La crisi di Governo, maturata dopo che Renzi ha ritirato la delegazione dei rappresentanti di Italia Viva, è stata risolta.
Il Presidente del Consiglio incaricato, prof. Mario Draghi, ha sciolto la riserva e si è recato al Quirinale per proporre al Presidente della Repubblica la lista dei Ministri, per la prevista approvazione e firma del decreto di nomina.
Il nuovo Governo ha prestato il giuramento e, in attesa di ottenere la fiducia dalle Camere questa settimana, si è insediato.
Fin qua, il protocollo: una prima considerazione, certamente positiva, mi induce a dire che finalmente si è tenuto conto del dettato costituzionale, che prevede nel suo articolo 92 che il compito della scelta dei Ministri spetta al Presidente del Consiglio, per proporli al Quirinale, e non che è soggetta al tradizionale e deprecabile mercato tra esso stesso e i partiti, sempre pronti a chiedere poltrone e posti di prestigio.
A quanto è dato sapere, ciò non è avvenuto, e Draghi ha scelto in autonomia: e soprattutto non abbiamo assistito a fughe di veline, tweet, bagni di folla, e simili sconcezze: più discrezione, misura, rispetto delle istituzioni sono segnali positivi, dopo aver assistito per mesi e mesi a conferenze stampa nottetempo, annunci trionfalistici implacabilmente smentiti dai fatti oggettivi e incuranza delle buone norme, sono quello che ci vuole.
Anche se, va detto, venerdì sera, intorno alle 1900, si sono diffuse voci sulla composizione della squadra di Governo che poi hanno trovato conferma nei fatti, a testimonianza del fatto che, nonostante la discrezione e il riserbo, qualche fuga di notizie c’è stata, ma tant’è.
Ciò detto, vorrei a questo punto fare qualche riflessione sulla composizione del nuovo Governo, ricordando a me stesso che uno dei criteri alla base della sua formazione è stato quello del cambio di passo: preso atto dell’azione ormai inadeguata del Conte 2, i cui risultati nel settore economico fanno dell’Italia il Paese nelle peggiori condizioni almeno in Europa, ma non solo, e le cui politiche e strategie di gestione dell’emergenza sanitaria hanno portato il Paese nelle prime posizioni in negativo, per quel che concerne il rapporto tra i decessi e la popolazione, e che non ha ancora definito un efficace e sicuro piano delle vaccinazioni anti COVID, la crisi si è aperta e sviluppata con l’obiettivo di mettere in piedi un esecutivo autorevole, credibile, in grado di fronteggiare la situazione con strumenti adeguati e non contraddittori.
Per realizzare questo obiettivo, il Presidente Mattarella ha individuato una figura di assoluto rilievo, un uomo il cui curriculum e la cui storia professionale ne fanno un riferimento anche in ambito europeo, al di là del giudizio sulle sue singole iniziative che, come è lecito, possono essere condivisibili o meno.
Quella di Draghi è una figura riconosciuta in Europa per i suoi trascorsi, e costituisce una sorta di garanzia sulla credibilità e affidabilità del sistema Italia: non a caso, non appena gli è stato affidato l’incarico, i mercati hanno registrato una reazione positiva, con la borsa in rialzo e il famigerato spread sotto i 100 punti, praticamente solo sulla fiducia.
Quindi, anche solo per ragioni di puro realismo politico, la scelta va riconosciuta come un deciso miglioramento rispetto al precedente governo, il cui livello di rappresentatività e credibilità era di gran lunga inferiore.
Tuttavia, dall’analisi dei Ministri emerge una sorta di divisione dell’esecutivo in due blocchi ben distinti:
- da una parte l’intero settore destinato a gestire l’economia, con l’assegnazione dei dicasteri a figure direttamente riferibili a Draghi, che ha scelto uomini di sua fiducia, con molti dei quali ha lavorato in passato. Dal che traspare evidente la volontà da parte del Presidente del Consiglio di gestire in prima persona la fase di ripresa dell’economia, quale elemento strategico per la fase che ci attende;
- dall’altra tutto il resto, tra conferme tutt’altro che scontate e nuovi ingressi per dare adeguata rappresentanza ai partiti che hanno appoggiato l’iniziativa.
