al nostro Paese come esempio di buona gestione, di pragmatismo, di lungimiranza.

E così tutti a gloriarsi della propria taumaturgica efficienza, il Ministro della Salute trascorre l’estate a scrivere un libro autoincensatorio per spiegare alla gente, perché guariremo grazie alle iniziative intraprese, ma il diavolo stava per tenderci un tranello (e il libro del Ministro viene precipitosamente ritirato dagli scaffali delle librerie…Poche le voci dissonanti, i mezzi d’informazione scodinzolano fedeli alla linea della protezione assoluta del Governo e della sua azione miracolosa, guai a chi osa porre qualche domanda, non si deve assolutamente disturbare il manovratore, poco ci manca che si proceda all’immediata beatificazione del Presidente del Consiglio e dei suoi più stretti collaboratori, mentre si scopre che il piano pandemico italiano, documento di cui tutti i paesi devono disporre, era stato aggiornato l’ultima volta nel 2006 e che ne è stata impedita la pubblicazione, con l’OMS in grave imbarazzo: in un paese normale il Ministro della Salute rassegna immediatamente le dimissioni, invece nulla di tutto ciò, e i mass media che rispettosamente evitano di dare adeguato risalto alla faccenda (con la lodevole eccezione di qualche trasmissione televisiva, sparute mosche bianche).

Eppure c’era qualcuno che osava dubitare: qualche mente libera ha provato a osservare che il cosiddetto modello Italia era tutt’altro che esempio di efficienza, e che una più accurata analisi dei dati suggeriva una prospettiva molto meno incoraggiante.

Uno su tutti il prof. Luca Ricolfi, che a più riprese invitava a una maggiore prudenza, per evitare brutte sorprese, e forniva elementi oggettivi, a più riprese, rimanendo purtroppo inascoltato…

In autunno la curva dei contagi comincia a risalire, qualcosa non sta funzionando, e i numeri crescono rapidissimamente, e richiamano tutti a una realtà ancor più drammatica rispetto a quella già tragica di pochi mesi prima.

E qui il Governo si svela in tutta la sua inefficienza e inadeguatezza, lasciandosi cogliere totalmente impreparato di fronte a quella seconda ondata, peraltro attesa, annunciata e che certamente non ha costituito una sorpresa.

Quello che veniva pomposamente definito il modello Italia frana rovinosamente: dall’essere l’esempio per tutto il mondo, diventiamo rapidamente il Paese che detiene il poco invidiabile record del peggiore al mondo per decessi per ogni milione di abitanti, come numerosi siti che si riferiscono a Istituti di ricerca che analizzano quotidianamente i dati sulla pandemia certificano impietosamente, e veleggiamo ormai verso l’incredibile numero di 80.000 vite perdute dall’inizio della pandemia.

Coronavirus Update (Live): 90,742,563 Cases and 1,944,222 Deaths from COVID-19 Virus Pandemic – Worldometer (worldometers.info)

Il tutto, mentre il Governo, in preda a una evidente crisi decisionale, s’inventa un sistema di chiusure “a colori”, che divide l’Italia in zone, facendo tardivamente quello che il CTS suggerì inascoltato durante la prima ondata dello scorso inverno, ma in maniera farraginosa, confusa, quasi inapplicabile, con disposizioni talvolta astruse e che non possono essere verificate in alcun modo, con il risultato che la curva dei contagi, che ha ripreso a salire fin dal mese di settembre u.s., non accenna a scendere.

Mentre l’economia è a pezzi, gli Italiani sono sfibrati dal continuo alternarsi di disposizioni spesso in contraddizione tra di loro, interi settori economici trainanti, quali per esempio quello della ristorazione, sono sull’orlo del baratro: insomma, un quadro fosco e più che preoccupante, di fronte al quale l’esecutivo sembra essere impotente.

Il Governo sembra aver assunto una posizione di attesa, riversando ogni speranza nella campagna vaccinale appena iniziata, avendo intravisto in questa soluzione la sola che possa porre fine a un’emergenza che sta stressando, forse irrimediabilmente, tutto il sistema sociale ed economico.

Ma è un rischio, perché una tale strategia potrà funzionare soltanto se il ritmo della somministrazione dei vaccini sarà tale da garantire che entro l’autunno prossimo almeno il 70% della popolazione italiana (ovvero circa 42 milioni di cittadini) sarà stata vaccinata, per raggiungere l’agognata immunità di gregge: e ciò è tutt’altro che sicuro, perché per raggiungere l’obiettivo occorrerebbe vaccinare più di 4 milioni di persone al mese.

Non si vede, a oggi, come ciò possa verificarsi, sia per la minore disponibilità di vaccini rispetto a quelli necessari, sia per un problema logistico per la distribuzione, conservazione e somministrazione degli stessi.

Ora, in un Paese normale, preso atto dell’inadeguatezza del Governo, si penserebbe a una soluzione per affidare la gestione di un problema di tali dimensioni a un esecutivo composto da personalità di livello e competenza ben superiori rispetto a quelli dell’attuale compagine, e invece cosa accade in questi giorni drammatici?

Succede che all’interno del Governo le forze politiche che lo compongono, invece di dedicare tutte le energie alla ricerca di soluzioni più efficaci e meno cervellotiche di quelle fin qui intraprese e rivelatesi del tutto inadeguate ed inefficaci, discute di manovre bizantine che pensavamo di esserci messi alle spalle, prefigurando una crisi di Governo il cui fine non è certo quello di affrontare coscientemente e con spirito di servizio il momento drammatico, ma la conservazione e la distribuzione di poltrone, privilegi, prebende, fornendoci uno spettacolo indegno, indecoroso e rivelatore della meschinità della nostra classe politica.

Protagonisti di questa ignobile pantomima son politici impresentabili, spergiuri, che fanno esattamente il contrario di ciò che hanno promesso e sulla base del quale sono stati votati, tradendo la fiducia degli elettori: chi sono costoro?

Renzi, quello che nel dicembre del 2016 giurò di abbandonare la politica se avesse perso il referendum, come puntualmente accadde, e che invece imperversa minacciando di porre fine a quel Governo che egli stesso contribuì in maniera determinante a formare, ma poi non lo fa, rivelando palesemente che ciò che ne anima l’azione è soltanto la smania di potere e di visibilità, in spregio al fatto che la sua popolarità e, soprattutto, la sua credibilità sono tali da renderlo una figura tragicomica: e con lui i suoi sodali, prima tra tutte la Boschi, altra avvezza a mancare alla sua stessa parola.

Conte, che durante la crisi del suo primo gabinetto ebbe a dichiarare che non sarebbe stato mai disponibile a guidare una maggioranza diversa da quella cosiddetta giallo-verde, salvo poi accettare di guidare un Governo di segno diametralmente opposto, e arrivando all’inarrivabile punto di rinnegare provvedimenti legislativi che pochi mesi prima aveva approvato, tradendo se stesso… (vedi decreti sicurezza). Una figura drammaticamente comica.

Il decreto Salvini e quella foto di Conte con il cartello | Rep

Conte assicura: «Non cerco maggioranze alternative. Né voglio fare un partito». Di Maio e Salvini si rivedono – Il video – Open

Il Segretario del PD Zingaretti, che giurava “mai con il PD”, e poi ci fa il Governo, senza mai sentire la necessità di riconoscere la sua inaffidabilità e incoerenza.

Nicola Zingaretti: ‘Nessuna ipotesi di governo con i 5stelle’ – YouTube

E, dulcis in fundo il M5S che, dopo aver preso una caterva di voti prefigurando provvedimenti tutti puntualmente traditi e disattesi, e dopo aver giurato che mai avrebbe fatto un Governo con “il partito di Bibbiano”, altrettanto puntualmente lo ha formato, scoprendo una inattesa e commovente affinità elettiva.

Quando Di Maio attaccava il PD: “Mai con il partito di Bibbiano” – YouTube

E che dire dell’opposizione, che di fronte a tutto ciò dovrebbe assumere iniziative forti, significative, incisive, inchiodando il Governo alle sue evidenti responsabilità, proponendo con forza alternative credibili, efficaci, e invece si limita ai messaggi sui social, ai proclami, ad annunciare barricate virtuali e prese di posizione alla camomilla: non è del tutto fuori luogo pensare che forse, sotto sotto, sia più conveniente per loro sbraitare e ululare alla luna, piuttosto che intraprendere un’azione più efficace.

Tutto questo mentre, come già detto, muoiono centinaia di nostri connazionali ogni giorno, la nostra economia è oggettivamente la peggiore in Europa, siamo in forte ritardo nel presentare i progetti di dettaglio che ci aprono la strada ai finanziamenti del Recovery Plan, ultimi tra gli ultimi, e all’orizzonte non si vede alcuna via d’uscita e sembra che ormai ci siamo assuefatti a continuare su questa via senza luce.

In questo quadro fosco, la sola figura di riferimento sarebbe il Presidente della Repubblica, che attraverso una azione di moral suasion, dovrebbe richiamare le forze politiche a un comportamento più serio e meno strumentale e indecoroso: ma ciò non accade, e l’attuale inquilino del Quirinale sembra più interessato a garantire la sopravvivenza a questo indecente Governo che non a dare al Paese una prospettiva di migliore gestione, ritagliandosi un ruolo non già di arbitro, come la Costituzione prescrive, ma di giocatore in campo.

Così continuando, andremo a sbattere, se chi detiene le leve del potere non si decide a fare gli interessi del Paese e non quelli funzionali alle sue meschine esigenze: “andrà tutto bene!”, si diceva qualche mese fa…

No, non andrà tutto bene, in questo caso è meglio affidarsi al pessimismo della ragione che non a un melenso e ingiustificato ottimismo, e chi si sta rendendo responsabile di questo scempio della storia e della nostra vita, dovrà essere chiamato a rispondere delle proprie responsabilità, perché non tutto può essere sempre tollerato impunemente, una volta tanto dovremo dimostrare con i fatti di essere un popolo degno della sua storia.

Fate presto!

Ricordate il 2011? L’Italia fu investita da una terribile bufera finanziaria, e fu alle prese con una crisi provocata dai mercati che assalirono il debito sovrano, portando in poche settimane lo spread a livelli insostenibili, fino a provocare una situazione di emergenza economica che costrinse l’allora Governo Berlusconi a prendere una serie di provvedimenti, che tuttavia non riuscirono a raffreddare l’aria.

Il Sole24ore, il più autorevole quotidiano economico Italiano, che da giorni esaminava con attenzione la situazione in atto, il 10 novembre 2011 uscì con un titolo cubitale che fece storia: “FATE PRESTO”, lanciando un appello alle istituzioni per salvare l’Italia dalla crisi di fiducia che aveva fatto impennare lo spread BTp/Bund fino a 575 punti.

Come finì la storia è noto: il Governo Berlusconi rassegnò le dimissioni, l’allora Presidente Della Repubblica Napolitano affidò a Mario Monti l’incarico di formare un nuovo Governo (ricordo che solo poche settimane prima Monti fu nominato Senatore a vita, chissà se per caso o per preveggenza…): nacque così un Governo tecnico le cui gesta sono note a tutti.

Ebbene, il preambolo mi è servito per effettuare un parallelo con la situazione di questi giorni, che ci vede alle prese con la tragedia provocata dalla pandemia del Coronavirus in atto, alla quale si sta sommando un più che prevedibile danno economico le cui conseguenze rischiano di essere devastanti.

E probabilmente, mai come in questo momento, quel titolo così lapidario e definitivo diventa assolutamente attuale, perché se fu adeguato nel 2011, lo sarebbe mille volte di più oggi, alla luce dei fatti.

La curva dei contagi di questa seconda fase della pandemia cresce con preoccupante progressione ormai esponenziale, in Italia come nel resto del mondo, e le iniziative che si stanno mettendo in atto sembrano non essere in grado di contenerne l’espansione, almeno finora.

Solo ieri, nel nostro Paese si sono registrati più di 21.000 casi di contagio (pur con tutti i distinguo tra positivi sintomatici, asintomatici e così via), e le strutture ospedaliere, prese d’assalto dall’onda mostrano preoccupanti segnali di stress.

Di fronte a una situazione oggettivamente grave, e con ogni probabilità destinata a protrarsi ancora a lungo nel tempo, sarebbe necessaria una doverosa presa di coscienza da parte di chi ha responsabilità di Governo e di gestione, perché ogni giorno che passa lo stato delle cose si aggrava sempre di più.

Non tornerò su un argomento già trattato, quello delle manchevolezze accumulate nei mesi trascorsi tra la fine del primo periodo di chiusura e il presentarsi della seconda ondata, ma è indubbio che lo spettacolo al quale stiamo assistendo in questi giorni difficili è tutt’altro che edificante.

La maggioranza che appoggia il Governo (e che non è tale nel Paese, giova ricordarlo) è lacerata, spaccata, e non trova assonanza completa su nulla: l’ultimo esempio è l’ultimo DPCM, appena firmato ed emanato, e già pesantemente contestato non già solo dall’opposizione, il che sarebbe certamente normale e fisiologico, ma da Italia Viva, partito che ha più parlamentari che elettori: quello che è strano è che prima si approvano i provvedimenti in Consiglio dei Ministri, poi si dice che non vanno bene… partiti di lotta e di governo, un film già visto.

Intanto, nelle piazze monta la protesta: in numerose città la gente scende in piazza, le categorie più colpite dai recenti provvedimenti sono in preda a una comprensibile disperazione, vedono seriamente compromesso il loro futuro.

E attenzione a pensare che questi moti siano gestiti da intelligenze occulte, il cui fine è quello di sfruttare la situazione in atto al fine di sovvertire l’ordine democratico: ci sono certamente infiltrazioni da parte di gruppi politicizzati, di destra ma anche di sinistra, con buona pace dei Gad Lerner e dei Gianrico Carofiglio, democratici a senso unico, affetti da strabismo che li costringe a guardare sempre e solo da una parte.

Quando un essere umano teme per il futuro suo e per quello dei suoi figli, ai quali teme di dover negare la possibilità di vivere una vita dignitosa, teme di non poter mettere insieme il pranzo con la cena, e come se ciò non bastasse si sente esortare a tenere comportamenti responsabili, a seguire le norme, a dare segno di ragionevolezza, da parte di chi, assopito sulle poltrone del potere, non ha compiuto il proprio dovere istituzionale, mancando alle promesse fatte e agli impegni assunti, è del tutto comprensibile che possa perdere la pazienza, e le conseguenze non possono che essere drammatiche.

Ricordo che siamo in stato di emergenza dal 31 gennaio u.s., che lo saremo ancora per lungo tempo, che il Governo va avanti a forza di DPCM, esautorando di fatto il Parlamento delle sue funzioni, con il risultato che, dopo aver millantato il virtuale modello Italia, ora siamo nel pieno della tempesta e abbiamo ragione di dubitare delle qualità del timoniere: ma nessuno paga per le sue negligenze.

In un momento di grave emergenza, se è oggettivo che chi doveva operare con efficacia non lo ha fatto, pur avendone avuto il tempo, l’autorità e le risorse, costui va rimosso, e non mi riferisco solo al Commissario straordinario Arcuri, la cui sola capacità che gli si può ragionevolmente riconoscere è quella di addossare responsabilità ad altri, ma anche più in alto.

L’ho già scritto, ma il sillogismo è calzante: dopo la disfatta di Caporetto, il Re destituì il Generale Cadorna, colpevole della sconfitta, e lo sostituì con Armando Diaz, che portò il nostro Esercito al trionfo di Vittorio Veneto, che di fatto pose fine alla 1^ Guerra Mondiale.

Allora, essendo palese agli occhi di chi vuol vede che questo Governo non è adeguato per gestire una situazione estremamente drammatica, complessa, che richiede competenza e professionalità certe e che è francamente difficile ritrovare nell’attuale esecutivo, a mio avviso il Presidente della Repubblica deve intervenire, nell’ambito delle sue prerogative, e chiedere al Governo di prendere atto della realtà, assumendosi la responsabilità di quanto accade, il che gli farebbe onore.

E’ auspicabile la collaborazione fattiva di tutte le parti in causa, maggioranza, opposizione, corpi intermedi, ma con disponibilità vera, responsabile, scevra da interessi di bottega: sono sempre stato contrario a soluzioni che non siano figlie dell’espressione della volontà popolare, ma nei momenti di emergenza sono necessari interventi emergenziali, e credo sia necessario un nuovo Governo, presieduto da una personalità di ben altro spessore rispetto al tremulo e vanaglorioso Conte, e al quale partecipino tutte le forze presenti in Parlamento, sulla base di un progetto comune e condiviso il cui solo obiettivo sia quello di uscire dal tunnel, per poi ridare la parola agli elettori.

Basta con le conferenze stampa, con le promesse inevase, con le colpevoli dichiarazioni senza senso (il vaccino anti Covid disponibile a dicembre…), la pazienza della gente è al limite di guardia, le manifestazioni di protesta si susseguono, e se Dio non voglia dovesse scapparci l’evento drammatico, cosa potrà accadere in quelle piazze?

E allora, FATE PRESTO, prima che sia troppo tardi, a scherzare con il fuoco, c’è il rischio di bruciarsi…

Tutti a casa

“Tutti a casa” è il titolo di un bellissimo film del 1960 diretto da Luigi Comencini, con un cast strepitoso ricco di grandi attori, tra i quali spiccava uno straordinario Alberto Sordi, al quale l’interpretazione del Tenente Innocenzi fruttò il David di Donatello, e con un cammeo dell’immenso Eduardo De Filippo, nel ruolo del padre.