Nulla da eccepire sulle scelte in campo economico: il momento è drammatico, il Paese è in ginocchio, e nessuno più di Draghi è in grado di operare con efficacia nel settore, per la sua storia personale, per gli incarichi che ha coperto durante la sua vita e, non ultimo, per il prestigio e la credibilità delle quali gode in ambito europeo. Un patrimonio di affidabilità prezioso, nel momento nel quale bisognerà gestire i fondi del Recovery Plan, nei tempi e nei modi previsti dai documenti d’impianto del progetto, e certamente ciò andrà fatto in maniera ben più incisiva rispetto alle modalità ondivaghe, vaghe e indefinite con le quali il tema fu affrontato dal precedente Governo. Aspettiamo quindi che il nuovo esecutivo inizi la sua attività, prima di emettere giudizi in merito, fiduciosi in un cambio di velocità e in un approccio più analitico e determinato.
Sono però fortemente perplesso sul resto della squadra: personalmente, avrei preferito che Draghi mettesse insieme una compagine totalmente nuova, non confermando nessuno dei precedenti Ministri, sia perché i risultati ottenuti da costoro sono stati tutt’altro che lusinghieri, fino a provocare la crisi, sia per dare un segno di totale discontinuità che rendesse palese un profondo cambiamento.
Invece Draghi ha operato una scelta diversa: da un lato nuovi Ministri, ascritti ai partiti di centrodestra che hanno fatto ingresso nella appena costituita maggioranza, dall’altro la conferma di alcuni di quelli del precedente Governo, e qui casca l’asino.
Mi riferisco in particolare a tre di loro, ovvero Di Maio, Lamorgese e Speranza.
Di Maio agli Esteri: se è vero che bisognava mettere in piedi il Governo dei migliori, resto sconcertato nel prendere atto che il migliore rappresentante della nostra diplomazia possa essere un personaggio che crede che Matera sia in Puglia, che non ha alcun curriculum da esibire e non può certamente vantare nessuna competenza nel settore, e con un clamoroso deficit di autorevolezza. Non intendo aggiungere altro, credo basti quanto ho già espresso.
Lamorgese agli Interni: siamo sempre in piena pandemia, si paventa una terza ondata, in alcune zone del territorio nazionale l’emergenza è palese, e ciò nonostante la politica sull’immigrazione è quella di continuare ad accogliere tutti, senza riflettere sull’opportunità di porre un limite in un momento nel quale ogni rischio di espansione del fenomeno del contagio va evitato con fermezza. Come peraltro fanno i nostri partners europei, senza che nessuno adombri comportamenti connotati dal razzismo, dalla mancanza di spirito umanitario, di negazione del dovere dell’accoglienza: ora c’è da sperare che la credibilità della quale Draghi gode in Europa gli consenta di ottenere l’attuazione di una politica continentale che ponga in essere interventi che sostanzino il principio secondo il quale le frontiere marittime dell’Italia sono frontiere dell’intera Europa, nei fatti e non solo a parole. Ricordate i toni trionfalistici del Ministro Lamorgese in occasione della stipula del patto di Malta, per la ridistribuizione dei migranti? Un penoso bluff, un trattato diventato immediatamente lettera morta, la quantità di sbarchi in Italia nel 2020 è cresciuta a dismisura rispetto al 2019, come testimoniano inconfutabilmente i dati dello stesso Ministero degli Interni. Un cambio di passo si impone, per rispetto della verità.

Speranza alla Salute: questa è la conferma che più mi meraviglia e sconcerta. Dopo averci raccontato delle meraviglie del modello Italia, dell’ammirazione degli altri Paesi sulle modalità di gestione dell’emergenza messe in atto dal Governo Conte, l’esplodere incontrollato della seconda ondata nello scorso autunno, che ha drammaticamente colto di sorpresa l’esecutivo, ha clamorosamente disvelato l’equivoco, mandando a gambe all’aria l’illusione sulla quale si era placidamente adagiato.