Fedele alla mia passione per il cinema, ho pensato che quel titolo, che si riferisce amaramente allo sbando nel quale l’Esercito Italiano precipitò all’indomani dell’8 settembre del 1943, quando il Maresciallo Badoglio comunicò la notizia dell’armistizio, possa essere tristemente evocativo: i soldati Italiani festeggiarono felici la fine della guerra, e si levò il grido “Tutti a casa!”, non immaginando che i guai stavano solo per cominciare, e che i Tedeschi, fino al giorno prima alleati, di colpo si erano tramutati in acerrimi nemici.

Il Tenente Innocenzi, in attesa di ordini e di direttive, inizia così un viaggio periglioso attraverso l’Italia dilaniata dalla guerra, e dal Nord parte verso il Meridione, per tornare a casa, dove lo attende l’anziano genitore: prima pavido e impaurito, ma con il passare dei giorni sempre più consapevole del dramma nel quale l’Italia era sprofondata, si riscatterà nel finale del film, quando metterà coraggiosamente la sua esperienza di soldato al servizio degli insorti nella Napoli che si ribellava ai Tedeschi, anche per onorare la memoria del fedele suo sottoposto che lo aveva seguito durante il viaggio, un grande Serge Reggiani.

Vi domanderete perché abbia pensato di ricorrere a una storia così importante in questo momento: la risposta è che il dramma sanitario e sociale che stiamo vivendo in questi mesi in qualche maniera mi fa pensare all’Italia di quei momenti tremendi del dopo armistizio, anche se il paragone può sembrare irriverente.

Nel mio precedente post, ho inteso esprimere il mio parere sui principi della pianificazione della gestione dell’emergenza, in relazione alla micidiale seconda ondata del contagio del Coronavirus che si sta manifestando con ferocia in questi ultimi giorni: ribadisco la mia convinzione che quanto si sta facendo per arginarne la diffusione dimostri quanto poco la nostra classe dirigente conosca tali discipline, alla luce dell’escalation dei numeri che caratterizzano il fenomeno.

Ribadisco altresì che ho sempre ritenuto che, al di là delle responsabilità in merito alle modalità di gestione della crisi, sulle quali si dovrà necessariamente fare chiarezza, per rispetto della verità e per onorare la memoria di tanti nostri Connazionali che hanno perso la vita, in questo momento non fosse opportuno pensare a un cambio della compagine governativa: non è prudente cambiare il Comandante di una Nave se ci si trova in piena tempesta, anche nel caso fossero evidenti le sue negligenze, ma è necessario stringersi tutti attorno al medesimo obiettivo e affrontare il pericolo, rimandando le valutazioni a quando l’emergenza sarà passata.

Ciò nondimeno, non si può neanche pensare che tutto vada bene, e che ogni riflessione o critica, naturalmente costruttiva, debbano essere evitate per non disturbare il manovratore, come qualcuno pretenderebbe.

La situazione con la quale siamo alle prese non costituisce una sorpresa che ci ha colti in fallo: ciò è accaduto lo scorso inverno, quando le dimensioni del fenomeno pandemico furono inaspettate e imprevedibili, e quanto si fece fu dettato dall’emergenza autentica di fronte alla quale tutti eravamo impreparati e increduli.

Furono compiuti errori, ma non sarebbe intellettualmente onesto attribuirne l’esclusiva responsabilità al Governo, al di là di oggettive sottovalutazioni che tuttavia caratterizzarono il comportamento dell’esecutivo e dell’opposizione, senza distinzioni capziose.

Ma che vi erano le possibilità che in autunno si manifestasse un ritorno del virus era largamente prevedibile, a sentire i tantissimi pareri e le previsioni di numerosi autorevoli esperti del campo, e quindi c’è stato oggettivamente tutto il tempo per intraprendere azioni preventive che, sulla scorta dell’esperienza drammatica già vissuta, consentissero una gestione più coordinata ed efficace della nuova emergenza.

Ebbene, tutto ciò non è accaduto, e in questi ultimi giorni la virulenza del contagio è tale da farci temere che la cosiddetta seconda ondata possa produrre danni forse maggiori rispetto a quelli causati dalla prima, sia nei termini sanitari che in quelli dell’economia e della tenuta dello stato sociale.

I numeri crescono inarrestabili, le strutture sanitarie sono in stato d’allarme, la paura torna ad attanagliare tutti noi, i provvedimenti tesi ad arginare il contagio nascono come funghi e finiscono con il generare incertezza e malumore nella popolazione, che avrebbe bisogno di certezze e che invece in cambio della propria disponibilità riceve insicurezza.

Ci si domanda allora a cosa sia servito il procrastinare dello stato d’emergenza, caso unico in Europa e non solo, le mille task force, gli Stati Generali, i Commissari straordinari: tutta fuffa, un modo neanche tanto sibillino di assicurare presenza mediatica a chi brilla piuttosto per assenza di una visione strategica e di un progetto di gestione per il quale, in maniera quanto meno discutibile, si sono assunti poteri speciali la cui disponibilità ha partorito finora poco più di niente.

E l’oggettività di questa situazione e della assenza di iniziative efficaci e responsabili, sta facendo sì che anche il sistema d’informazione, che nella sua quasi totalità si era prostrato al cospetto del Governo, magnificandone l’azione taumaturgica e i miracoli la cui straordinarietà aveva generato l’illusione del cosiddetto “Modello Italia”, ora stia rivedendo il giudizio fin qui espresso e comincia, sia pur tardivamente e timidamente, a esprimere perplessità e dubbi.

D’altronde:

– è mai possibile che sul sistema dei trasporti pubblici non si sia fatto nulla, se non pensare di decongestionare il traffico inventandosi i contributi per l’acquisto di biciclette e monopattini? E’ forse una barzelletta? Perché non pensare all’impiego dei bus turistici, da mesi fermi per via della crisi del settore turistico? Ed è tollerabile che il garrulo Ministro De Micheli affermi in diretta TV che il rischio di contagio sui mezzi pubblici è bassissimo, in sfregio ai pareri unanimi di esperti e al più banale buon senso? Non sente la necessità costei di farsi un esame di coscienza e prendere atto della sua totale inadeguatezza, al punto che forse sarà il caso di rivalutare il tartassatissimo Toninelli?

– dopo averci tormentati per mesi sulla necessità di sottoporci al vaccino antinfluenzale, perché ancora oggi trovarli è quasi impossibile?

– perché il bando per incrementare i posti di terapia intensiva, uno degli obiettivi primari, è partito soltanto ai primi di ottobre, nonostante la disponibilità di 1 miliardo e 300 milioni di Euro fin dallo scorso mese di maggio, e i lavori di realizzazione degli stessi dovranno essere ultimati entro 27 mesi?

– si può assistere senza indignarsi allo spettacolo indecoroso delle interminabili file di cittadini che attendono ore e ore, all’addiaccio nelle proprie macchine, di poter fare un tampone, senza l’esito del quale non possono rientrare al lavoro o mandare i propri figli a scuola? Cosa ne pensano il Ministro della Salute e i Presidenti di Regione?

– e infine, dopo aver speso un’intera estate a disquisire della necessità di disporre dei banchi a rotelle, cosa si è fatto per garantire un più o meno regolare svolgimento dell’anno scolastico, avendo chiuso per primi e riaperto per ultimi? E ora si torna a parlare di didattica a distanza!

Mi fermo qui, l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo, ma gli esempi riportati sono sufficienti per descrivere una situazione che non si può che definire imbarazzante e pericolosa.

E allora, per richiamare il titolo del film cui facevo riferimento, tutti a casa dovrebbe essere, secondo me, quello che dovrebbe fare l’attuale Governo, sulla cui inadeguatezza la mia già forte convinzione si rafforza giorno dopo giorno, se solo avesse un minimo di dignità, di responsabilità e di senso dello Stato, anche se è lecito dubitarne.

Ma dato che pensare a elezioni in questo momento credo sia velleitario e inopportuno, data la situazione, mi permetto di esprimere due sole considerazioni:

– il Presidente della Repubblica, dall’alto del Quirinale, dovrebbe chiedere al Presidente del Consiglio lumi sulle cause di una simile Caporetto, in forma discreta e anche senza fare pubblicità alla cosa, operando una sorta di moral suasion, e richiamandolo a un comportamento più corretto e consapevole del momento drammatico, che impone decisioni anche impopolari, se necessarie. E che non vengano fuori i Costituzionalisti a targhe alterne, quelli che si ricordano della Carta quando fa loro comodo, richiamandone l’inviolabilità se serve a perorare la loro causa e dimenticandosene quando fa loro comodo: situazioni di emergenza richiedono provvedimenti di emergenza! Dopo Caporetto Cadorna fu allontanato, arrivò Diaz e fu Vittorio Veneto!

– maggioranza e opposizione abbandonino i social e si siedano attorno a un tavolo e trovino un accordo su pochi punti, sostanziali e chiari, dando vita a un esecutivo di unità Nazionale, presieduto da una personalità autorevole e non da un parvenu come l’ineffabile Conte, il quale siede a Palazzo Chigi “per grazia ricevuta” (oggi mi piace ricorrere a citazioni cinematografiche) e sta mostrando la sola virtù dell’attaccamento alla poltrona. Sono ferocemente contrario a soluzioni politiche che non siano figlie dell’espressione del popolo attraverso il voto, ma visto che dopo il 2011 abbiamo avuto ininterrottamente ben sei Governi che con i risultati elettorali non c’entravano nulla, come si suol dire, abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno.

Siamo finiti su di un piano inclinato, la velocità di caduta cresce, secondo le leggi della fisica, e se non troviamo il modo per frenare, finiremo contro un muro con uno schianto dal quale rischiamo di non riprendenrci, tale sarà la violenza dell’urto.

E questo Governo fa da acceleratore in questa folle corsa, oramai è palese.

Pianificazione ed emergenza

Continuano a susseguirsi le inquietanti notizie sulla diffusione del contagio, i cui numeri stanno salendo impietosamente, tanto da indurre il Governo e le Regioni a intraprendere iniziative volte a contenere la diffusione del virus.

E’ la cosiddetta seconda ondata, che tutti speravamo non si verificasse ma che purtroppo sembra essere in pieno svolgimento.

Ricordiamo tutti ciò che ci capitò di vivere nella passata primavera, quando l’onda d’urto del virus ci travolse, o meglio investì il mondo intero che non si aspettava un dramma di tali proporzioni, e fummo costretti a sopportare un periodo di forzata clausura nelle nostre abitazioni, provvedimento straordinario e senza precedenti storici, ma che certamente contribuì a combattere quel fenomeno che ha mietuto decine di migliaia di vittime nel nostro Paese, ponendo tutti noi dinnanzi a un’angoscia della quale ancora oggi avvertiamo il peso.

E nonostante siano stati compiuti errori di sottovalutazione e in qualche caso di superficialità, sui quali a tempo debito sarà necessario e doveroso fare riflessioni attente e scevre da pregiudizi, va dato atto al Governo che la gestione di quei giorni di fronte a un evento assolutamente inaspettato e altamente drammatico fu tale da consentire il contenimento della diffusione dell’infezione.

Poi, pian piano, i dati che quotidianamente venivano sciorinati da tutti gli organi d’informazione cominciarono a lasciar intravedere uno spiraglio, e finalmente il lockdown al quale tutti fummo costretti finì, e si cercò di tornare a una relativa normalità, pur con mille doverose precauzioni.

Va detto tuttavia che i virologi, gli scienziati che ormai sono diventati parte del nostro quotidiano e che ci forniscono pareri e opinioni sul virus, magari contrastanti talvolta, non hanno mai mancato di paventare la famosa seconda ondata, che nelle loro previsioni avrebbe potuto verificarsi in autunno: mancava la certezza che ciò potesse avvenire, ma intanto l’allarme era stato lanciato.

E d’altra parte, la drammatica esperienza vissuta fino a poche settimane prima, le manchevolezze registrate per via della sorpresa prodotta da un fenomeno inaspettato e senza precedenti, suggerivano l’adozione di provvedimenti tali da garantire che, in caso di una recrudescenza del contagio, non ci si facesse cogliere nuovamente in fallo.

Si consideri, d’altronde, che il Governo proclamò lo stato d’emergenza il 31 gennaio u.s. e che tale provvedimento straordinario e senza precedenti è stato via via procrastinato fino al 31 gennaio 2021, caso unico in Europa, il che testimonia della gravità della situazione, altrimenti la cosa non troverebbe spiegazione logica.

Ora vorrei proporre una riflessione su quello che stiamo vedendo accadere in questi giorni, di fronte a una recrudescenza violenta del contagio, rispetto alla quale sembra però che la sorpresa si rinnovi, e si stanno vivendo difficoltà di gestione che molto somigliano a quelle patite nei mesi passati.

Come sa chi ha la bontà di leggere questo blog, io sono un Militare: e chi appartiene a questa schiera, viene spesso accusato di rigidità mentale, di poca flessibilità, di essere poco incline all’elasticità.

Non mi abbandonerò a una difesa d’ufficio della categoria, non è questa la sede né il mio obiettivo, ma vorrei soltanto descrivere come viene normalmente gestita un’attività di pianificazione, quando ci si trova davanti alla necessità di organizzare un intervento operativo per fare fronte a una situazione complessa che vede il coinvolgimento di più attori.

Naturalmente in uno scenario operativo navale, che è stato ed è il mio mondo, ma il metodo è largamente adottato e diffuso in tantissimi altri settori.

La pianificazione è l’attività più importante in questi contesti, e tutto deve essere previsto e definito fino al massimo livello di dettaglio possibile: quando un’Unità Navale lascia il porto e prende il mare, spesso per periodi lunghi e ininterrotti, è un piccolo mondo che si muove, e deve essere autonomo e in grado di sostenersi, garantendo allo stesso tempo l’operatività ai fini della missione che le è stata assegnata, e la sicurezza del personale di bordo.

Il Comandante, sul quale grava la responsabilità totale dell’azione, affida al suo Stato Maggiore, ovvero agli Ufficiali alle sue dipendenze, compiti precisi, che tengono conto della specificità dei rispettivi ruoli e competenze, e questa squadra deve muoversi all’unisono: numerose sono le riunioni che precedono la partenza, e i pareri su quello che si dovrà fare vengono valutati attentamente, ma una volta stabilite le regole d’ingaggio, tutti remano nella stessa direzione, senza tentennamenti e discussioni.

E non vi è alcun dubbio su chi debba fare cosa: quando sei in mare aperto, a centinaia di miglia dal porto più vicino, devi confidare solo sulle tue risorse, ed essere in grado di gestire situazioni complesse sapendo che la guida è sicura e tutti seguono lo stesso spartito.

Ma poi accade l’imponderabile, si presentano improvvisamente situazioni inattese, e allora scatta l’emergenza, e non sempre la soluzione è immediata, ma è necessario intervenire con una prontezza che talvolta richiede interventi che nessun manuale è in grado di suggerire: vengono quindi adottate procedure per la crisi, già definite in un ambito di gestione del rischio, al fine di mitigarne gli effetti.

In parole povere, si cerca di “prevedere” anche l’imponderabile, valorizzando le situazioni di emergenza già vissute in passato e analizzandone gli effetti e le relative soluzioni adottate.

Se questo sistema funziona, se tutte le componenti lavorano con sincronia, la missione si concretizza positivamente, altrimenti il fallimento è dietro l’angolo, a volte con conseguenze drammatiche.

Perché tutto questo ragionamento?

Ho l’impressione che i nostri governanti poco frequentino la scienza della pianificazione, della programmazione, dell’identificazione delle esigenze e della conseguente definizione delle iniziative atte a soddisfarle, ma preferiscano piuttosto avvalersi di strumenti impropri (vedi il ricorrere allo stato d’emergenza) che tuttavia non forniscono i risultati attesi.

Ecco dunque che in questi giorni, di fronte alla preannunciata seconda ondata, e ai problemi e alle carenze che si stanno presentando, tanto somiglianti a quelli vissuti nei mesi precedenti, ci sentiamo dire che c’è il problema delle terapie intensive, che mancano i reagenti per i tamponi, che è saltato il sistema di tracciamento dei contagiati, che c’è carenza dei vaccini antinfluenzali, che i trasporti possono costituire un rischio di diffusione del contagio e decine di altri punti di debolezza che non elenco, perché non vi è giornale o mezzo d’informazione che non li denunci con dovizia di particolari.

Come già detto, ciò era tollerabile, anzi giustificato, durante la prima fase, quando la pandemia arrivò e ci colpì tra capo e collo, ma ora, a quattro mesi dalla fine del lockdown, questa situazione che rischia di farci ripiombare in un dramma annunciato, è grave e imperdonabile.

Task force, Commissari straordinari rivelatisi incapaci, Stati generali convocati in pompa magna al solo fine di fornire una passerella ai pavoni in cerca di notorietà, ma privi di alcuna efficacia, a nulla sono serviti se ora dobbiamo prendere atto che le difficoltà e i drammi vissuti solo pochi mesi fa rischiano di ripresentarsi con oggettiva esigenza.

Non sono così folle o presuntuoso da pensare di poter paragonare il sistema di gestione operativa che ho descritto con una situazione drammatica e immane come è una pandemia, ma un Governo degno di questo nome che si trova a gestire un momento storico, ha il dovere di abbandonare la demagogia, il mero calcolo utilitaristico e dimostrare senso di responsabilità e del dovere istituzionale.

Abbiamo sentito parlare per mesi di modello Italia, di come gli altri Paesi chiedevano al nostro Presidente del Consiglio copia dei miracolosi DPCM per poterne adottare i mirabolanti provvedimenti, salvo poi scoprire che la seconda ondata ci coglie con una mano davanti e una dietro, come si suole dire.