E il Ministro Speranza, invece di lavorare alacremente per predisporre azioni preventive atte a contrastare l’insorgere della seconda ondata, annunciata dalla quasi totalità della comunità scientifica, si dedicava alla scrittura di un libro autoincensatorio nel quale raccontava che il virus era stato sconfitto, grazie alla miracolosa azione sua e dei suoi preziosi collaboratori. E dopo averlo mandato trionfalisticamente in stampa, doveva precipitosamente ritirarlo dalle librerie, condannandolo al macero, come in un piccolo film grottesco ma che non fa ridere nessuno.
Vogliamo parlare poi dello scandalo del piano pandemico? Il documento, di strategica importanza per affrontare con efficacia il diffondersi del contagio, fu aggiornato l’ultima volta nel 2006, e comunque non attivato allo scoppiare dell’epidemia, ponendo in drammatica difficoltà gli operatori sanitari che, nella prima fase, erano sprovvisti dei dispositivi di protezione necessari, al punto che molti di loro furono contagiati e in tanti persero la vita. E tutti noi stiamo ancora aspettando che Speranza chiarisca quali sono state le sue responsabilità su questa vicenda.
E che dire del divieto di operare le autopsie sui poveri morti durante le prime settimane della pandemia? E dell’assenza di un definito ed efficace piano per la vaccinazione di massa, strumento necessario per cercare di uscire dall’emergenza nel più breve tempo possibile?
Insomma, va bene l’equilibrio politico che impone purtroppo di dare visibilità a tutte le liste che assicurano al Governo il necessario appoggio e i voti in Parlamento, ma di fronte a una gestione fallimentare e che ci ha portati a essere tra i Paesi con il peggiore rapporto tra popolazione e decessi al mondo, a mio avviso sarebbe stato opportuno, se non addirittura necessario, porre a capo del Ministero della Salute qualcuno in possesso di sicura competenza, di capacità di pianificazione, di conoscenza della materia.
Stiamo parlando di salute pubblica, non del sesso degli angeli, e prendere atto di dati oggettivi, parametrizzati e riscontrabili, è doveroso, perché dal ritorno a una normalità di vita dipende il futuro del Paese, e non bisogna lasciare nulla di intentato, senza riguardo per la smania di conservazione della poltrona da parte di chicchessia.
Quindi Draghi, se non ha voluto sostituire Speranza per non turbare un complicato equilibrio politico, lo chiuda in una stanza, lo catechizzi opportunamente per indurlo a cambiare registro, gli affianchi un paio di Sottosegretari capaci, competenti, esperti del settore, che possano coadiuvarlo così che eviti di intraprendere iniziative dannose come ha fatto finora.
Per chi ne avesse voglia, suggerisco la lettura del libro “La notte delle ninfee”, del Prof. Luca Ricolfi che, raccogliendo dati oggettivi e certi, senza preclusioni e pregiudizi, racconta impietosamente tutti gli errori commessi e tutti gli allarmi rimasti purtroppo inascoltati, e che hanno fatalmente portato alla situazione attuale, tra imperdonabili responsabilità sulle quali prima o poi dovrà essere fatta luce (90.000 e più morti meritano rispetto!).
In conclusione, è opportuno sperare che questo nuovo Governo possa mettere in atto politiche di gestione efficaci e produttive, segnando un deciso cambio di passo rispetto al recente passato, perché ormai il tempo stringe e la crisi che attanaglia il Paese non consente a nessuno di tergiversare, pena l’esplodere di una crisi sociale, economica e sanitaria dalla quale rischiamo di non risollevarci mai più.
Tifo perché il Governo possa farlo, è interesse di noi tutti, al di là delle singole idee e delle posizioni di ciascuno, ma l’esecutivo andrà giudicato sulla base dei fatti concreti, senza concedere cambiali in bianco, occorre serietà e oggettività, il momento storico lo impone.