Mi tengo alla larga da quanti invocano una Norimberga, il senso della misura e la serietà impone comportamenti diversi, ma se, tanto per fare un esempio, qualcuno non è capace di fare niente di meglio che proporre il contratto per incrementare i posti in terapia intensiva solo ai primi di ottobre, pur essendo da mesi disponibili i fondi, con il risultato che, se tutto va bene, li vedremo tra qualche mese, bisogna che questo qualcuno si assuma la responsabilità della propria negligenza, perché se ciò può produrre danni alla salute pubblica, la cosa non può passare in cavalleria.

Situazioni serie richiedono comportamenti seri, non pagliacciate, passerelle narcisistiche ma prive di concretezza: chi non è oggettivamente in grado di adempiere ai suoi compiti ne prenda atto e non sfrutti la propria inopinata posizione di privilegio scherzando con la salute della gente, ciò non è moralmente, eticamente e politicamente accettabile, e la storia non mancherà di ricordarlo a tempo debito.

La seconda ondata

Tutti ricordiamo le settimane trascorse in una forzata clausura, a cavallo tra l’inverno e la primavera di quest’anno infausto, per fronteggiare lo tsunami che ha travolto il mondo intero, sotto le spoglie di un virus subdolo, sconosciuto e insidioso, che ha costretto intere comunità a farsi carico di una situazione certamente imprevedibile, e di fronte alla quale è stato necessario assumere iniziative pesanti e drammatiche, ma inevitabili.

E l’Italia, attraverso il suo Governo, ha dovuto affrontare questa tremenda minaccia per prima tra i Paesi d’Europa, e a distanza di tempo, dopo le altrettanto inevitabili riflessioni sui comportamenti, sulle responsabilità, sui provvedimenti assunti, non si può non riconoscere che, al netto degli errori commessi dovuti principalmente al fatto che nessuno era pronto ad affrontare una simile emergenza, i risultati ottenuti sono stati tutto sommato positivi.

Ciò anche e soprattutto grazie al comportamento responsabile della popolazione che, pur tra le difficoltà oggettive che tale situazione ha proposto, ha saputo adeguarsi e dare prova di responsabilità, di senso civico, di disciplina: tutto ciò ha avuto un peso determinante per ottenere i risultati che tutti sono pronti a riconoscere.

Poi la tempesta è parsa placarsi, i numeri della diffusione del contagio hanno consentito un allentamento della morsa, pian piano le attività sociali, commerciali e industriali hanno ripreso il loro corso e forse tutti abbiamo pensato che il peggio fosse passato.

In realtà, come tantissimi scienziati non hanno mancato di segnalare, poteva trattarsi di un momento di tregua, e non si poteva certamente escludere l’eventualità di una recrudescenza del contagio, con l’arrivo dell’autunno e con la ripresa di una relativa normalità: ebbene, è esattamente quello che sta accadendo in questi giorni, e stiamo assistendo a un progressivo e preoccupante incremento del numero dei positivi, dei ricoveri e, ahimè, dei decessi che pur non assumendo le proporzioni drammatiche della scorsa primavera, impone tuttavia un allarme e la presa d’atto che la guerra contro il virus è ancora ben lungi dall’essere vinta.

E su questa situazione ormai conclamata occorre fare delle riflessioni che si basino su elementi oggettivi e senza abbandonarsi al furore ideologico e ai pregiudizi.

Nella prima fase della pandemia furono commessi errori, da parte delle autorità di Governo e dalle stesse Regioni, dovuti in un primo momento alla sottovalutazione del fenomeno unita a una capziosa voglia di buonismo, poi alle oggettive difficoltà di gestione di una circostanza assolutamente imprevedibile: sulle responsabilità vi sono in corso inchieste, indagini e accertamenti, e quindi sarà bene esimersi dall’esprimere posizioni personali, e attendere che gli organi inquirenti compiano il loro dovere e si pronuncino in merito.

Ma ciò che invece è a mio avviso necessario fare in questa fase è capire se le iniziative che dovevano essere assunte per affrontare, con la richiesta efficienza ed efficacia, questa seconda ondata della pandemia sono state effettivamente messe in atto, dal momento che l’attenuante della sorpresa e dell’imprevedibilità degli eventi non regge più.

Ricordo che il Governo in carica decretò lo stato d’emergenza fin dal 31 gennaio u.s., e che di proroga in proroga lo ha portato, al momento, al 31 gennaio 2021, caso unico in tutta Europa: provvedimento che personalmente non condivido, confortato in questo mio parere da quello di insigni studiosi, costituzionalisti, sociologi, analisti che lo hanno reputato inadeguato, sproporzionato rispetto alle reali necessità, e financo pericolosamente antidemocratico, in quanto consente all’esecutivo di legiferare a colpi di DPCM, scavalcando il Parlamento che è stato privato della sua funzione sacrosanta e costituzionale di verifica e controllo.

I difensori dell’attività del Governo rispondono a queste obiezioni affermando che senza lo stato d’emergenza, non sarebbe stato possibile attuare tutti quei provvedimenti e quelle disposizioni che ora consentono una gestione adeguata della situazione, e il fatto che analoga situazione non riguardi alcun altro Paese europeo, e non solo, non è sufficiente, per loro, per riconoscere che evidentemente l’Italia rappresenta un unicum difficilmente spiegabile e comprensibile.

Ma volendo prendere per buona, obtorto collo, questa tesi, allora bisogna accettare serenamente che ci si chieda se avere rinunciato a garanzie costituzionali sia stato proficuo sotto l’aspetto dell’efficienza ed efficacia, e se tutto ciò che andava fatto si è concretizzato.

E qui, le perplessità ci sono tutte e trovano purtroppo riscontro nei fatti.

Due giorni fa, sulle pagine del Corriere della Sera, Pierluigi Battista, uno dei pochi giornalisti che hanno il coraggio di esprimere le proprie opinioni con oggettività e senza condizionamenti, ha esaminato la situazione che stiamo vivendo in questa seconda fase della pandemia, e ha elencato le manchevolezze che sono sotto gli occhi di tutti.

Per esempio:

– si è sempre affermato che uno dei provvedimenti più urgenti e determinanti da attuare è quello del tracciamento dei contagiati, per poter prestare loro cure immediate in caso di necessità e per monitorare l’eventuale diffusione dell’infezione, tra coloro i quali sarebbero venuti in contatto con loro. Ebbene, sono sotto gli occhi di tutti le scene indecenti e indecorose che passano tutti i giorni in TV, da Roma, da Milano, da Napoli, con file di persone costrette ad attendere fino a 10, 12 ore intrappolate nelle proprie auto, in attesa di poter fare un tampone. Scene non degne di un Paese del cosiddetto terzo mondo, e non di una Nazione sviluppata e teoricamente evoluta: cosa ha fatto il Governo in questi mesi per pianificare questa attività, ora che scopriamo addirittura che vi sarebbe carenza di reagenti tanto da provocare intollerabili ritardi nella determinazione dell’esito del test? Evidentemente, poco o nulla

– uno dei problemi drammatici che caratterizzarono la prima fase dell’emergenza fu quello della carenza di posti nei reparti di terapia intensiva degli ospedali, e fu chiaro che era necessario porre in essere un’immediata strategia per aumentarne il numero. Ebbene, quando è stata emessa la relativa gara d’appalto? Solo ai primi di ottobre, e ora i tempi tecnici per la valutazione delle offerte e l’aggiudicazione del contratto saranno tali che si correrà il rischio di una saturazione dei posti disponibili quando, Dio non voglia, saremo in piena emergenza. Qualcuno del Governo può spiegare il perché di questa inconcepibile isteresi?

– i famigerati banchi “a rotelle”, che parevano essere la condizione sine qua non per consentire la riapertura delle scuole: sapete quanti ne sono stati consegnati finora? Una percentuale vicina al 15%! Con gli scolari che si portano dietro da casa tavolette di legno sulle quali poggiare libri e quaderni, in mancanza del banco. Chi ci spiega come ciò sia possibile?

– per tutta l’estate virologi, scienziati, infettivologi, ci hanno sfiniti con la sollecitazione rivolta a tutta la popolazione a vaccinarsi contro l’influenza, come necessario atto di prevenzione per evitare il sovrapporsi, in autunno e in inverno, tra i sintomi della sindrome influenzale e quelli del COVID. Qualcuno si è spinto ad affermare la necessità di rendere obbligatoria la vaccinazione, tanto la si ritiene determinante. Ebbene, per reperire il vaccino in farmacia o tramite il proprio medico di base, è necessaria l’intercessione di un qualche Santo invocandolo tramite assorte e devote preghiere, perché altrimenti è impresa vana, e questo vale su tutto il territorio nazionale. Cosa ha fatto il Governo per garantire la disponibilità delle dosi necessarie in tempo utile?

– un problema oggettivo è quello dei trasporti: basta provare a prendere una corsa della metro o un autobus di linea per rendersi conto del fatto che la norma che prevede distanziamento e capienza ridotta è totalmente disattesa e non vi sono controlli, e ciò rende altamente probabile la diffusione del contagio tra coloro i quali, dovendosi recare al lavoro, a scuola o solo perché necessita di spostarsi ma non dispone di altri mezzi non può far altro che prendere mezzi pubblici. Chi doveva intervenire e non lo ha fatto?

Mi fermo qui, ma ci sarebbero numerosi altri punti da esaminare, non prima tuttavia di ricordare che il Governo ha sentito l’esigenza di nominare un Commissario straordinario per la gestione degli acquisti dei beni e dei servizi necessari per affrontare l’emergenza: se i risultati sono questi, delle due l’una, o il personaggio scelto non è all’altezza del suo ruolo, e il sistema adottato non è quello corretto, e allora si intervenga.

E non serve nemmeno cercare la capziosa distinzione tra competenze del Governo centrale e quello delle Regioni: la Sanità è materia concorrente, come sancito dalla Costituzione a seguito della sciagurata riforma del Titolo V di qualche anno fa, e quindi le responsabilità sono di tutti, nessuno può far finta di essere in possesso di una verginità irrimediabilmente persa da lungo tempo.

Piuttosto, trovo particolarmente sgradevole e inaccettabile l’atteggiamento che il Governo sta assumendo, quello cioè di gettare sulle spalle dei cittadini la responsabilità di ciò che di grave potrà accadere, ribaltando i ruoli. e cercando di sottrarsi alle proprie.

Esempio lampante è quello della incredibile uscita del Ministro per la Salute Roberto Speranza il quale, durante un intervento in TV, a proposito della necessità di evitare feste private alle quali possano partecipare parenti e amici, alla domanda su come fare i controlli in abitazioni private, non ha trovato niente di meglio da dire che si confida nelle segnalazioni di vicini o affini.

All’ineffabile Ministro suggerisco la visione del film “Le vite degli altri”, ambientato nella DDR di comunista memoria, nel quale si racconta di come la STASI, polizia del regime, frugava nell’esistenza di comuni cittadini, violentandone l’intimità e la libertà: ma quella era una dittatura, non dovremmo essere in democrazia, anche se forse sarebbe opportuno dimostrarlo con i fatti, e non solo dichiararlo.

Non è proprio fare questo genere di paragoni, certo esagerati e non coerenti con la nostra realtà, ma a parte che “voce dal sen sfuggita poi richiamar non vale”, è palese di come piaccia al governo emettere disposizioni e suggerimenti di dubbia realizzazione, e talvolta dimentichi delle più elementari garanzie costituzionali ( ma ve lo immaginate cosa accadrebbe qualora al vostro uscio si presentassero la Polizia o i Carabinieri per verificare la presenza del settimo invitato non consentito da un qualsiasi DPCM, chiamati da un vicino delatore?), a me pare che oggettivamente si stiano superando dei limiti come mai è stato fatto in passato.

E l’opposizione smetta di fare finta di indignarsi, di promettere di fare le barricate, di scendere in piazza, e altre simili baggianate, e ponga in essere azioni incisive e significative.

Quando i fascisti nel 1924 uccisero Giacomo Matteotti, loro fiero avversario e segretario del Partito Socialista, l’opposizione “salì sull’Aventino” astenendosi dai lavori parlamentari, fino a quando i responsabili dell’assassinio non fossero stati processati: il richiamo storico è sproporzionato, me ne rendo conto, ma vi ricorro soltanto perché un’opposizione credibile mette in atto iniziative anche clamorose, ma sempre rispettose della democrazia e delle sue regole, e non si limita a slogan e messaggi affidati ai social al solo scopo di fare ammuina. In difetto, si rende complice di ciò che accade e dilapida il patrimonio di affidabilità del quale gode.

E infine, ai mass media, un invito, che però temo rimarrà inascoltato: basta con le faziosità, chi non riesce a fare un vaccino, non può prendere serenamente un mezzo pubblico senza il terrore di essere contagiato, chi non ha ancora ricevuto la cassa integrazione, dorme in macchina per attendere di fare un tampone, se ne frega se ciò è responsabilità di questo o di quello, pretende rispetto della propria dignità di cittadino e non di suddito, e la narrazione faziosa e pregna di pregiudizi non è dignitosa e per nulla corretta, sarà bene rendersene conto.

Referendum e scioglimento delle Camere

Due sere fa mi è capitato di assistere in TV, su Rete 4, a un intervento del Prof. Giulio Tremonti il quale, come sempre lucido e oggettivo, ha sollevato il problema della valutazione degli effetti prodotti dall’esito del recente referendum popolare, sulla riduzione del numero dei Parlamentari.

Come è noto, ha vinto il fronte del SI, con una percentuale che, seppure più bassa rispetto alle previsioni, è stata comunque del 70% circa, e quindi è inequivocabile il giudizio degli elettori: ne consegue che le due Camere subiranno una sforbiciata del numero dei rappresentanti, che passeranno da circa 1000 a circa 600.

Ciò pone un problema: questo Parlamento, eletto prima della riforma, conserva intatta la sua legittimità o il risultato referendario lo pone in una condizione di precarietà, tale da suscitare perplessità e dubbi sull’opportunità che resti in vigenza?

Sul tema si registrano due posizioni: i difensori della legittimità di questo Parlamento e la conseguente possibilità che continui tranquillamente la sua attività, e quelli della necessità che invece le Camere vengano sciolte, essendo non più conformi alla scelta chiaramente espressa dagli elettori chiamati a esprimersi con il quesito referendario, il che le pone in una oggettiva condizione di non più coerente rappresentatività.

Ciascuna delle due opzioni è suffragata da dati ed elementi a supporto e, come spesso accade in questo Paese, più che al problema intrinseco ci si accusa reciprocamente di faziosità, senza spingersi invece a un’analisi compiuta.

Il Prof.Tremonti, nella sua esposizione, ha richiamato alla memoria il precedente dello scioglimento delle Camere del 1994, operato dall’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, all’indomani dell’approvazione di una nuova legge elettorale, nata a seguito del referendum promosso da Mariotto Segni che introdusse di fatto il sistema maggioritario. Quella legge elettorale, manco a farlo apposta, prese il nome di Mattarellum, in omaggio all’attuale Presidente della Repubblica.

Scalfaro motivò le ragioni della sua scelta in una lettera che indirizzò alle due Camere, al tempo rette da Napolitano e Spadolini: quella decisione raccolse il favore del centrosinistra e scontentò il centrodestra, praticamente l’opposto di quanto accadrebbe in questo momento, se si verificasse un’analoga circostanza.

Quella situazione storica presenta numerosi punti di consonanza con l’attuale: si era in piena Tangentopoli, la fiducia della gente nella classe politica era bassissima (esattamente come in questi tempi), vi era una profonda differenza tra il peso delle forze presenti in Parlamento e il sentire popolare, e il Presidente della Repubblica dell’epoca non potè non prenderne atto, fino a giungere alla decisione dello scioglimento.

Ho fatto qualche ricerca, per approfondire il tema, e premesso che la mia personale opinione è che sciogliere le Camere sarebbe doveroso concordando in questo con l’opinione di Tremonti, mi limito a osservare che le ragioni di coloro i quali, studiosi ed esperti o semplici opinionisti, sostengono che non esisterebbe alcun appiglio normativo in realtà sono smentite dai fatti.

A sostegno della mia affermazione, segnalo alcuni link presso i quali è possibile verificare l’argomentata opinione di studiosi di temi costituzionali, i quali indicano quali sono i limiti, le prerogative e le attribuzioni in particolare del Presidente della Repubblica il quale, nella sua veste di garante della Costituzione, dispone di tutti gli strumenti normativi e giuridici che gli consentirebbero di decidere in merito, nel pieno rispetto, allo stesso tempo, della Carta e della volontà popolare.

Ciò detto, e ferma restando la piena legittimità del Governo in carica, alla luce di quanto sancito dalla Costituzione che, tuttavia, dovremmo imparare a rispettare e applicare sempre, e non solo quando ci aggrada perché funzionale alle nostre opinioni o, peggio, ai nostri interessi di parte, non vi è dubbio che l’attuale esecutivo non è più coerente con le indicazioni giunte dai risultati delle numerose e recenti consultazioni elettorali.

Senza scomodare per l’ennesima volta le espressioni di Costantino Mortati, che sul tema scrisse parole inequivocabili, e considerato che altrettanto hanno fatto e fanno numerosissimi insigni Costituzionalisti, affermando l’opportunità che in una siffatta situazione, che vede una palese asincronia tra le forze che appoggiano il Governo e l’effettivo peso elettorale delle stesse, credo che già questa considerazione oggettiva dovrebbe essere sufficiente per affrontare seriamente il problema, in maniera schietta, senza pregiudizi e basata sui dati oggettivi.

E reggono poco le giustificazioni di quelli che ricordano che i Governi si formano in Parlamento, che le elezioni politiche si tengono ogni 5 anni, che non ci si può basare sui sondaggi: tutte giuste considerazioni, ma se in Italia l’attuale opposizione governa 15 Regioni su 20, una ragione ci sarà, se il Governo si basa su un partito, il PD, che vanta circa il 20% dei suffragi e un altro, il M5S, che probabilmente sul piano nazionale non va oltre il 10, ci sarà o no un problema di rappresentatività?

E ancora, se a guidare questo Governo vi è un personaggio pescato per strada, sconosciuto ai più, neanche parlamentare (e certo non è questo il problema principale), che è passato con olimpica indifferenza da un Governo di centrodestra a uno di centrosinistra, nel breve volgere di poche ore, rinnegando le attività da esso stesso definite e smentendo sé stesso, caso praticamente unico al mondo e nella storia, qualche domanda sarà lecito porsela o no?

Se a tutto questo ora si aggiunge che il recente referendum fa sì che nelle Camere siedano 400 parlamentari in più rispetto a quelli che l’esito dello stesso definisce, pone sì o no un problema di rispetto della volontà popolare liberamente espressa e alla quale bisognerebbe dare immediata e pratica attuazione?

Io credo di sì, e in un momento storico nel quale l’esecutivo dovrà prendere decisioni che segneranno il nostro futuro e soprattutto quello dei nostri figli, è necessario che l’esecutivo operi sulla scorta di un preciso e inequivocabile mandato popolare, e non a seguito di manovre di palazzo che, pur rispettando formalmente le leggi e le norme vigenti, segnano drammaticamente il solco che separa la politica dai cittadini che, in questo modo, vengono trattati come sudditi.

Ecco i link ai quali facevo riferimento:

1 – https://www.occhionotizie.it/fine-prima-repubblica/

2 – https://nvinie.wordpress.com/2018/06/24/lo-scioglimento-delle-camere/

3 – https://www.progettoeurexit.it/perche-la-costituzione-imporrebbe-di-sciogliere-le-camere/

Chi avrà la pazienza di leggere gli articoli proposti avrà l’opportunità di farsi una propria idea, libera e scevra da condizionamenti: credo sia la maniera migliore per affrontare argomenti divisivi, come quelli che ho ritenuto di trattare in questo post.

Virus e modello Italia

Sempre più spesso si sente parlare del modello Italia, quale esempio di buona gestione dell’emergenza pandemia, tanto più in queste ultime settimane, nelle quali si assiste a una significativa recrudescenza del contagio in Europa e in altre parti del mondo, cui fa da contraltare un aumento progressivo dei casi anche nel nostro Paese ma per fortuna di dimensioni decisamente più contenute.

I mass media e i frequentatori dei social dividono il mondo in due categorie: da una parte i Paesi a guida sostanzialmente di sinistra, ai quali si riconosce una gestione oculata, responsabile, attenta, con il risultato di avere contenuto nel migliore dei modi la diffusione del virus-

Dall’altra, i Paesi a guida di destra, appellati come sovranisti e negazionisti (peraltro con l’uso di questo termine ignorano che fu coniato in riferimento all’immane tragedia dell’olocausto, mostrando in questo modo ignoranza della storia e furia iconoclasta), accusati di una gestione della pandemia irresponsabile, colpevole, tanto da aver provocato migliaia e migliaia di morti.

Un sistema manicheo, che divide il genere umano in categorie, ma che sfugge all’oggettività e si fonda sul pregiudizio e sulla presunzione di chi l’adopera, convinto di essere depositario di una superiorità etica e morale che nessuno però gli ha assegnato, e che alla luce dei fatti è del tutto infondata.

Io intendo sottrarmi a questo metodo di giudizio, e come sono solito fare in questi casi, preferisco affidarmi ai dati oggettivi, convinto come sono, per studi e per abitudine professionale, che i numeri non mentono, nella loro fredda e asettica imparzialità.

A questo link https://www.worldometers.info/coronavirus/#countries è disponibile una interessante tabella interattiva, che presenta una serie di indicatori basati sui numeri relativi alla diffusione del virus in tutto il mondo: tali indicatori si basano su una serie di rapporti che mettono in relazione tra di loro, per esempio, il numero di decessi con la popolazione di un determinato Paese, numero di casi per milione di abitanti, decessi per milione di casi, e numerosissimi altri, comunque tutti basati su elementi oggettivi e riscontrabili, così da disporre di informazioni inconfutabili.

Ebbene, dall’analisi dei dati la teoria dei Paesi sovranisti colpevoli di una pessima gestione dell’emergenza subisce duri colpi: d’altronde, è profondamente errato stilare classifiche basandosi sul solo dato dei contagiati o dei decessi, come spesso viene fatto, senza porlo in relazione con elementi quali la popolazione, in maniera che i risultati siano riferibili a grandezze omogenee, come sa chiunque si sia mai occupato anche solo marginalmente di analisi.

Invito quindi chi legge questo post a studiare la tabella, e di trarre le relative conclusioni in maniera oggettiva e asettica: è il modo migliore per evitare brutte figure.

Se in un Paese che conta 1000 abitanti vi sono 50 casi, e in uno che conta 500 abitanti ve ne sono 40, quale dei due si trova in una situazione peggiore?

Quindi, attenzione ad attribuire patenti di efficienza e virtù basandosi su elementi inconsistenti, o ancor peggio politicizzando un argomento che invece andrebbe affrontato con discernimento e con metodi matematici, riferibili e riscontrabili: ogni altra interpretazione distorce la realtà e qualifica come inaffidabile chi la fa propria.

Concludo riportando un intervento del Prof. Luca Ricolfi sul modello Italia: è una voce dissonante, che propone un punto di vista lontano da quello imperante, e credo che prendere in esame considerazioni diverse da quelle maggiormente diffuse sia utile per arricchire il dibattito e per formarsi un’opinione più razionale e completa.

Solidarietà e accoglienza

E’ in pieno svolgimento presso l’UE il dibattito sulle modifiche da apportare al trattato di Dublino, che disciplina le modalità di gestione del fenomeno dell’immigrazione, che da tempo impegna seriamente soprattutto il nostro Paese, particolarmente esposto in virtù della propria posizione geografica nel Mediterraneo.

Dalle ultime notizie emerse, tenuto conto del fatto che le decisioni non sono ancora definitive e che è in corso un vivace dibattito tra i Paesi UE, con posizioni contrastanti, ciò che sembra essere stato stabilito è che, al contrario di quanto auspicato dall’Italia, non si andrà verso una ricollocazione automatica e distribuita dei migranti, ma i Paesi che non accetteranno di accoglierne una parte, dovranno farsi carico delle spese per il rimpatrio da quelli di primo ingresso (spesa valutabile in una cifra di circa 10.ooo € a persona).

Ribadendo che non c’è ancora una decisione definitiva, credo che se finirà così, per l’Italia sarà l’ennesima beffa, un’ulteriore presa in giro, e il nostro Paese continuerà a essere lasciato in prima linea per affrontare quello che ormai è un problema conclamato, con il quale bisognerà fare i conti per molti e molti anni ancora.

E ciò induce quindi a chiarire qualche concetto che i più faticano a comprendere.

Per la mia professione ho trascorso in mare molti anni, imbarcato sulle Navi della nostra Marina Militare, e so benissimo, per averlo vissuto, cosa vuol dire affrontare il mare grosso, il pericolo che si corre in certe circostanze, e chiunque abbia navigato sa che soccorrere e salvare vite umane che vi si trovano e che sono in difficoltà, fino a rischiare la propria vita, è un dovere sacro, che travalica qualsiasi legge, e un uomo di mare, nel compiere questo suo obbligo etico e morale, non si pone in nessun caso il problema di capire chi è la persona da aiutare, quale sia la sua nazionalità, quale la sua etnia: interviene e basta, e su questo non ci sono discussioni che tengano.

Lo dico perché non esistano dubbi interpretativi su ciò che intendo affermare, sgomberando il campo senza indugi.

Il Trattato di Dublino stabilisce che la responsabilità della gestione dei migranti che vengono raccolti in mare è del Paese di primo ingresso.

Ed è proprio questo il problema: occorre tenere presente che vi è un elemento che viene bellamente trascurato, nonostante sia stabilito da leggi internazionali vigenti da sempre e mai messe in discussione.

Quando una Nave soccorre in mare migranti e li imbarca, la responsabilità delle loro gestione ricade sulla Nazione sotto la cui bandiera quell’Unità navale opera! Quello è il Paese di prima accoglienza!

Ergo, se per esempio la Nave batte bandiera tedesca (vedi Sea Watch), quei migranti devono essere presi in carico dalla Germania, questo stabilisce la legge: nessun dispositivo, e tanto meno il Trattato di Dublino, può assegnare all’Italia l’onere di accollarsi la gestione di tutte le migliaia di migranti, spesso clandestini, che sbarcano sulle sue coste solo perchè la posizione geografica della nostra penisola ne fa un naturale porto di approdo.

La Nave che ha raccolto i migranti deve quindi fare rotta verso i porti del suo Paese di bandiera, ferma restando la possibilità di chiedere assistenza al nostro Paese prima di affrontare una navigazione che talvolta può essere lunga.

Questo deve fare l’Italia, chiedere il rispetto delle norme vigenti e mai emendate, e non accontentarsi di soluzioni interlocutorie e poco efficaci, quali quelle fin qui intraprese dall’UE e quelle che si prospettano alla luce delle attività in corso.

D’altronde, accettare che tutti i migranti sbarchino nei nostri porti, portando al collasso le città costrette ad accoglierli (vedi Lampedusa, tra le tante altre), vuol dire accettare il fatto che sempre più spesso costoro riescono in qualche modo a evitare i controlli e fuggono, riversandosi sul territorio nazionale senza avere un lavoro e con scarsissime possibilità di una vera integrazione, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

Concludo quindi osservando che, a mio avviso, il Governo in carica debba assumere un’iniziativa ferma e irremovibile nei confronti dell’UE, chiarendo che le leggi che disciplinano questo importante fenomeno sono da applicare sempre e comunque, e che ogni altro palliativo non è accettabile, perché pone il nostro Paese in oggettive condizioni di difficoltà, peraltro acuite in questo periodo drammatico per effetto della pandemia.

Ogni atteggiamento di falso, capzioso e pruriginoso finto buonismo è intollerabile, perchè lontano dalle esigenze e dai diritti di chi vede il problema dell’immigrazione clandestina come un fattore di insicurezza, e lo fa non sempre per errata percezione, ma per oggettive condizioni, come la cronaca si incarica spesso di segnalare con evidenza.

Una Nazione che non è capace di far rispettare i propri confini, non è una Nazione.

Realtà e fantasia

Torno a scrivere dopo un lungo periodo di silenzio, dovuto a circostanze che mi hanno tenuto impegnato per altre faccende.

Lo faccio oggi, all’indomani delle elezioni regionali e del referendum, e spiego subito il perchè.

Come è logico, i mezzi d’informazione sono quasi esclusivamente impegnati a commentare gli esiti delle elezioni, e lo fanno in un modo che, francamente, suscita in me una certa perplessità.

Non mi soffermerò in particolare sul referendum: il risultato parla chiaro, 70 a 30, e quindi il successo del fronte del SI’ ha vinto, pur con una percentuale che forse ci si attendeva potesse essere ancora più alta. Io ho votato NO, ma questo conta poco.

Intendo invece parlare delle regionali e soprattutto, come già detto, del modo con il quale l’informazione ne sta commentando l’esito.

Per mia forma mentis, sono uomo di numeri, e mi affido alla loro arida schiettezza per valutare i fatti, che sono la sola cosa che contano, essendo invece le opinioni personali soggettive e comunque opinabili.

Escludiamo la Valle d’Aosta, che ha una legge elettorale particolare, che non prevede l’elezione del Presidente della Regione, e con il Governo che si forma in Giunta tra le forze che tra di loro raggiungono un accordo: mi limiterò a dire che la Lega è il primo partito con il 24% dei voti.

Per le altre 6 Regioni interessate, il bilancio pre elezioni vedeva 4 di esse a guida centrosinistra, e le restanti 2 a guida centrodestra.

Dopo le elezioni, il bilancio è di 3 a 3: ciò vuol dire, molto semplicemente, che vi è una parte che scende e quella avversa che sale. Anche un bambino capisce che chi scende ha perso, chi sale ha vinto.

Peraltro la Regione che è passata al centrodestra è le Marche, da tempo immemore feudo della sinistra, e averla persa è un segnale politico rilevante, ma l’informazione non sembra essersene avveduta.

Ebbene, come commentano i mass media? Sonante vittoria del centrosinistra, cocente sconfitta del centrodestra, negando l’evidenza.

Ad oggi, il bilancio generale vede 15 Regioni guidate dal centrodestra e 5 dal centrosinistra: questa considerazione ha un qualche significato, o è del tutto irrilevante?

C’è sì o no un palese problema di asincronia tra il Governo nazionale, basato su di una innaturale alleanza tra un partito, il M5S, che non ha quasi più rappresentanza sul territorio alla luce dei voti ottenuti, e un altro, il PD, che canta vittoria ma non si schioda da un 20%.

Gli esperti della Costituzione, che la applicano a loro esclusivo piacimento e solo quando è funzionale alle loro esigenze, osserveranno che una cosa sono le regionali, altro è la composizione del Governo, figlio dei parlamentari eletti in occasione delle politiche.

Dimenticano però gli autorevoli pareri di insigni e qualificati Costituzionalisti i quali, pur riconoscendo la perfetta legittimità dell’esecutivo, sottolineano che in ogni caso quando si verifica una sostanziale distanza tra le forze presenti in Parlamento e la volontà popolare, lo strumento dello scioglimento delle Camere è a disposizione del Presidente della Repubblica.

Ed è utile ricordare che questo fu il parere espresso da Costantino Mortati, che la Costituzione ha contribuito a scriverla…

E altrettanto fecero altri illustri studiosi, come Spadaro, Barile, Ruggeri, La Rocca: ma tutto ciò non serve, secondo i costituzionalisti della domenica va bene così, Madama la Marchesa.

Ciò detto, vediamo di affidarci ai numeri per valutare cosa è accaduto nei partiti, sempre e soltanto affidandoci ai numeri: mi limiterò a un confronto tra PD e Lega.

Sul M5S c’è poco da dire: è praticamente scomparso quasi ovunque, perdendo un mare di voti e diventando di fatto impalpabile.

FdI è il solo partito che può dire oggettivamente di essere cresciuto nei suffragi, confermando un trend ormai costante da tempo.

Quasi non pervenuti gli altri, Italia Viva, Azione e altre forze: dico solo che con riferimento specifico a Matteo Renzi, le percentuali risibili ottenute anche nella sua Toscana segnano la fine della sua parabola, e che ormai anche le sue piccole manovre di palazzo somigliano più alla commedia dell’arte che non a cosa seria.

Allora vediamo che cosa ci dicono i numeri, Regione per Regione, confrontando dati omogenei, cioè quelle delle regionale del 2015 con quelli del 2020.

TOSCANA

PD 2015 46,3% 2020 34,7%

LEGA 2015 16,2% 2020 21,8%

PUGLIA

PD 2015 19,8% 2020 17,6&

LEGA 2015 assente 2020 9,5%

CAMPANIA

PD 2015 19,5% 2020 17,36%

LEGA 2015 assente 2020 5,28%

VENETO

PD 2015 16,7% 2020 11,9%

LEGA 2015 17,8% 2020 16,8%

LIGURIA

PD 2015 25,6% 2020 19,8%

LEGA 2015 20,2% 2020 17,1

MARCHE

PD 2015 35,1% 2020 25,1%

LEGA 2015 13% 2020 22,4%

Certo, è noioso, ma i numeri non tradiscono, e dal loro esame freddo e asettico non mi pare che possano esservi dubbi di sorta sul giudizio complessivo, il PD arretra ovunque, la Lega avanza nella maggior parte delle Regioni e arretra dove erano presenti liste dei Presidenti di Regione della sua stessa area.

E nonostante ciò, ieri Zingaretti sosteneva che il PD è il primo partito della Nazione, e che se l’alleanza con il M5S si fosse concretizzata in tutte le Regioni, il centrosinistra avrebbe potuto vincere ovunque: dimenticando, il tapino, che nella sola Regione dove ciò si è verificato, la Liguria, il candidato del centrosinistra unito, Sansa, ha subito una solenne batosta!

Ora, magari non è il caso di scomodare psicologi e affini, ma fossi al posto dei suoi parenti un check up glielo farei fare, evidentemente aver limitato i danni, perchè questo è accaduto, lo ha inebriato sottraendogli lucidità.

Ma altrettanto stanno facendo i talk show, i giornali, i mass media nella quasi totalità, presentando una realtà che i numeri smentiscono con chiara evidenza: ciò non fa loro onore, perché il compito di un’informazione seria, equilibrata e credibile è presentare i fatti, raccontare la verità, fornendo elementi oggettivi a supporto, e non distribuire opinioni strumentali e inconsistenti.

Questo lo fanno per l’appunto gli opinionisti, ognuno secondo il proprio pensiero e la propria visione, poi chi li ascolta giudica e si fa un’idea: i giornalisti veri, degni di questo nome, devono fare altro.

Sono fermamente convinto che la parzialità e la manifesta faziosità dei mass media, sbilanciati da una sola parte e pronti a presentare una realtà che tale non è, alla luce dei dati oggettivi, costituiscano un serio problema per la democrazia compiuta in questo Paese, e prima si verificherà un profondo rinnovamento della classe giornalistica meglio sarà.

Fino ad allora, altro non si può fare che affidarsi alla propria coscienza e formarsi un’opinione basandosi sugli elementi disponibili, lasciando che i cantori del sistema del pensiero unico si cuociano nel loro brodo.

Io non sono più disposto a starli a sentire.